martedì 21 dicembre 2010

Strage di Monchio: ora gli imputati sono 9

Da Sassuolo2000 del 20 dicembre 2010

Strage di Monchio: ora gli imputati sono 9


Sono saliti da sette a nove gli imputati per la strage di Monchio, Costrignano e Susano compiuta dai nazisti della divisione “Herman Goehring” il 18 marzo del 1944, con 140 morti accertati nel modenese. Nel processo in corso presso il Tribunale militare di Verona, infatti, lunedì 20 Dicembre è stata accolta la richiesta dei pubblici ministeri Luca Sergio e Bruno Bruni di estendere l’imputazione per il reato di concorso in omicidio plurimo pluriaggravato e continuato anche ai due ottantacinquenni Horst Günther Gabriel e Alfred Lühmann, all’epoca entrambi caporali, sulla base di intercettazioni effettuate in Germania nel corso delle indagini: autentiche “confessioni” telefoniche nella quali Lühmann ricorda che erano soliti uccidere donne, bambini e vecchi nel corso delle azioni “antibanditismo”. Tra le prove anche il diario dello stesso Lühmann dove sono citate esplicitamente le stragi compiute tra il 18 e il 20 marzo del ’43 nel modenese e nel reggiano e quella di un mese dopo nell’Appennino toscano.
L’imputazione, una volta tradotta, sarà notificata ai due nuovi imputati, che si aggiungono agli altre sette per i quali il processo è iniziato nelle scorse settimane in vista della riprese delle udienze in programma mercoledì 12 gennaio.
Nel frattempo, hanno testimoniato anche il sindaco di Palagano Paolo Galvani e il presidente del Consiglio provinciale di Modena Demos Malavasi che, assistiti dall’avvocato Andrea Speranzoni, hanno ribadito le motivazioni della costituzione come parti civili nel processo, insieme a 89 familiari delle vittime, alla Regione Emilia Romagna e all’Anpi.
Galvani ha sottolineato in particolare come la strage abbia colpito la popolazione civile lasciando un segno indelebile nella storia di quelle comunità e ha ricordato l’impegno a promuovere la memoria di quegli eventi. Un tema ripreso anche da Malavasi che vede nel processo «un modo per accertare la della verità nel nome della giustizia, non della vendetta, affinché da questi tragici fatti si possa trarre insegnamento per far sì che non si ripetano mai più». E il riferimento è ai percorsi della Memoria, al parco di Santa Giulia e alle tante iniziative di educazione alla pace promosse nel territorio provinciale.

HANNO GIÀ TESTIMONIATO 60 FAMILIARI DELLE VITTIME
Sono già 60 i familiari delle vittime della strage di Monchio, Costrignano e Susano che hanno testimoniato nel processo in corso al Tribunale militare di Verona, un’altra decina sarà ascoltata alla ripresa delle udienze in gennaio quando sono previste anche le testimonianze di otto tedeschi citati dai pubblici ministeri Luca Sergio e Bruno Bruni.
I due “nuovi” imputati Horst Günther Gabriel e Alfred Lühmann si aggiungono ai sette sotto processo, tutti militari della divisione “Herman Goehring”. Si tratta di Erich Koeppe, 91 anni, tenente dello Stato maggiore del III reparto della Goehring; Hans Georg Karl Winkler, 88 anni, sottotenente, comandante della quarta compagnia; Fritz Olberg, 89 anni, sottotenente, comandante di plotone della terza compagnia; Wilhelm Karl Stark, 89 anni, sergente, comandante di squadra della terza compagnia; Ferdinand Osterhaus, 93 anni, sottotenente, comandante di plotone della quinta compagnia; Helmut Odenwald, 90 anni, capitano, comandante della decima batteria artiglieria contraerea; Günther Heinroth, 85 anni, soldato della terza compagnia.

Remo e il carico di munizioni dei carnefici di Cervarolo

Dalla Gazzetta di Reggio del 19 dicembre 2010

Il carico di munizioni dei carnefici di Cervarolo


VILLA MINOZZO. Mauro Monti, detto Remo, è stato uno dei protagonisti al processo di Verona nell'udienza in cui per la prima volta si sono ascoltati i testimoni dell'eccidio di Cervarolo. Le sue parole, il suo gesticolare, la sua passione nel raccontare, hanno conquistato l'attenzione degli studenti reggiani che hanno gremito l'aula del tribunale militare per una lezione di storia in diretta. Lui, Remo, aveva la loro età quando rischiò di essere ammazzato da un soldato tedesco «forse troppo nervoso» e in qualche modo graziato da un commilitone meno feroce. Remo nel 1944 aveva 14 anni e abitava con i genitori a Case Pelati, pugno di case vicino Cervarolo. «La mattina del 19 marzo - ha detto alla corte presieduta dal giudice Santoro - giocavo con altri ragazzi quando abbiamo visto arrivare da nord una lunga fila di soldati tedeschi. Andavano a Cervarolo a cercare gli uomini del paese, ma erano tutti scappati e così proseguirono per Gazzano. Il giorno dopo tornarono». Remo ricorda che nel pomeriggio del 20 vide la case di Cervarolo bruciare e sentì molti spari. «A Case Pelati c'era un piccolo bar e d'un tratto arrivarono alcuni tedeschi, Uno di loro, prima di entrare nel locale, mi affidò il suo mitra. Non so perchè. Rimase con gli altri nel bar per un'oretta, ridevano mentre guardavano dalla finestra gli incendi di Cervarolo». Usciti di nuovo in strada «quello che doveva essere il capo» ordinò al padre di Remo, al ragazzino e altri uomini di trasportare con i carri dei buoi cassette di munizioni verso la Val d'Asta. Lungo la mulattiera uno dei tedeschi si arrabbiò perché non trovava più il suo giaccone, incolpando Remo di averglielo preso. Ad un certo momento caricò il fucile puntandolo contro il ragazzo, ma un altro soldato lo fermò, «disse, questo si risparmia tanto ne abbiamo già fatti fuori altri di giovani». ALTRI ELEMENTI. Il giudice Santoro ha acquisito agli atti del dibattimento 32 foto presentate dall'avvocato Speranzoni riguardanti luoghi e personaggi riferiti all'eccidio del 20 marzo '44. Nell'ultima udienza Annamaria Paini, figlia di Ines Rossi, l'ultima vedova di Cervarolo morta di recente a 96 anni, ha avuto un leggero malore durante la deposizione. Nella prossima udienza le parti civili depositeranno i certificati medici per 3 testimoni che non possono affrontare il viaggio per Verona. In base all'articolo 512 i loro racconti saranno così acquisiti.

Lezione di storia i tribunale / "I ragazzi sono molto coinvolti"

Dalla Gazzetta di Reggio del 18 dicembre 2010:

Lezione di storia in tribunale «Imputati assenti, perché?»

di Andrea Vaccari
VERONA. La gita è di quelle insolite. Non di quelle a cui si partecipa a cuor leggero, tanto per perdere una giornata di lezione. E' una gita in cui non ci sono guide da seguire o freddi monumenti da osservare ma si ascoltano testimonianze vere, di chi ha vissuto sulla propria pelle i tragici fatti del 20 marzo 1944. Gli studenti di alcune classi dell'Istituto agrario Zanelli di Reggio e del liceo scientifico Dall'Aglio di Castelnovo Monti hanno riempito i due pullman che ieri hanno raggiunto il tribunale militare di Verona, dove si è tenuta una nuova udienza per accertare i fatti e individuare i responsabili delle stragi di Cervarolo e Monchio. «Conosco bene questo triste avvenimento - racconta Nicola Caniparoli della 5ªG dello Zanelli - perché sono di quelle parti. Sono curioso, non sono mai stato in un tribunale e spero che vi sia la possibilità di fare giustizia e chiarezza sull'eccidio». «Consideriamo questo episodio parte integrante della nostra storia - aggiunge Davide Rosati - perché è successo molto vicino a noi. Peccato che i responsabili siano perseguiti solo dopo tanto tempo, ma anche se sono trascorsi tanti anni è doveroso fare giustizia». «Assistere a questa udienza ci permetterà di saperne di più - spiega Yuri Zanotti - e sono certo che sarà una bella esperienza. Cosa sappiamo? Che è stato un episodio molto cruento, nel quale i colpevoli non si sono fatti scrupoli». «Sarà una giornata particolare - afferma Pietro Bertolini - Mi aspetto di imparare qualcosa in più su questo eccidio: nella mia famiglia se ne parla spesso, perché mio nonno scampò alla strage della Bettola». «Mi aspetto di avere maggiori informazioni su quello che è successo - spiega Giacomo Corradi della 3ªI del liceo Dallaglio - e capire cosa abbia potuto generare una simile tragedia». «E' un'opportunità per approfondire il tema della Resistenza - sostiene
Irma Marconi - di cui oggi purtroppo si parla poco. E' interessante avere ancora testimoni che possano raccontare quello che avvenne così tanti anni fa. La cosa che non riesco a capire è come gli imputati non siano presenti in aula». «Sono curioso di vivere questa esperienza - aggiunge Gianluca Sciaboni - anche per sentire testimonianze dirette. Da un lato credo abbia poco senso condannare persone così anziane, ma dall'altro è altrettanto doveroso punire chi ha commesso un crimine così atroce». «Mi piacerebbe poter sentire cos'hanno da dire i colpevoli - conclude Greta Boni - ma non sarà possibile. Mi colpisce che in alcune intercettazioni abbiano fatto capire di non essersi pentiti. Conoscere questi fatti può aiutarci a fare in modo che cose del genere non accadano più».
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«I ragazzi sono molto coinvolti»
I professori: la strage di Cervarolo è un argomento sentito


VERONA. Gli studenti della 5ª G dello Zanelli sono stati accompagnati dagli insegnanti Italo Rovali e Giuseppe Febbraro, coi quali hanno intrapreso un percorso di preparazione a questa giornata. «Dal punto di vista del programma - spiega Febbraro, docente di italiano e storia - non abbiamo ancora affrontato la seconda guerra mondiale, ma i fatti di cui tratta questo processo bene o male sono conosciuti dai ragazzi. In preparazione a questa udienza abbiamo fatto una chiacchierata generale, integrando l'argomento con altri fatti dell'epoca accaduti in queste zone, come l'eccidio dei fratelli Cervi. L'aspetto della guerra civile li interessa molto e, visto che delle stragi compiute dai nazisti non conoscono alcuni aspetti, penso che questa sia un'occasione buona per effettuare una lezione di storia in presa diretta. A marzo poi questo percorso sarà integrato da un viaggio della memoria a Berlino: visiteremo anche alcuni campi di concentramento. Siamo soddisfatti perché gli studenti hanno mostrato un interesse spontaneo per gli avvenimenti e sono stati contenti di venire a Verona». Dal liceo Dallaglio di Castelnovo Monti sono arrivate le due sezioni della terza. «Per i ragazzi - spiega l'insegnante Teresa Muratore, che insieme al collega Graziano Battioni ha preparato gli studenti a questa giornata - la strage di Cervarolo è un argomento molto sentito, in quanto avvenuto molto vicino a loro e perché ha coinvolto alcuni loro parenti. E' dall'anno scorso che stiamo preparando gli studenti su questa tematica, da quando abbiamo visto il film "Sopra le nuvole", che tratta di questo triste episodio. La scorsa settimana abbiamo ospitato Italo Rovali, che si è focalizzato proprio sull'eccidio, poi l'iter si è concluso con l'interevento del ricercatore dell'Istoreco Matthias Durchfeld, che ha parlato ai ragazzi delle armate tedesche». (a.v.)

Cervarolo, sfilano i testimoni dell'eccidio / Strage di Monchio, sentiti 15 testimoni / «Quello che mi dà più fastidio è che nessuno si sia pentito»

Dalla Gazzetta di Reggio del 18 dicembre 2010:

Cervarolo, sfilano i testimoni dell'eccidio
La prima volta davanti al giudice. Lacrime e una sola richiesta: «Punite quei criminali»

dal nostro inviato Andrea Melosi
VERONA. Ieri nevicava. Come il 20 marzo 1944. Il giorno dell'orrore a Cervarolo. Tribunale militare di Verona: davanti al giudice Vincenzo Santoro sfilano 15 testi nel processo a carico di Hans Georg Winkler, ex ufficiale della divisione Hermann Goering e di altri undici militari tedeschi accusati di stragi di civili a cavallo dell'Appennino tosco-emiliano, commesse tra la primavera e l'estate 1944. E in questo tragico rosario c'è anche Cervarolo di Villa Minozzo dove il 20 marzo '44 ventiquattro uomini, compreso il parroco, furono trucidati. IL PROLOGO. Ma prima la ferocia nazista si era fermata a Monchio e in altri paesini del versante modenese. Così il primo a deporre è Ferruccio Pancani. All'epoca aveva 10 anni e abitava con la famiglia a Costrignano, poco fuori Monchio. Il 18 marzo tutti furono svegliati dal cannoneggiamento tedesco che arrivava da Montefiorino, Fuggirono verso i campi e i boschi poi verso mezzogiorno, credendo che tutto fosse finito rientrarono a casa, ma una pattuglia tedesca sorprese suo padre Giuseppe e altri 4 uomini. Messi al muro e subito fucilati: «Mio padre - ha detto - fu quasi decapitato con una raffica». Poi giura e depone Umberto Bernardi, nipote di Raffaele Abbati, altro caduto. Rievoca i racconti della madre, dei morti accatastati come fascine prima della sepoltura. NATALINA. I ricordi di una bambina di 13 anni, Così è iniziata la serie di deposizioni dei testimoni per Cervarolo. La bambina di allora è Natalina Maestri. Ieri, per la prima volta dopo 66 anni ha raccontato l'angoscia di una vita: «Mi ricordo tutto, chiedetemi pure» ha detto con la schiettezza di una solida donna di montagna. «Il 19 don Pigozzi avvisò tutti gli uomini di scappare nei boschi perchè stavano per arrivare i tedeschi. Così in paese restarono solo donne e bambini. Arrivarono i soldati e ci dissero "fate tornare gli uomini, non gli faremo niente". Ci credemmo. La mattina dopo i tedeschi tornarono, cominciarono a buttare giù le porte e a prendere di tutto. Mio padre Sebastiano voleva nascondersi in soffitta. Non farlo, gli dicemmo, poi ti scoprono e ti ammazzano».
TRAGICO INGANNO. Uno ad uno gli uomini di Cervarolo vengono rastrellati e portati nell'aia. Non li ammazzano subito, li terranno lì, in piedi e al freddo, per tutto il giorno, illudendoli fino alla fine. Ancora Natalina: «I tedeschi ci dissero, preparate della roba da mangiare per i vostri uomini, li portiamo con noi in Germania. Poveretti, con quei fagottini in mano, li vedo ancora». Ma Natalina capisce ben presto la situazione: «Camminando con mamma e altre donne, abbiamo visto i corpi di due uomini stesi davanti alla loro casa». Erano Ennio e Lino Costi, padre e figlio, uccisi già al mattino. Al tramonto i tedeschi cominciano a bruciare case e stalle, «abbiamo sentito le raffiche di mitragliatrice e siamo scappate verso i boschi. Gridavano "ci ammazzano tutti gli uomini". La mattina siamo rientrate. Nell'aia tutti morti, c'era anche il parroco, prima picchiato e poi spogliato. Intorno le case bruciate. Non avevamo più niente, per anni abbiamo chiesto l'elemosina, ma tutti ci hanno aiutato. Sono qui per chiedere giustizia, perchè quelle persone, quei criminali siano castigati. Non si può descrivere quello che ci hanno fatto». TALIDE. Talide Vannucci aveva 9 anni. «La mattina del 20 marzo quando mamma si affacciò e vide i primi tedeschi urlò a mio padre, Giovanni alzati e scappa. Ma lui restò a letto perchè era malato. Mio nonno Agostino era invece nella stalla. Lo presero subito. Da prepotenti entrarono in casa, erano in due con i mitra. Aprirono i cassetti e presero tutta la roba da mangiare. Poi salirono al primo piano e portarono giù papà. Presero anche un servizio di posate e l'orologio da taschino di nonno. Misero tutto in un elmetto». Come le altre donne e bambini, anche Talide fu costretta a lasciare Cervarolo. «Ma mi ribellavo, volevo rimanere accanto a papà». Poi cominciammo a sentire sparare e vedere gli incendi delle case. Da allora il fuoco mi terrorizza. Del cappotto che aveva mio padre conservo un bottone trovato quando è stato riesumato. Oggi chiedo che per lui e gli altri sia fatta finalmente giustizia».
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«Quello che mi dà più fastidio è che nessuno si sia pentito»


REGGIO. Sono passati 66 anni, ma riparlare di quei tragici giorni provoca ancora lacrime e singhiozzi tra i parenti delle vittime. Sul pullman c'è chi ha perso genitori, zii, nonni o cugini, tutte persone che portano nel cuore una forte sete di giustizia. Proprio per questo, viaggiano verso Verona con grande speranza, confidando che i loro cari possano essere in parte ricompensati da un'equa sentenza. Tra queste persone, una di quelle ad avere una tra le storie più toccanti è Paola Fontana, 68 anni. Non abita più in zona, vive da anni a Viareggio ma conserva un forte legame con Cervarolo dove, nell'eccidio, ha perso il nonno e lo zio, di 56 e 32 anni. All'epoca Paola era una bambina di due anni e ovviamente non può avere ricordo di quanto avvenne quel giorno, ma grazie ai resoconti dei familiari è riuscita a ricostruire un quadro completo. «Mia madre - racconta commossa la donna - mi ha sempre raccontato quello che avvenne. Mio padre è stato quasi il primo a scoprire i cadaveri: impaurito, andò a chiamare un suo amico e insieme scoprirono che tra i morti c'erano anche i nostri cari. E' già la terza volta che vado a deporre, mi costa tantissimo in termini di emotività e di energie, e non so se ce la farò. Ma è giusto arrivare alla conclusione, anche per rispetto nei confronti di mia madre, che ha sofferto tanto e che era legatissima a mio zio Giovanni. Ora abito lontano ma questo terribile fatto mi tiene legata arcor più a Cervarolo. Confido che il processo possa arrivare a una conclusione: il nostro era un paese di brava gente che non aveva fatto nulla di male, ci conoscevamo tutti e dopo la strage siamo piombati nella miseria. Quello che mi dà più fastidio è che gli autori del massacro non si siano pentiti». Grande soddisfazione per gli sviluppi che sta prendendo il processo è stata espressa da Italo Rovali, uno dei legali dell'accusa e professore allo Zanelli: «Dopo tante sofferenze da parte del paese e grande lavoro istruttorio, si arriva ai resoconti dei testimoni che hanno vissuto i fatti in prima persona. Sono soddisfatto non soltanto per la posizione assunta dal tribunale, che sta lavorando bene, ma anche per il fatto che si sia creata una rete tra i vari legali e l'Istoreco. Mi fa inoltre piacere che i ragazzi abbiano voluto essermi vicino. Per gli imputati è soltanto questione di tempo, perché sono stati inchiodati dalle intercettazioni». (a.v.)

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Ines Rossi Paini, proiettato il dvd della sua intervista-testamento


VERONA. Ines Rossi Paini (nella foto con la figlia) se ne è andata qualche settimana fa a 96 anni. Era l'ultima vedova dei martiri di Cervarolo. Ma ieri nel tribunale militare di Verona la sua voce e la sua immagine sono comparse nella proiezione di un dvd presentato dal pubblico ministero Bruni. Contro la proiezione si è espresso il collegio di difesa degli imputati, contestando la procedura. Ma alla fine il giudice Santoro ha deciso a favore della proiezione, in quanto non contrastava con la deposizione resa poco prima dalla figlia Annamaria (colta da leggero malore) all'epoca dei fatti una bambina di appena tre anni, in quanto la sua testimonianza si basava «esclusivamente o prevalentemente su quanto appreso dalla propria madre». Nel dvd, l'anziana signora (come aveva in precedenza detto anche sua figlia) ricorda che i tedeschi presero a calci i secchi di latte che aveva appena munto, il tentativo di uno di loro di portarla in una camera, la cattura del marito Pio e del suocero Gaetano. Ines ricorda anche l'arrivo del tutto inatteso il 19 di Attilio Paini, il cognato abitava da tempo a Genova e da tempo abitava a Genova. Con la famiglia era in dissidio per probleni di soldi. La sera prima della strage s'incontrò con due soldati. In casa disse che non c'era da preoccuparsi, ma prima dell'alba del 20 lasciò di nascosto la casa. Molti lo accusano di essere stata una spia al servizio dei tedeschi.

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Dalla Gazzetta di Modena del 18 dicembre 2010

Strage di Monchio, sentiti 15 testimoni

PALAGANO. Toccanti e segnate da una profonda commozione ieri le testimonianze al processo aperto a Verona dei superstiti dell'eccidio del marzo 1944, quando i nazisti uccisero oltre cento civili tra Monchio, Susano, Costrignano e Savoniero. Nell'udienza di ieri il primo a deporre è stato Ferruccio Pancani. All'epoca aveva 10 anni e abitava con la famiglia a Costrignano. Il 18 marzo tutti furono svegliati dal cannoneggiamento tedesco che arrivava da Montefiorino, fuggirono verso i campi e i boschi e verso mezzogiorno, credendo che tutto fosse finito, rientrarono a casa, ma una pattuglia tedesca sorprese suo padre Giuseppe e altri 4 uomini. Messi al muro e subito fucilati: «Mio padre - ha detto - fu quasi decapitato con una raffica». Poi giura e depone Umberto Bernardi, nipote di Raffaele Abbati, altro caduto. Rievoca i racconti della madre, dei morti accatastati come fascine prima della sepoltura. Sono stati sentiti anche i superstiti di Cervarolo nel Reggiano, che ha pagato con molte vite quei giorni. «Le deposizioni rese ieri confermano in pieno l'impianto accusatorio» dice l'avvocato Ernesto D'Andrea che, insieme ai colleghi Vainer Magnani e Andrea Speranzoni, cura le decine di parti civili presenti al processo di Verona. «I testimoni - prosegue l'avvocato - hanno un ricordo nitido nell'identificare tra gli autori delle stragi i soldati tedeschi, alcuni dei quali ridevano mentre mettevano e ferro e fuoco paesi e borgate, e ricordano la partecipazione di militari fascisti»

Processo Monchio: "Così uccisero mio padre"

Dalla Gazzetta di Modena del 14 dicembre 2010:

"Così uccisero mio padre"
Un testimone: "Il suo sangue è rimasto sul taccuino"

PALAGANO. Riprendono oggi, nel Tribunale militare di Verona, le audizioni per la strage di Monchio, Costrignano e Susano del 18 marzo 1944, quando furono 140 le vittime accertate nel modenese a cadere sotto il fuoco dei tedeschi. A sfilare davanti alla corte, saranno gli ufficiali di polizia che hanno condotto le indagini nel merito dei capi di imputazioni, che vedono accusati per l'eccidio gli ex appartenenti alla divisione "Herman Goehring": Erich Koeppe, tenente dello Stato maggiore del III reparto; Hans Georg Karl Winkler, comandante di compagnia; Fritz Olberg, comandante di plotone; Wilhelm Karl Stark, comandante di squadra; Ferdinand Osterhaus, comandante di plotone; Helmut Odenwald, comandante della 10ma batteria artiglieria contraerea; Gunther Heinroth, soldato. Domani sarà volta di nuove testimonianze dei sopravissuti (in tutto il processo saranno ascoltati oltre 250 testimoni), che contribuiranno a ricostruire quella tragica giornata di sangue. Come Adalgisa Casini e Armando Tincani che nell'ultima udienza hanno rievocato davanti al collegio presieduto dal giudice Vincenzo Santoro, episodi dolorosi e agghiancianti di quei giorni di guerra. Adalgisa Casini - che all'epoca della strage aveva 8 anni - ha ricordato la crudeltà con la quale venne decapito il padre del suo futuro marito: la testa, mozzata di netto, venne ritrovata abbandonata in una scatola. Armando Tincani - 7 anni all'epoca - ha riferito in maniera precisa l'uccisione di suo padre, portando con sè a Verona, un taccuino appartenuto al genitore scomparso. Sui fogli, ancora indelebili le macchie di sangue. Oltre ai testimoni, l'ultima udienza ha visto la deposizione del consulente tecnico Alessandro Politi, analista strategico dell'esercito e studioso delle strategie antipartigiane in uso alle Ss. Da basi manualistiche degli anni '30-'40, il consulente ha illustrato i giorni dell'eccidio da un punto di vista tecnico militare, spiegando i ruoli della divisione dalla trasmissione dell'ordine fino ai momenti organizzativi. (e.spa.)

mercoledì 15 dicembre 2010

Un'onorificenza per Alfonso Pardini, l'uomo che salvò Lucca



Dal sito "Lo Schermo" di Lucca riceviamo e pubblichiamo volentieri l'articolo di Nazareno Giusti

Un'onorificenza per Alfonso Pardini, l'uomo che salvò Lucca

LUCCA, 11 dicembre - Ci sono persone a cui dobbiamo molto, tutti. Perché con le loro gesta, a volte senza accorgersene, ci hanno permesso di vivere nella Libertà, anche se sono sconosciute alla maggior parte di noi. Spesso per la dimenticanza degli uomini, a volte per la loro riservatezza. Uno di questi è sicuramente Alfonso Pardini che, insieme ad altri tre compagni, salvò Lucca dal bombardamento in programma nel settembre 1944.
Oggi, nella sala degli specchi di Palazzo Orsetti, alle 12, gli è stata consegnata un'onorificenza. Meglio tardi che mai.
“Questa cerimonia - dice infatti giustamente Lio Michelotti, presidente delle associazioni combattentistiche - avrebbe dovuto tenersi molti anni fa, ma solo da pochi mesi abbiamo saputo che uno dei quattro giovani eroi era ancora in vita”.
Pardini però, da persona schiva e riservata qual’è, non si è mai vantato della sua impresa, e a guerra finita aveva proseguito nella sua normale vita insieme con la sua famiglia.
“Oggi – ha continuato Michelotti - compiamo un atto di doverosa riparazione.Lucca avrà sempre un posto di riguardo per lui e per gli altri tre suoi compagni".
Per motivi di salute Pardini, non era presente di persona, ma era rappresentato dalla moglie Maria Ester Accosta e dai figli Enzo e Laura che ha ritirato il riconoscimento con il quale, ha detto il sindaco Mauro Favilla, “la città di Lucca in segno di riconoscenza, ha voluto rendere omaggio al coraggio ed alle virtù civiche ed a quel gruppo di ardimentosi che salvò la città dalla distruzione.”
Erano giorni di ansiosa attesa quelli del settembre del 1944. La città delle mura è occupata dai nazisti che, accerchiati, si stanno smobilitando. Pisa è già stata liberata e gli Alleati continuano la loro inesorabile e incontrastata avanzata. La pressione suoi tedeschi è pressante, l'attività patriotica è fervente e entusiasta, dopo tanti mesi di lotta, la Liberazione sembra vicina.
Nella notte del 2 settembre, però, gli uomini di Hitler fanno irruzione nella Certosa di Farneta, facendo oltre cento prigionieri tra religiosi e civili, che lì erano stati accolti e nascosti. Molti saranno deportati nei vicini campi di raccolta di Nozzano, Camaiore e Massa. Un tragico canto del cigno, un ultimo colpo di coda.
Sono ore concitate, il Combat Team dopo aver varcato il foro di San Giuliano si posiziona tra Vorno e Pontetetto, a circa due chilometri dalla città. Tutto è pronto per l'assalto finale. Il generale della Quinta Armata americana è pronto a bombardare la città, per stanare gli ultimi tedeschi.
“Ma per fortuna - dice lo storico Paolo Bottari - quell'attacco non fu necessario perchè un tempestivo quanto provvidenziale e coraggioso interevento dei partigiani lucchesi della formazione “Bonacchi” riuscì a rompere in più punti il fronte tedesco sull'Ozzeri e a raggiungere il comando americano, per informarlo che i tedeschi stavano fuggendo verso i monti”.
Sono Guglielmo Bini, Giuseppe Lenzi, Alberto Mencacci (oggi deceduti) e Pardini che (come ha ricordato questa mattina il direttore dell’Istituto Storico della Resistenza Lilio Giannecchini) “affrontarono con coraggio i pericoli della sortita ed ebbero anche uno scontro a fuoco con la postazione tedesca situata al ponte dei Frati, mettendola fuori uso” e riuscendo a prendere contatto con il comando delle truppe alleate situate a Guamo, informado il colonnello Sherman (che aveva già predisposto quattro batterie di cannoni) dell’avvenuta insurrezione e dell’occupazione della città da parte delle formazioni combattenti.
Sherman, comandante del 370° Combat Team, credette alla loro informazione e decise di sospendere il previsto bombardamento inviando una pattuglia guidata da un capitano. “Questa decisione - conclude Giannecchini - fu essenziale per la salvezza della città, tanto che alcuni anni fa ai due ufficiali americani fu attribuita la cittadinanza onoraria lucchese alla memoria.”
I primi patrioti lucchesi erano già entrati festanti in città anticipando di qualche ora l'ingresso degli uomini del capitano Gandy. Un'anticipazione dell'entrata dell' U.S. Army di martedì 5 settembre. Una data storica per Lucca.
Ma la guerra non era ancora finita.
A poco più di trenta chilometri, seguendo a ritroso il fiume Serchio, passava infatti la Linea Gotica, ultimo baluardo delle Forze dell'Asse. Seguirà un lungo e sanguinoso inverno prima della Primavera della Liberazione.
Ma intanto Lucca era libera. La sua gente, i suoi palazzi, le sue chiese, i suoi santi, le sue tradizioni erano salve grazie al coraggio di uomini come Pardini.

venerdì 10 dicembre 2010

Monterumici 1944: la guerra scoppia nel diorama vivente



Durante l'evento "Le stragi di guerra come fratture" a Monterumici (Monzuno), domenica 14 novembre si è svolto il diorama vivente "17 ottobre 1944: le voci dopo la strage", ecco l'articolo del 9 dicembre 2010 di Francesco Fabbriani apparso sul Resto del Carlino di Bologna

La guerra scoppia nel diorama
Tedeschi, alleati, partigiani: a Monzuno il Secondo conflitto mondiale è un set

Le colline di Monterumici sono state ancora teatro dello scontro fra esercito tedesco e alleato. Organizzato dalla associazione Linea Gotica si è infatti tenuto una rievocazione storica (diorama vivente) incentrata sugli avvenimenti succeduti nel lontano 17 ottobre del ’44 quando, dopo un feroce scontro in cui gli alleati tentarono per ben 11 volte di conquistare la cima di Monterumici, seguì una pausa per riorganizzare le fila. Il pubblico è stato testimone del pattugliamento di piccoli drappelli di militari. Il comportamento dei soldati corrispondeva a fatti realmente avvenuti. Così uno dei militari americani dice di essere alla ricerca di un braccialetto d’argento perduto durante gli scontri. In effetti nell’area il braccialetto è stato ritrovato anni dopo la guerra e riportava il nome del soldato che lo indossava e della sua innamorata. Ricerche hanno poi rivelato che il soldato ha effettivamente combattuto a Monterumici, ma di lui si sono perse le tracce: uno dei tanti dispersi che non hanno una tomba. Così i militari tedeschi raccontano del loro disprezzo per gli italiani considerati traditori ed esternano la loro rabbia per dover combattere la guerra che avrebbe dovuto essere dell’alleato. Il pubblico ha partecipato con molta attenzione sollecitato dalla ricostruzione con il diorama vivente e dal dialogo con i militari. “L’incontro con personaggi realmente esistiti e l’assistere a episodi realmente avvenuti, è molto bello,” ha detto Lamberto Stefanini dell’associazione ‘La Rana dalla Bocca Larga’. “Il diorama vivente aiuta a ricordare la verità e coinvolge il pubblico che esprime così anche le proprie emozioni” ha precisato Claudio Contri. Annalisa Calabria sta traducendo il diario di un soldato americano e ha detto: “Molto interessante assistere alla storia vera”. Mirco Rinaldi è accompagnato dal figlioletto, il piccolo Francesco: “Sono un cercatore di reperti bellici e in queste zone ne ho trovati diversi”. La professoressa Anna Pozzi giudica molto interessante la rappresentazione: “Fa capire la storia vissuta dai singoli ”. Marialuisa Menegatto ha aggiunto: “Mi è piaciuto molto”. Jan Pascal Marcacci sentenzia: “I morti vanno tutti rispettati. Le idee no”. Giancarlo Rivelli ha tenuto la conferenza finale e ha voluto ricordare: “La storia dell’Appennino bolognese del periodo bellico ha ancora molto da raccontarci”.

giovedì 9 dicembre 2010

Cervarolo (Reggio Emilia): "Nuovi testimoni per Cervarolo"


Dalla Gazzetta di Reggio del 3 dicembre 2010 riportiamo l'articolo:

Nuovi testimoni per Cervarolo
Il pm Bruni ha raccolto i ricordi di sei persone sull'eccidio del 1944


VILLA MINOZZO. Gli anni, anche se tanti, non fermano la memoria. Così si allunga la lista dei testimoni per l'eccidio di Cervarolo del 20 marzo 1944: 24 civili inermi fucilati dai tedeschi con la complicità dei fascisti. Le parole di tre uomini e tre donne saranno usate nel processo in corso a Verona contro ex militari della Goering. Per ascoltare chi ora ha i capelli bianchi, il volto segnato dalle rughe, ma con la testa ancora ben funzionante, il pubblico ministero Bruno Bruni al processo di Verona, ha compiuto un sopralluogo a Cervarolo e poi a Monchio, nel Modenese, altro teatro della barbarie nazifascista che vede imputati una dozzina di ex ufficiali e sottufficiali di reparti della divisione Goering che operarono nell' Appennino tosco-emiliano. In totale Bruni ha raccolto undici nuove testimonianze da allegare agli atti processuali; di queste, sei per Cervarolo. Si tratta di tre uomini e altrettante donne che all'epoca dei fatti erano ragazzi e giovani: Italia Gigli; Cesare Merciadri; Remo Magnani; Marialuisa Paini; Remo Monchi e Paola Fontana. Da ricordare alcune loro storie. Magnani aveva 14 anni quando nel marzo '44 a Civago sfuggì per miracolo a raffiche di mitra che gli spararono dei fascisti della Gnr (la guardia nazionale repubblicana). Remo Monchi, dopo la strage di Cervarolo, venne costretto dai tedeschi a trasportare delle cassette di munizioni. Il ragazzo arrivò così fino a Case Bagatti con gli uomini della Goering. Qui rischiò di essere eliminato come scomodo testimone, ma alla fine in qualche modo riuscì a salvarsi. Di assoluto rilievo, per la ricostruzione degli eventi che precedettero l'eccidio di Cervarolo, viene ritenuta la testimonianza fornita da Italia Gigli. All'epoca lavorava nell'ufficio postale e telegrafico di Gazzano. La sera del 19 marzo (24 ore prima della strage) stava per chiudere l'ufficio quando fu fermata da alcuni militari (in paese erano giunti dei reparti per trascorrere la notte). L'anziana, in una nostra precedente intervista riferì che a costringerla a tornare in ufficio «furono dei tedeschi, ma c'era anche un fascista in divisa. Era delle nostre parti perché parlava in dialetto». La Gigli venne costretta a trasmettere ordini via telegrafo. Erano le direttive per l'azione di rastrellamento e accerchiamento di Cervarolo prevista per il giorno dopo. La donna avrebbe anche ascoltato delle telefonate con il capo della Gnr che in quelle ore si trovava a Villa Minozzo. 3 dicembre 2010

mercoledì 8 dicembre 2010

Vernio in lutto per la morte del sergente Singlestad


Da "Notizie di Prato" del 1° dicembre 2010 riportiamo l'articolo
Vernio in lutto per la morte del sergente Singlestad
uno degli ultimi reduci della divisione Red Bull che liberò la Vallata dai nazisti


Prima di cominciare il consiglio comunale, lunedì scorso, il sindaco di Vernio Paolo Cecconi ha voluto dedicare un ricordo a Sylvester Don Singlestad scomparso il 18 novembre negli Stati Uniti. Singlestad era un reduce statunitense combattente in Italia nella seconda guerra mondiale, contribuì allo sfondamento della “Linea Gotica” partecipando alle battaglie sulle montagne di Vernio.
Nato il 9 maggio del 1917, era originario del Minnesota e veterano della 34th divisione di fanteria “Red Bull” alla quale il Comune di Vernio ha dedicato anche una via, quella che conduce al passo della Torricella dove, nel settembre 1944, si svolse una delle battaglie più cruente che interessarono il suo territorio. Il sergente Singlestad fu presidente dell’associazione dei veterani della 34th divisione di fanteria “Red Bull” ed accolse il sindaco di Vernio quando quest’ultimo, insieme allo storico locale e past president dell’Unuci di Prato (ufficiali in congedo), Tenente Riccardo Barni, si recò nel 2008 nell’Iowa al raduno dei veterani della 34th Infantry Divisione “Red Bull”.
Singlestad è stato inumato lunedì 29 novembre, stesso giorno in cui si è svolto il consiglio comunale a Vernio, con una cerimonia militare al cimitero militare di stato di Camp Ripley, in Minnesota. Nel settembre del 2009 Singlestad intervenne, venendo appositamente dagli Usa, alla cerimonia che annualmente il Comune di Vernio organizza al Passo della Torricella, per celebrare l’anniversario della liberazione di Vernio dal nazifascismo e i caduti della seconda guerra mondiale. Insieme a lui arrivarono dagli Usa una ventina fra reduci e loro discendenti per partecipare alla celebrazione del Comune pratese. Arrivò a Vernio volando in Italia direttamente dall’Iraq, dove era impeganto in operazioni militari attive, anche il generale comandante della 34th Infantry Divisione Richard Nash.
La commemorazione Sylvester Don Singlestad al consiglio comunale, dopo un breve ricordo fatto dal sindaco, è stata pronunciata dal tenente Riccardo Barni, Past President dell’Unuci di Prato, che proprio nel 2008 in occasione della visita compiuta negli Usa insieme al sindaco di Vernio, ebbe l’onore di essere nominato membro onorario della Associazione dei “Red Bull”.

lunedì 6 dicembre 2010

Tradotta in inglese la storia della Battaglia di Natale in Valle del Serchio


Da "Lo Schermo" del 04-12-2010 riportiamo l'articolo di Nazareno Giusti

Tradotta in inglese la storia della Battaglia di Natale in Valle del Serchio


04-12-2010 / Fatti & personaggi / Nazareno Giusti

BARGA (Lucca), 27 novembre - Nella vita di alcuni di noi ci sono giorni speciali in cui arrivano notizie che non ci saremmo mai aspettati, arrivano all'improvviso, come è accaduto al Tenente Colonnello Vittorio Lino Biondi che, di ritorno dalla missione in Afghanistan, aprendo la sua posta elettronica, si è trovato una sorprendente mail inviatagli dalla signora Anne Leslie Saunders, professoressa alla Research Associate Department of Classics College of Charleston (USA) autrice d'una guida in inglese che tratta della Seconda Guerra Modiale in Italia (“A Travel Guide to World War II Sites in Italy”) e di un importante sito sull'argomento: www.travelguidepress.com.

La professoressa statunitense, oltre a rivolgere i suoi complimenti per l'attività svolta, ha chiesto al militare di poter tradurre il suo libro “La Battaglia di Sommocolonia”, pubblicato nel 2007 con all'attivo una ristampa e la pubblicazione all'interno del volume “Operazione Wintergewitter” dello storico Davide Del Giudice.

La professoressa è venuta a conoscenza del libro sulla battaglia di Natale grazie al dottor James Pratt che proprio a maggio si era recato a Sommocolonia a visitare i luoghi dove il padre, capitano del II° Battaglione del 366th (l'unico reggimento con ufficiali afroamericani, ndr) della 92ma Divisione Buffalo, aveva combattuto dal novembre del '44 all'aprile del '45.

Confessa Biondi: “E' stato emozionante e veramente bello leggere la richiesta della Dottoressa Anne Leslie, è stato pari alla soddisfazione che ho avuto nel ricevere due email dal parte della Ambasciata Italiana a Vienna che ritrascrivevano una comunicazione ricevuta da un professore di Storia austriaco che si complimentava per il libro, in quanto... 'preciso, veritiero, onesto e sopratutto senza acredine.' Vuol dire che abbiamo lavorato bene, e questo alla fine conta. Proprio due bellissimi riconoscimenti, contrapposti e quindi ancor più gratificanti.

Ma perchè negli Stati Uniti c'è questa grande attenzione per questa piccola battaglia?

"La forte considerazione è essenzialmente dovuta al fatto che essa è l'unica attività operativa di un certo livello che si svolse nel 'sottosettore occidentale della Valle del Serchio'. Quando si parla della Linea Gotica, si intende essenzialmente la grande battaglia, durissima e sanguinosa, di Rimini che si svolse nel settore Adriatico, e che durò tutta l'estate del '44 fino a ottobre inoltrato con moltissime perdite da entrambe le parti. Da noi, nel settore Occidentale, le battaglie furono assai più contenute, in particolare l'unica vera operazione è la 'Wintergewitter' Temporale d'Inverno, che mise in difficoltà temporanea gli Alleati, costringendoli ad un rapido cambiamento degli assetti e delle forze sul terreno. Gli afroamericani vivono pertanto il ricordo di questa battaglia, che li ha visti in difficoltà, con un forte senso del ricordo e della passione di chi ha condiviso un particolare momento negativo. Hanno combattuto con onore, ma sono stati battuti dall'impeto travolgente delle forze dell'Asse. Anche se è stata una vittoria effimera, durata due giorni: al terzo giorno erano state già riprese le vecchie posizioni. A seguito di questo momento infelice per la 92° Divisione Buffalo, vi fu un deciso riordinamento interno che vide migliorare sensibilmente la policy razziale con la quale dovevano confrontarsi quotidianamente i soldati afroamericani, oltre alla normale contrapposizione contro le forze nemiche come è ben descritto nel docufilm di Fred Kuwornu, 'Inside Buffalo'".

venerdì 3 dicembre 2010

Davide Perlini: "Una storia di guerra"


Riceviamo da Davide Perlini l'articolo riguardo la sua storia pubblicato il 4 novembre 2010 su "Carluke Gazette"

A WARTIME LOVE STORY


By ROSS THOMSON
A CARLUKE family have been re-united with their Italian cousin after 65 years - with a helping hand from the Gazettel Jeanette Marshall contacted the Gazette after an emotional meeting with long lost Italian cousin Davide Perlini in Bologna five weeks ago.
The story dates all the way to 1944 when five brothers of the Jackson family of Carluke went to fight for their country during WWII.
Jeanette said: "My mother (Susie Jackson) had one sister and 11 brothers.
"Five brothers including my uncle David went off to fight for Britain during the war.
"While in Italy my uncle fell in love with an Italian woman Fernanda Perlini and she soon fell pregnant.
"However, by this time my uncle had been moved to the front and she didn't tell him.
"By 1946 the war had ended and my uncle David had started a new life but Fernanda had the baby who she called Davide.
"Unfortunately in those days having a child outside marriage was frowned upon and Davide was eventually put in an orphanage while his mother went to Milan returning for him 14 years later."
It wasn't until his mother died in 2005 that Davide began searching for his father, which began with reading the Gazette dated May 19 1944 which informed the Jackson family that all five brothers were stationed initially and were doing well.
After that Davide took his search all across Italian television and newspapers in a bid to find his father.
Unfortunately for his son David Jackson had since died and is buried in Bermondsey in London, where he settled after the hostilities ended.
But that didn't stop Davide from tracking down his long lost family and finally this year he made the big breakthrough.
Jeanette said: "After the war all of my mum's brothers moved to London with only my mum and aunt Mary remaining in Carluke:
"After a lot of tracking down Davide managed to get in contact with his half sister Heather and they met up in August this year."
It was while booking a short break in Italy for herself and partner Allan that Jeanette managed to finally meet her cousin and despite not understanding the Italian language she knew straightaway who it was she was talking to.
"We were looking at a number of places in Italy such as Milan, Venice and Rome," said Jeanette. "We eventually decided to go for a couple of days to Bologna.
"It was at that time that I received an e-mail from a member of the family to say that there was an Italian cousin who desperately wanted to meet me.
"Having swapped e-mails back in forth we agreed to meet.
"I wasn't sure how he would recognise me but he told me he would know straight away because of my eyes.
"The day before myself and Allan were sitting in a little pub having a glass of wine when all of a sudden I saw this man looking at me.
"He then came up and started pointing at my eyes and that's when I knew it was him.
"He was so emotional, which is very Italian, and couldn't believe that he had met more of his family. It is like something from a fairytale.
"It just goes to show that you should never give up if you are in a situation like that.
"We are hoping that he will come over to Scotland in the near future.
"He is such a nice person and I'm so glad that I have found him."