martedì 21 dicembre 2010

Cervarolo, sfilano i testimoni dell'eccidio / Strage di Monchio, sentiti 15 testimoni / «Quello che mi dà più fastidio è che nessuno si sia pentito»

Dalla Gazzetta di Reggio del 18 dicembre 2010:

Cervarolo, sfilano i testimoni dell'eccidio
La prima volta davanti al giudice. Lacrime e una sola richiesta: «Punite quei criminali»

dal nostro inviato Andrea Melosi
VERONA. Ieri nevicava. Come il 20 marzo 1944. Il giorno dell'orrore a Cervarolo. Tribunale militare di Verona: davanti al giudice Vincenzo Santoro sfilano 15 testi nel processo a carico di Hans Georg Winkler, ex ufficiale della divisione Hermann Goering e di altri undici militari tedeschi accusati di stragi di civili a cavallo dell'Appennino tosco-emiliano, commesse tra la primavera e l'estate 1944. E in questo tragico rosario c'è anche Cervarolo di Villa Minozzo dove il 20 marzo '44 ventiquattro uomini, compreso il parroco, furono trucidati. IL PROLOGO. Ma prima la ferocia nazista si era fermata a Monchio e in altri paesini del versante modenese. Così il primo a deporre è Ferruccio Pancani. All'epoca aveva 10 anni e abitava con la famiglia a Costrignano, poco fuori Monchio. Il 18 marzo tutti furono svegliati dal cannoneggiamento tedesco che arrivava da Montefiorino, Fuggirono verso i campi e i boschi poi verso mezzogiorno, credendo che tutto fosse finito rientrarono a casa, ma una pattuglia tedesca sorprese suo padre Giuseppe e altri 4 uomini. Messi al muro e subito fucilati: «Mio padre - ha detto - fu quasi decapitato con una raffica». Poi giura e depone Umberto Bernardi, nipote di Raffaele Abbati, altro caduto. Rievoca i racconti della madre, dei morti accatastati come fascine prima della sepoltura. NATALINA. I ricordi di una bambina di 13 anni, Così è iniziata la serie di deposizioni dei testimoni per Cervarolo. La bambina di allora è Natalina Maestri. Ieri, per la prima volta dopo 66 anni ha raccontato l'angoscia di una vita: «Mi ricordo tutto, chiedetemi pure» ha detto con la schiettezza di una solida donna di montagna. «Il 19 don Pigozzi avvisò tutti gli uomini di scappare nei boschi perchè stavano per arrivare i tedeschi. Così in paese restarono solo donne e bambini. Arrivarono i soldati e ci dissero "fate tornare gli uomini, non gli faremo niente". Ci credemmo. La mattina dopo i tedeschi tornarono, cominciarono a buttare giù le porte e a prendere di tutto. Mio padre Sebastiano voleva nascondersi in soffitta. Non farlo, gli dicemmo, poi ti scoprono e ti ammazzano».
TRAGICO INGANNO. Uno ad uno gli uomini di Cervarolo vengono rastrellati e portati nell'aia. Non li ammazzano subito, li terranno lì, in piedi e al freddo, per tutto il giorno, illudendoli fino alla fine. Ancora Natalina: «I tedeschi ci dissero, preparate della roba da mangiare per i vostri uomini, li portiamo con noi in Germania. Poveretti, con quei fagottini in mano, li vedo ancora». Ma Natalina capisce ben presto la situazione: «Camminando con mamma e altre donne, abbiamo visto i corpi di due uomini stesi davanti alla loro casa». Erano Ennio e Lino Costi, padre e figlio, uccisi già al mattino. Al tramonto i tedeschi cominciano a bruciare case e stalle, «abbiamo sentito le raffiche di mitragliatrice e siamo scappate verso i boschi. Gridavano "ci ammazzano tutti gli uomini". La mattina siamo rientrate. Nell'aia tutti morti, c'era anche il parroco, prima picchiato e poi spogliato. Intorno le case bruciate. Non avevamo più niente, per anni abbiamo chiesto l'elemosina, ma tutti ci hanno aiutato. Sono qui per chiedere giustizia, perchè quelle persone, quei criminali siano castigati. Non si può descrivere quello che ci hanno fatto». TALIDE. Talide Vannucci aveva 9 anni. «La mattina del 20 marzo quando mamma si affacciò e vide i primi tedeschi urlò a mio padre, Giovanni alzati e scappa. Ma lui restò a letto perchè era malato. Mio nonno Agostino era invece nella stalla. Lo presero subito. Da prepotenti entrarono in casa, erano in due con i mitra. Aprirono i cassetti e presero tutta la roba da mangiare. Poi salirono al primo piano e portarono giù papà. Presero anche un servizio di posate e l'orologio da taschino di nonno. Misero tutto in un elmetto». Come le altre donne e bambini, anche Talide fu costretta a lasciare Cervarolo. «Ma mi ribellavo, volevo rimanere accanto a papà». Poi cominciammo a sentire sparare e vedere gli incendi delle case. Da allora il fuoco mi terrorizza. Del cappotto che aveva mio padre conservo un bottone trovato quando è stato riesumato. Oggi chiedo che per lui e gli altri sia fatta finalmente giustizia».
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«Quello che mi dà più fastidio è che nessuno si sia pentito»


REGGIO. Sono passati 66 anni, ma riparlare di quei tragici giorni provoca ancora lacrime e singhiozzi tra i parenti delle vittime. Sul pullman c'è chi ha perso genitori, zii, nonni o cugini, tutte persone che portano nel cuore una forte sete di giustizia. Proprio per questo, viaggiano verso Verona con grande speranza, confidando che i loro cari possano essere in parte ricompensati da un'equa sentenza. Tra queste persone, una di quelle ad avere una tra le storie più toccanti è Paola Fontana, 68 anni. Non abita più in zona, vive da anni a Viareggio ma conserva un forte legame con Cervarolo dove, nell'eccidio, ha perso il nonno e lo zio, di 56 e 32 anni. All'epoca Paola era una bambina di due anni e ovviamente non può avere ricordo di quanto avvenne quel giorno, ma grazie ai resoconti dei familiari è riuscita a ricostruire un quadro completo. «Mia madre - racconta commossa la donna - mi ha sempre raccontato quello che avvenne. Mio padre è stato quasi il primo a scoprire i cadaveri: impaurito, andò a chiamare un suo amico e insieme scoprirono che tra i morti c'erano anche i nostri cari. E' già la terza volta che vado a deporre, mi costa tantissimo in termini di emotività e di energie, e non so se ce la farò. Ma è giusto arrivare alla conclusione, anche per rispetto nei confronti di mia madre, che ha sofferto tanto e che era legatissima a mio zio Giovanni. Ora abito lontano ma questo terribile fatto mi tiene legata arcor più a Cervarolo. Confido che il processo possa arrivare a una conclusione: il nostro era un paese di brava gente che non aveva fatto nulla di male, ci conoscevamo tutti e dopo la strage siamo piombati nella miseria. Quello che mi dà più fastidio è che gli autori del massacro non si siano pentiti». Grande soddisfazione per gli sviluppi che sta prendendo il processo è stata espressa da Italo Rovali, uno dei legali dell'accusa e professore allo Zanelli: «Dopo tante sofferenze da parte del paese e grande lavoro istruttorio, si arriva ai resoconti dei testimoni che hanno vissuto i fatti in prima persona. Sono soddisfatto non soltanto per la posizione assunta dal tribunale, che sta lavorando bene, ma anche per il fatto che si sia creata una rete tra i vari legali e l'Istoreco. Mi fa inoltre piacere che i ragazzi abbiano voluto essermi vicino. Per gli imputati è soltanto questione di tempo, perché sono stati inchiodati dalle intercettazioni». (a.v.)

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Ines Rossi Paini, proiettato il dvd della sua intervista-testamento


VERONA. Ines Rossi Paini (nella foto con la figlia) se ne è andata qualche settimana fa a 96 anni. Era l'ultima vedova dei martiri di Cervarolo. Ma ieri nel tribunale militare di Verona la sua voce e la sua immagine sono comparse nella proiezione di un dvd presentato dal pubblico ministero Bruni. Contro la proiezione si è espresso il collegio di difesa degli imputati, contestando la procedura. Ma alla fine il giudice Santoro ha deciso a favore della proiezione, in quanto non contrastava con la deposizione resa poco prima dalla figlia Annamaria (colta da leggero malore) all'epoca dei fatti una bambina di appena tre anni, in quanto la sua testimonianza si basava «esclusivamente o prevalentemente su quanto appreso dalla propria madre». Nel dvd, l'anziana signora (come aveva in precedenza detto anche sua figlia) ricorda che i tedeschi presero a calci i secchi di latte che aveva appena munto, il tentativo di uno di loro di portarla in una camera, la cattura del marito Pio e del suocero Gaetano. Ines ricorda anche l'arrivo del tutto inatteso il 19 di Attilio Paini, il cognato abitava da tempo a Genova e da tempo abitava a Genova. Con la famiglia era in dissidio per probleni di soldi. La sera prima della strage s'incontrò con due soldati. In casa disse che non c'era da preoccuparsi, ma prima dell'alba del 20 lasciò di nascosto la casa. Molti lo accusano di essere stata una spia al servizio dei tedeschi.

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Dalla Gazzetta di Modena del 18 dicembre 2010

Strage di Monchio, sentiti 15 testimoni

PALAGANO. Toccanti e segnate da una profonda commozione ieri le testimonianze al processo aperto a Verona dei superstiti dell'eccidio del marzo 1944, quando i nazisti uccisero oltre cento civili tra Monchio, Susano, Costrignano e Savoniero. Nell'udienza di ieri il primo a deporre è stato Ferruccio Pancani. All'epoca aveva 10 anni e abitava con la famiglia a Costrignano. Il 18 marzo tutti furono svegliati dal cannoneggiamento tedesco che arrivava da Montefiorino, fuggirono verso i campi e i boschi e verso mezzogiorno, credendo che tutto fosse finito, rientrarono a casa, ma una pattuglia tedesca sorprese suo padre Giuseppe e altri 4 uomini. Messi al muro e subito fucilati: «Mio padre - ha detto - fu quasi decapitato con una raffica». Poi giura e depone Umberto Bernardi, nipote di Raffaele Abbati, altro caduto. Rievoca i racconti della madre, dei morti accatastati come fascine prima della sepoltura. Sono stati sentiti anche i superstiti di Cervarolo nel Reggiano, che ha pagato con molte vite quei giorni. «Le deposizioni rese ieri confermano in pieno l'impianto accusatorio» dice l'avvocato Ernesto D'Andrea che, insieme ai colleghi Vainer Magnani e Andrea Speranzoni, cura le decine di parti civili presenti al processo di Verona. «I testimoni - prosegue l'avvocato - hanno un ricordo nitido nell'identificare tra gli autori delle stragi i soldati tedeschi, alcuni dei quali ridevano mentre mettevano e ferro e fuoco paesi e borgate, e ricordano la partecipazione di militari fascisti»

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