martedì 30 giugno 2009

La Pedagogia della Lumaca


Da Pacelink prendiamo la recensione di "La pedagogia della lumaca" di Laura Tussi
La scuola contemporanea, come la società umana, è incentrata sul traguardo della velocità, dell'accelerazione, della competizione.
"La Pedagogia della Lumaca", l’ultimo libro di Gianfranco Zavalloni, è una provocazione.
E' l'elogio della lentezza, del ritardo, del tempo dell'attesa...
LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA.
PER UNA SCUOLA LENTA E NONVIOLENTA
EMI, Bologna 2009
Libro di Gianfranco Zavalloni
Recensione di Laura Tussi
La scuola contemporanea, come la società umana, è incentrata sul traguardo della velocità, dell'accelerazione, della competizione.
"La Pedagogia della Lumaca", l’ultimo libro di Gianfranco Zavalloni, è una provocazione.
E' l'elogio della lentezza, del ritardo, del tempo dell'attesa.
Il sistema attuale, trionfante di materialismo, esacerbato di fittizi slogan e tracotante di vacuità edonistiche in eccesso di apparenza e futilità, votato al mito dell'economico e dell'efficientismo sfrenato, nell'alienante espropriazione del soggetto-persona, con la perdita di punti di riferimento e di ideali classici di equilibrio, soppiantati dall'imperante massificazione consumistica, dal mito capitalistico del potere egoico e del primato dell'economico esclude radicalmente dalla propria concezione capitalista ed edonista, pesante e devastatrice, il “pensiero debole” della lentezza, che implica l'accettazione di tutto ciò che è leggerezza, l'accoglienza della fragilità, propria e altrui, la valorizzazione della fanciullezza e dell'immaturità, nel tempo educativo dell'attesa, dove il rallentare diviene un imperativo di sopravvivenza da parte di quell'homo economicus che dovrebbe trovare il coraggio di recuperare e scoprire altre dimensioni vere ed autentiche della vita umana.
Davvero risulta urgente un risveglio catartico e rigeneratore dal torpore della civiltà occidentale capitalista, che ha indotto l'uomo al traguardo della globalizzazione forzata, con il mito della crescita esponenziale economica, senza limiti, dove tutto intorno è competizione, prevaricazione, arroganza, nella legge del più forte, della volgarità triviale.
Come creare dunque una società migliore improntata su esempi di vita semplici, dove anche un bambino possa apprezzare valori etici e riappropriarsi di caratteristiche che risultano innate ed implicite?
L'esigenza di lentezza e non violenza, di leggerezza e fragilità, come accettazione dello scarto, del limite, dell'inferiorità, dell'inefficienza, del saper apprezzare ciò che non è pienamente efficace ed efficiente, attivo, bello, giovane e prestante è un valore contro i disvalori livellatori e omologanti dettati e imposti dal mito consumistico del sempre nuovo, dell'innovativo, dell'efficace, che risultano fondamentalmente sprezzanti nei confronti di chi è lento, di chi rimane indietro, di chi non sa stare al passo con i tempi, di chi non ce la fa a riemergere o, semplicemente, a sopravvivere alla farsa pretestuosa e opportunistica della modernità incalzante e dell'epoca del sempre nuovo.
Occorre scoraggiare la rincorsa affannosa ed infelice verso la chimera del benessere materiale eccessivo, superfluo e, per questo motivo, schiavizzante e, al contrario, incentivare il richiamo della semplicità nella vita, nel quotidiano, nelle relazioni con tutti e con ciascuno, nella fragilità degli stati d'animo, nella lentezza di risposte a quesiti mai posti, nella precarietà degli affetti, dei sentimenti, degli scarti emozionali di insuccessi esistenziali.

domenica 28 giugno 2009

Stragi naziste, ergastolo per nove ex Ss. E la Germania dovrà risarcire


Dal Corriere della Sera del 26 giugno 2009
Stragi naziste, ergastolo per nove ex Ss
Gli ex militari nazisti condannati per gli eccidi avvenuti a Bardine S. Terenzo e Fivizzano nel '44
ROMA - Ergastolo per nove ex ufficiali e sottufficiali delle SS, oggi tutti ultraottantenni, ritenuti responsabili della strage di Bardine S. Terenzo ed altri efferati eccidi consumati nell'estate del 1944 nei comuni di Fivizzano e di Fosdinovo, in Toscana: oltre 350 le vittime civili, «fra cui - si legge nel capo di imputazione - numerose donne, anziani e bambini». All'ergastolo sono stati condannati dal tribunale militare di Roma Paul Albers, Josef Baumann, Hubert Bichler, Ernst Kusterer, Arnold Rosler, Adolf Schneider, Mx Schneider, Heinz Fritz Trager e Helmut Wulf: il più 'giovane' ha 84 anni, il più anziano 90.
LA CONDANNA - Gli ex militari nazisti rinviati a giudizio erano 11, ma uno - Max Roithmeier, 86 anni - è morto. Un altro, Walter Waage, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Il tribunale (presieduto da Agostino Quistelli) ha anche condannato la Repubblica Federale di Germania, in qualità di responsabile civile, in solido con gli imputati, al risarcimento dei danni nei confronti dei comuni di Fivizzano e di Fosdinovo e di una cinquantina di parenti delle vittime, che si sono costituiti parte civile. L'ammontare verrà definito in sede civile, ma intanto è stata stabilita una provvisionale di un milione e 250 mila euro. I soli imputati sono stati condannati anche al risarcimento dei danni nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Regione Toscana, anch'esse parti civili (con una provvisionale, per la Regione, di 40mila euro).
LE STRAGI - L'inchiesta per gli eccidi in provincia di Massa Carrara venne avviata dalla procura militare della Spezia dopo il ritrovamento - nel 1994 - del famoso 'Armadio della vergogna', contenente 695 fascicoli di crimini nazifascisti mai perseguiti. Nell'aprile dell'anno scorso gli 11 imputati furono rinviati a giudizio e il 4 giugno 2008 ci fu l'avvio del processo. Il tribunale spezzino, però, nel frattempo ha chiuso i battenti, e le carte sono passate a Roma. Gli imputati sono tutti ex appartenenti alla famigerata 16/a Divisione SS 'Reichsfuhrer', il reparto cui vengono attribuiti - sotto il comando e la regia del maggiore Walter Reder - i principali eccidi compiuti tra la Toscana e l'Emilia Romagna durante la 'ritirata del terrore' del 1944, a cominciare da quello di Marzabotto. In particolare, gli imputati sono accusati - a vario titolo - dell'uccisione, a Bardine di S. Terenzo, di 53 uomini già rastrellati alcuni giorni prima in occasione della strage di S. Anna di Stazzema, in Lucchesia: li legarono agli alberi e ai pali dei vigneti circostanti e poi li fucilarono. I cadaveri vennero lasciati quindi esposti con il cartello: «Questa è la fine di chi aiuta i partigiani». Altre 103 persone furono ammazzate a Valla (tutti abitanti di San Terenzo Monti, rifugiatisi in una casa colonica) e più di 200 in diversi altri paesi della zona. Gli imputati non si sono mai interessati dell'inchiesta italiana e sono stati processati in contumacia, ricorrendo agli interrogatori fatti per rogatoria. Nel caso in cui la sentenza diventasse definitiva si porrà il problema di come far scontare la pena: sono infatti ormai numerosi i criminali nazisti nei cui confronti la Cassazione ha confermato l'ergastolo ma che vivono tranquillamente in Germania perché non è stata mai chiesta l'esecuzione delle condanne.

sabato 27 giugno 2009

Presentazione dvd "4 luglio 1944. La strage di Biagioni"


5 luglio 2009 - ore 10
Pro Loco di Biagioni Granaglione (BO)
presentazione del documentario
"4 luglio 1944. La strage di Biagioni"

a cura dei ricercatori storici: Alessandro Borri e Beatrice Magni


Saluti: Renato Mattioli (Presidente Pro Loco di Biagioni) e Antonio Baruffi (Dirigente scolastico I.C. Castel di Casio-Granaglione)
Interventi: Giuseppe Nanni (Sindaco Comune di Granaglione), Walter Vitali (senatore), Fabio Giannelli (Istituto Storico della Resistenza di Pistoia), Paolo Zanca (Vice Presidente dell'Assemblea legislativa Regione Emilia Romagna), Alberto Ronchi (Assessore cultura, sport, progetto giovani Regione Emilia Romagna).
Saranno presenti: Maria Elisabetta Pasquali (Banca di Credito Cooperativo Alto Reno), Carla Strufaldi (Sindaco Comune di San Marcello Pistoiese), Nerino Aguari (Anpi Pracchia sez. Ludovico Venturi), Angiolino Venturi (Ass. reduci e combattenti Granaglione).

Regione Emilia Romagna
Comune di Granaglione
Comune di Sambuca Pistoiese
Comune di San Marcello Pistoiese
Banca di Credito Cooperativo Alto Reno
Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea della Provincia di Bologna
Istituto Storico della Resistenza di Pistoia
Anpi Provinciale di Bologna
Anpi Pistoia
Anpi Pracchia sez. Ludovico Venturi
Comitati Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto
Associazione Reduci e Combattenti di Granaglione

venerdì 26 giugno 2009

Presentazione del libro di Paolo Pezzino e Luca Baldissara "Il Massacro"


Dalla Rivista del Mulino riportiamo la notizia della presentazione del libro di Paolo Pezzino e Luca Baldissara "Il Massacro. Guerra ai civili a Monte Sole".
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 nell'Appennino bolognese, intorno a Monte Sole, le truppe tedesche compiono il più grande massacro di popolazione civile perpetrato sul fronte occidentale durante la seconda guerra mondiale, noto come "strage di Marzabotto". Quasi ottocento persone vengono uccise in oltre cento diverse località di eccidio distribuite sul territorio. La storia del massacro è ricondotta in questo libro al contesto in cui maturò: al rapporto tra partigiani e popolazioni e alle ragioni che consentirono ai soldati tedeschi di vedere in donne e bambini un nemico da sterminare.

Il libro viene presentato
- Il giorno 4 luglio, alle ore 10, presso la Sala Consigliare del Comune di Marzabotto, alla presenza degli autori, di Celestino Porro, del senatore Giovanni Bersani e di Don Athos Righi, priore della Piccola Famiglia dell'Annunziata (grazie al Consorzio di gestione del Parco Storico di Monte Sole).
- Il giorno lunedì 6 luglio alle 18, presso la Libreria.coop Ambasciatori di Bologna, in via Orefici, 19, alla presenza degli autori e di Carlo Galli, Paolo Prodi e Walter Vitali. Modera l’incontro Michele Smargiassi

Ad Anoeta (Spagna) il primo evento del progetto S.E.ME. (Sharing European Memories)


Dal sito internet di Risorsa Europa riportiamo il report dell'evento ad Anoeta (Spagna) di Garbiele Ronchetti
Ad Anoeta (Spagna) il primo evento del progetto S.E.ME. (Sharing European Memories)
Ad Anoeta, comune spagnolo a poca distanza da San Sebastian, nei paesi baschi, si è svolto il 5 giugno scorso il primo evento nell’ambito del progetto europeo S.E.ME. (Sharing European Memories) di cui Risorsa Europa è capofila. Il progetto, approvato sul programma comunitario Cultura 2007-13, vede un partenariato diffuso a cui partecipano, oltre al capofila italiano, enti della Gran Bretagna, della Norvegia, della Polonia e della Spagna. SEME è dedicato al recupero e alla salvaguardia delle memorie storiche relative ai conflitti del XX secolo che hanno diviso il continente europeo, attraverso azioni didattiche nelle scuole, finalizzate alla realizzazione di laboratori e performance artistiche da presentare poi al pubblico.
In Spagna si è dunque svolto il primo di questi eventi, con una rappresentazione cinematografica, teatrale e musicale del lavoro fatto con le scuole del paese di Anoeta. Qui, dopo diversi laboratori didattici dedicati alla storia della comunità, sono state messe in scena (con la partecipazione di numerosi abitanti del posto) diverse performance attraverso i ricordi di una figlia della guerra in esilio nel Regno Unito. Ogni “pièce” ha rappresentato un momento di cambiamento nella storia di Anoeta: un cortometraggio su un episodio della guerra fra carlisti e liberali del 1872; una proiezione di una selezione digitale di storie e testimonianze sulla vita quotidiana negli anni ’40 del Novecento; un piccolo “musical” sui poeti folk tradizionali e il primo dei movimenti sociali al tempo della dittatura franchista; una performance di danza contemporanea quale espressione della volontà di un futuro di pace per Anoeta. Una folta partecipazione di pubblico locale ha partecipato all’evento, oltre alle delegazioni dei partner del progetto SEME, quali ospiti d’onore della manifestazione.
Le stesse delegazioni, nella giornata dell’evento serale, hanno partecipato ad una conferenza stampa con la partecipazione di giornalisti locali interessati al progetto ed hanno successivamente svolto un breve meeting tecnico per fare il punto sull’avanzamento delle fasi esecutive di SEME, che si concluderà nel mese di maggio 2010 con il grande evento finale in Italia.
Il prossimi appuntament saranno a Novembre con gli eventi di Leeds in Inghilterra e Lodz in Polonia.
Il progetto S.E.ME intende favorire la condivisione delle memorie e la riflessione sulle divisioni e i conflitti che hanno connotato il continente europeo nel secolo scorso, ai fini della costruzione di un’autentica cittadinanza europea.
In pratica, saranno realizzate nelle scuole, con il coinvolgimento di insegnanti e studenti, ricerche documentali, interviste a testimoni e raccolte digitali di materiali sui conflitti europei, che costituiranno la base per la realizzazione di laboratori e performance artistiche (con il successivo coinvolgimento di professionisti del settore) che verranno poi rappresentate pubblicamente, fino ad arrivare ad un festival finale in Valsamoggia nella primavera del 2010, al quale parteciperanno tutti i partner europei con le loro singole performance.

Il meeting


Una parte dell'evento che ha coinvolto l'intero paese

The Pacific - Il trailer della miniserie firmata Spielberg e Hanks


Da cineblog.it del 22 giugno riprendiamo la notizia "The Pacific - Il trailer della miniserie firmata Spielberg e Hanks"
In effetti questo trailer è un po’ off-topic trattandosi di una mini-serie televisiva, ma visto che in produzione c’è una coppia d’oro di Hollywood, direi che rientra ampiamente nei nostri interessi.
Stiamo parlando di The Pacific, nuovo progetto sulla seconda guerra mondiale per la coppia composta da Steven Spielberg e Tom Hanks, che dopo la collaborazione per Salvate il soldato Ryan avevano già realizzato la splendida mini Band of Brothers.

giovedì 25 giugno 2009

Stupro di guerra L'Onu scopre una nuova arma


Dal La Stampa del 21 giugno 2008 riportiamo l'articolo di Giovanni De Luna "Stupro di guerra L'Onu scopre una nuova arma"
All'unanimita' il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che classifica lo stupro come un'arma di guerra. Definendolo uno strumento utilizzato «per umiliare, dominare, instillare paura, cacciare e/o obbligare a cambiare casa i membri di una comunita' o di un gruppo etnico», l'Onu ha cosi' ufficialmente indicato nella violenza sessuale contro le donne (realizzata all'interno di un contesto bellico) non solo un reato contro la persona, ma anche una violazione delle norme internazionali, inserendola - di fatto - nell'elenco delle pratiche proibite accanto all'uso di armi vietate, terrorismo, torture sui prigionieri eccetera. In attesa che sia piu' chiaro il modo in cui questa indicazione diventera' operativa e' da accogliere con soddisfazione almeno la portata simbolica del provvedimento. Il diritto internazionale arranca, inseguendo guerre di «terza generazione», soldati che assomigliano a mercenari, conflitti asimmetrici, faticando a trovare regole che si adattino a queste nuove realta'. «Scoprire» oggi che lo stupro e' un'arma puo' sembrare quasi irridente se si pensa a quella che e' stata la storia. Tutta intera la modernita' delle guerre che hanno affollato la nostra epoca e' segnata infatti da questo tipo di violenza: ovunque nel mondo, per gli eserciti vittoriosi gli stupri sono stati l'occasione per l'esercizio di un potere assoluto, totale, in grado di espropriare gli sconfitti non solo della loro dimensione pubblica, privandoli del loro Stato, del loro territorio nazionale, ma anche di quella privata, penetrando nelle loro case, squarciandone l'intimita', distruggendo le famiglie. Gli stupri di massa, la brutalizzazione dei corpi femminili, persino dei corpi gravidi, la mutilazione dei genitali - punto focale simbolico della continuita' della vita - sono state le prove ultime e definitive dell'«inumanita' della guerra». Cosi', tra i tragici «eccessi» di violenza lasciati in eredita' dal Novecento, un posto centrale e' occupato dallo «stupro di Nanchino» (dicembre 1937) perpetrato dai giapponesi a danno dei civili cinesi. Quello che successe allora appare ancora oggi inimmaginabile. Il Tribunale militare internazionale, istituito dopo la seconda guerra mondiale per punire i colpevoli, calcolo' che le vittime, tra la fine del 1937 e gli inizi del 1938, furono piu' di 260 mila. Secondo altri calcoli i morti furono circa 350 mila e le donne violentate tra 20 mila e 80 mila. Stupri individuali e collettivi, quasi sempre conclusi con l'omicidio, furono una delle costanti di quel massacro, coinvolgendo donne anziane, bambine e donne gravide. Vi furono soldati giapponesi che fotografavano le stragi e gli stupri per averne un ricordo. Di queste schifezze spuntano ancora oggi le immagini piu' crudeli: gli aguzzini documentavano maniacalmente i ventri squarciati, le donne ferite a morte e costrette e mettersi in pose oscene prima di esalare l'ultimo respiro. Ma anche a noi niente fu risparmiato. Tra il 1943 e il 1945 sulle donne italiane si scatenarono violenze di tutti i tipi e su tutti i fronti: sulla «linea gotica», i tedeschi infierirono soprattutto nei dintorni di Marzabotto, quasi a voler reiterare la strage in altre forme; sull'Appennino ligure-piemontese, nel 1944, in sei mesi, si registrarono 262 casi di stupro a opera dei «mongoli» (i disertori dell'Asia sovietica arruolati nell'esercito tedesco). Su tutti troneggia sinistramente la tragedia che investi' le «marocchinate> >, le donne stuprate in Ciociaria e nel Lazio nella primavera del 1944. Dopo lo sfondamento della «linea Gustav», le truppe coloniali francesi si avventarono sul paesino di Esperia, che aveva come unica colpa quella di essere stato sede del quartier generale della 71° Divisione tedesca. Tra il 15 e il 17 maggio 1944, oltre 600 donne furono violentate; identica sorte subirono numerosi uomini e lo stesso parroco del paese. Nelle guerre post-novecentesche, lo stupro e' diventato una delle armi privilegiate della «pulizia etnica». Sempre, questi comportamenti sono stati considerati fuori del contesto della guerra, come forme di una «guerra ai civili» che sfuggivano alle norme che disciplinano la guerra simmetrica, quella combattuta tra Stati sovrani e tra eserciti regolari. Ora con la risoluzione dell'Onu si prende finalmente atto di una tragica realta'. C'e' da sperare che non si tratti soltanto dell'ennesima enunciazione di principio priva di conseguenze pratiche. La guerra ai civili e' di gran lunga quella piu' praticata e diffusa nel mondo. E lo stupro di massa ne e' l'aspetto piu' drammatico e crudele.

La memoria degli ultimi testimoni


Dal Giornal.it riportiamo l'articolo di Lg del 22 giugno 2009
Incontro con Gianna Menabreaz - La memoria degli ultimi testimoni

Spesso, quando si rievoca con la memoria il dramma della Seconda Guerra Mondiale, tornano alla mente le immagini, terribili e inumane, dei campi di battaglia e di prigionia, la festa per la Liberazione ed i cambiamenti istituzionali che vi sono inevitabilmente succeduti: la storia ha trovato a queste date una loro dimensione, mentre i libri ne riportano dettagli e motivazioni. Il XX secolo italiano però racconta vicende, che non sempre riescono ad emergere con forza e vigore, e così può capitare che se ne perda traccia, che la memoria pian piano le faccia scivolare indietro.
Dal 2005 a Canelli (in collaborazione con analoghe esperienze di Acqui Terme), è nata l’Associazione Memoria Viva, che si è posta proprio l’obiettivo di recuperare la memoria storica per gli anni che vanno dal primo dopo-guerra alla fine della secondo conflitto globale. L’idea è nata dalla sensazione che, via via scomparendo coloro che ne sono stati protagonisti, si tenda ad affievolire l’attenzione ai valori dei quali sono stati portatori: l’iniziativa nasce sotto il lume della valorizzazione dell’esistente e la collaborazione tra soggetti diversi. In quest’ottica si pone anche l’ultima opera di Gianna Menabreaz (che dell’associazione fa parte), “Gli ultimi testimoni”.
Il libro raccoglie una serie di testimonianze dalla viva voce di ex deportati ed internati in campi di concentramento o di lavoro, che vivono nella città di Canelli e dintorni. È l’emozione che guida tali verità “nude e crude”, che permettono di avvicinare nel tempo e nello spazio vicende che i giovani tendono a sentire come estranee. L’autrice non è esattamente alle prime armi, poiché ha già pubblicato alcuni racconti paesani (L’abbandono e Il sentiero che porta in collina), ricevendo una menzione per un premio letterario nazionale. Durante il nostro incontro sono emerse le interviste alla base del libro: raccolte in diverse occasioni, ma soprattutto durante gli incontri avvenuti tra i testimoni e gli studenti della Scuola primaria e Secondaria di Primo grado di Canelli, sono il frutto di un'attività didattica sperimentata sul campo, sinonimo di una storia che vuole dialogare con l’attualità.
Una storia molto vicina alla Menabreaz: uno dei 24 internati del testo è infatti suo padre, “Gino” …
“Purtroppo è così, ma è prima di tutto la storia di una resistenza silenziosa, in qualche modo passiva, e certamente non meno dura. Al termine dell’ultimo conflitto mondiale, Canelli è stato uno dei primi paesi a costituire l’Associazione Nazionale Internati, e noi abbiamo individuato circa 40 deportati della zona: dapprima si sono dimostrati restii a ricordare una pagina oscura del proprio passato (forse speravano di aver dimenticato tutto l’orrore della guerra e della prigionia), ma nel momento in cui hanno iniziato a parlare non gli sembrava vero di poterlo raccontare ad altri, specie giovani e giovanissimi. È stata un’esperienza incredibile, che vorrei si ripetesse con molti altri ragazzi di tante altre scuole, perché dopotutto è come far incontrare nonni e nipoti.”
Il libro è stata la naturale conseguenza di una memoria storica, ma questo forse non è l’aspetto più rilevante.
“La questione è infatti un’altra: il dolore che queste persone provano è verso i compagni che non ce l’hanno fatta, mentre le sofferenze e privazioni personali passano in secondo piano. Se poi vogliamo dare un’occhiata ai numeri, si capisce perché si è trattato di una vera lotta per la repubblica: in Italia ci sono stati circa 600.000 internati, soldati italiani diventati nemici della Germania dal giorno alla notte (8 settembre 1943), in seguito all’armistizio con gli Alleati. Mi preme sottolineare che non si trattava di prigionieri comuni, ma militari considerati traditori dall’esercito tedesco, e come tali trattati. Se avessero risposto “sì” alla Germania (che gli proponeva di continuare a combattere per l’Asse), chissà come sarebbe finita la guerra …”
Una domanda, per i ragazzi che assisteranno alla presentazione del libro nelle scuole, e per tutti noi.

domenica 21 giugno 2009

La riscoperta della strage di Sant'Anna di Stazzema


Dal sito internet Giornale di Storia prendiamo l'interessante articolo di Toni Rovatti.
Uso pubblico della storia
Il film di Spike Lee Miracolo a Sant'Anna riporta alla luce la storia del massacro di Sant'Anna di Stazzema (2 agosto 1944) rimasta fino a qualche anno fa pressoché dimenticata, cancellata dalla memoria nazionale e relegata, insieme alla sua comunità superstite, in un oblio intoccabile.
La strage consumatasi ai danni dell'inerme popolazione civile presente a Sant'Anna di Stazzema (Lucca) il 12 agosto 1944 per mano di soldati tedeschi appartenenti alla 5ª, 6ª, 7ª e 8ª compagnia del II Battaglione del 35º Reggimento della XVI SS Panzergrenadier Division "Reichsführer-SS" (Battaglione Galler), pur essendo fra i maggiori episodi d'indiscriminata violenza militare perpetrati in Italia durante il secondo conflitto mondiale, fino a qualche anno fà era paradossalmente caratterizzata dalla mancanza di una strutturata memoria pubblica a livello nazionale. Secondo in Italia per numero di vittime coinvolte solo alla strage di Marzabotto/Montesole, l'arbitrario massacro consumatosi a Sant'Anna appare infatti avvolto durante la seconda metà del Novecento da un alone di indeterminatezza e oblio, a più riprese inutilmente scalfito dalla perseverante volontà di riconoscimento espressa dalla comunità superstite. Mancano infatti fino all'inizio degli anni Settanta riconoscimenti istituzionali di rilievo e limitate appaiono anche le iniziative pubbliche ad opera dell'amministrazione centrale e periferica volte al sostegno materiale per la ricostruzione del paese e la preservazione della specifica memoria di guerra. Pressoché inesistenti - se si escludono alcune opere di memorialistica - si dimostrano invece fino alla metà degli anni Novanta gli studi storici volti ad una dettagliata ricostruzione dell'azione armata, del contesto in cui ne matura la genesi e delle nefaste conseguenze che segnano indelibilmente la vita e la memoria della comunità locale. I procedimenti giudiziari, in cui l'episodio viene segnalato quale capo d'imputazione prima del 2005, appaiono incapaci infine di individuare responsabilità individuali dirette in relazione allo specifico crimine e di codificarne quindi gli avvenimenti a livello legale.
La mancanza di memoria pubblica - a livello storico, istituzionale e giudiziario - che per molti anni contraddistingue nell'Italia repubblicana la strage di Sant'Anna, appare ancor più sorprendente in misura della crudeltà e della barbaria che caratterizzano l'evento, anche limitandone la descrizione ai soli elementi essenziali. A partire dalle prime ore del mattino infatti il piccolo borgo montano, ubicato sulle Alpi Apuane alle spalle di Pietrasanta a circa 800 metri di altitudine, viene circondato da quattro colonne di soldati equipaggiati con armi pesanti (mitragliatori e lanciafiamme) e abbondante munizionamento. Mentre una prima colonna chiude la via di fuga verso il piano in direzione di Valdicastello, le altre tre colonne raggiungono le varie borgate che compongono il paese rispettivamente da Monte Ornato, dalla strada di Pontestazzemese /Foce di Compito e dalla Foce di Farnocchia fra il Monte Lieto e il monte Gabberi, stringendo l'abitato in una morsa concentrica che via via si chiude verso la piazza della chiesa. I militari giunti da direzioni diverse alle prime abitazioni situate nella vallata di Sant'Anna iniziano a radunare ed incolonnare i civili verso le borgate più interne; una volta raggiunti punti prestabiliti lanciano razzi luminosi per segnalare la propria posizione e danno quindi inizio simultaneamente all'azione armata. Nelle borgate della Vaccareccia, del Colle, dei Franchi, delle Case, di Coletti il rituale è sempre il medesimo: gruppi di civili inermi - composti anche da 30/40 persone - sono rinchiusi nei piani bassi delle abitazioni, colpiti a più riprese dal fuoco delle mitragliatrici posizionate sugli ingressi e dalle bombe a mano lanciate attraverso le finestre. Morti e feriti, dopo una rapida ispezione compiuta dai militari per dare il colpo di grazia ad eventuali superstiti, sono quindi dati alle fiamme appiccando il fuoco agli interi caseggiati. L'apice dell'orrore viene raggiunto sulla piazza della chiesa dove circa 150 persone sono radunate e indiscriminatamente mitragliate: i loro corpi sono quindi bruciati in un'enorme pira umana costruita con le paratie della chiesa nel frattempo saccheggiata; un agglomerato indistinto di corpi che brucia emanando una linea di fumo visibile dal piano per giorni, che diventerà per l'intera Versilia l'immagine simbolo dell'orrendo massacro compiuto a Sant'Anna.
(L'articolo segue sul sito internet di Giornale di Storia .pdf)

Il peso del passato. Germania, Italia e i risarcimenti alle vittime del nazismo


Dal sito internet Giornale di Storia prendiamo l'interessante intervista a Lutz Klinkhammer di Michela Ponzani.
Mestiere di storico
Il peso del passato. Germania, Italia e i risarcimenti alle vittime del nazismo

Intervista a Lutz Klinkhammer
di Michela Ponzani
01.06.2009
Che cosa è oggi il "mestiere di storico"? Quali sono gli strumenti, la metodologia e l'approccio alle fonti? Quanto l'esperienza personale può pesare sulla scelta delle tematiche di ricerca affrontate? Ne discutiamo con lo storico tedesco Lutz Klinkhammer, con il quale affrontiamo anche il tema centrale dei suoi studi, ovvero la questione dei risarcimenti richiesti alla Germania federale dalle vittime del nazionalsocialismo, ancora in gran parte irrisolta come dimostra la sentenza della Cassazione italiana che, nell'estate del 2008, ha condannato la Germania a risarcire i familiari di nove vittime della strage del 24 giugno 1944 a Civitella Val di Chiana.
1. Cominciamo con una domanda di carattere autobiografico. Riguardo al suo percorso di studi in Germania quali sono gli studiosi che hanno contribuito maggiormente alla sua formazione intellettuale? Il sistema universitario tedesco l'ha portata a confrontarsi con altre discipline come la sociologia, l'antropologia, le scienze politiche o la storia dell'arte?
Devo dire che quando iniziai a studiare all'Università di Trier (Treviri) sono stato influenzato molto dai docenti che lì insegnarono la storia e la storia dell'arte; un po' meno dalla scienza politica anche se poi ho anche sentito lezioni di giurisprudenza, di economia e di sociologia per interesse personale.
Più di ogni altra persona sono stato influenzato da chi poi è diventato il mio maestro accademico, cioè da Wolfgang Schieder, e questo ha segnato molto anche il mio futuro percorso biografico, soprattutto nel legame che si è creato poi con la storia italiana. Per un certo periodo è stato molto importante anche il mio professore di storia dell'arte Wilhelm Schlink, anche lui un maestro di rilievo e grande comunicatore con gli studenti, che ha suscitato in me un notevole interesse per la disciplina. Una nota a margine: suo fratello magistrato è diventato famoso in Germania quando ha cominciato a scrivere dei gialli e poi anche dei romanzi che riguardano il tema della colpa per il nazismo. Il più noto è diventato "Der Vorleser", tradotto in italiano con il titolo "A voce alta", e che riguarda proprio i processi nei confronti di alcuni aguzzini dei campi di concentramento e di sterminio.
Quindi questa influenza da parte di uno storico dell'arte giovane, perché quando cominciai a studiare i miei professori ordinari avevano tra i 40 e i 50 anni e quindi erano pieni di energia - infatti Schlink andava sempre in mensa e veniva confuso con gli studenti perché indossava scarpe da jogging e aveva i capelli un po' disordinati - e molto impegnati nel trasmettere un entusiasmo per la loro materia ai loro studenti, ha fatto sì che mi sia interessato alla storia dell'arte italiana.
Cominciai con un corso di lingua nella mia università di formazione con un lettore italiano veneto, per poi frequentare un corso a Firenze all'Università per gli stranieri con una borsa della DAAD, che è un'organizzazione tedesca nota per stimolare gli scambi accademici con i paesi stranieri (vengono anche parecchi italiani in Germania). Il soggiorno a Firenze ha segnato un po' il mio futuro interesse non solo per la storia dell'arte ma anche per la storia italiana. Difatti, poco tempo dopo, sono tornato a Firenze con una borsa dell'Istituto tedesco di storia dell'arte per un corso sull'arte duecentesca-trecentesca in Toscana.
Tuttavia sono stato influenzato anche da un professore molto valido di storia dell'antichità grazie al quale mi sono interessato della storia romana, e in particolare all'immagine dei barbari che veniva trasmessa dagli scrittori dell'antica Roma. Ho poi frequentato anche corsi di altre materie perché il modello tedesco è basato non tanto sulla lezione cattedratica ma sulla formula seminariale in cui gli studenti espongono temi e tesine. Ad un certo punto però ha prevalso il mio interesse per la storia italiana contemporanea, in particolare grazie ad un seminario sulla politica di occupazione nazionalsocialista in Europa tenuto da Wolfgang Schieder; si cercava uno studente che si occupasse del caso italiano ed io ero l'unico a parlare italiano.
Quindi a spingermi verso lo studio di questi temi sono stati prevalentemente professori dediti all'insegnamento capaci di trasmettere il loro entusiasmo ai giovani laureandi. Non sono stato spinto da una costellazione familiare o da un particolare senso di colpa. Io ho conosciuto l'Italia inizialmente da un punto di vista turistico e alla storia italiana sono arrivato più attraverso un interesse che era già presente nei miei professori e che ho potuto approfondire: il maestro più importante nella mia formazione, Wolfgang Schieder, aveva trascorso lui stesso un soggiorno di ricerca a Roma alla fine degli anni '60. Così anch'io ho conosciuto l'Istituto storico germanico dove sono approdato dopo la laurea con una borsa per fare il dottorato incontrando una figura intellettuale importante come Jens Petersen.
(L'articolo segue sul sito internet di Giornale di Storia .pdf)

sabato 20 giugno 2009

Strage nazista di Casalecchio, nessuna condanna


Dal sito internet di Viaemilianet riportiamo l'articolo di Luca Pistonesi
Strage nazista di Casalecchio, nessuna condanna
Il Tribunale militare di Verona ha ritenuto di non procedere nei confronti dell'unico imputato, il capitano delle SS Manfred Schmidt. Nell'ottobre del '44 sedici persone furono trucidate in quella che viene ricordata come la Strage del cavalcavia
BOLOGNA, 14 GIU 2009 - Indignazione e rabbia: questi i sentimenti dei familiari delle vittime delle stragi naziste al pronunciamento della sentenza sul caso della Strage del cavalcavia di Casalecchio. Il giudice ha deciso per il non luogo a procedere nei confronti di Manfred Schmidt, il capitano della 16° Panzergrenadierdivision delle SS, ritenuto responsabile, insieme ad alcuni SS italiani, dell'eccidio. La sentenza è stata motivata con la morte dell'imputato, che tuttavia non è stata mai verificata. Schmidt, infatti, ha fatto perdere le sue tracce circa 60 anni fa, quando si consegnò alle autorità Alleate e accettò di collaborare, ricevendo in cambio una nuova identità.
"Quella del non luogo a procedere è una decisione di compromesso, un'uscita di comodo che suscita meraviglia" ha spiegato Giuseppe Giampaolo, rappresentante del Comune di Casalecchio, della Provincia di Bologna e della Regione Emilia Romagna, costituitesi parti civili al processo. "Non c'é mai stata in Germania la dichiarazione di morte presunta di Schmidt. Suo figlio si è sempre rifiutato di rispondere e non ha mai detto che suo padre era morto". In ogni caso, sembra probabile che le istituzioni ricorrano in appello.
Schmidt, che oggi avrebbe quasi 97 anni, è ritenuto di fatto uno degli autori della strage: in caso contrario, il giudice avrebbe disposto l'assoluzione per non aver commesso il fatto. Assieme a lui avrebbero dovuto essere processati anche il comandante Max Simon, ufficialmente deceduto nel 1961 e già processato anche in Gran Bretagna per fatti simili. Deceduto è anche Helmut Wilhelm Loos, responsabile del controspionaggio della 16ma divisione SS e seppellito nel 1999, dopo aver finto due volte la morte. Infine risultano defunti anche i due italiani ritenuti coinvolti nei rastrellamenti, Tommaso Jezzi e Guerrino Lollo.
Il ritardo dei procedimenti giudiziari, che giungono a conclusione dopo 65 anni dai fatti, è inaccettabile ma non deve meravigliare. Solo nel 1994, infatti, cioè a 50 anni dalle stragi, fu aperto il cosiddetto "armadio della vergogna": un archivio segreto, riposto nei sotterranei del Ministero dell'Interno, che conteneva la descrizione dettagliata degli eccidi nazisti sul territorio italiano durante la resistenza. Uno scandalo le cui conseguenze continuano a pagare i familiari delle vittime, che dopo aver perduto in maniera atroce i propri cari, vedono svanire la possibilità di ottenere giustizia.
La strage del cavalcavia è una delle pagine orrende della storia dell'occupazione nazista. Il 10 ottobre del 1944, 13 partigiani della 63a Brigata Garibaldi, tra i quali sei russi e il medico costaricano Carlo Martinez Collado, fatti prigionieri dopo la battaglia di Rasiglio, furono condotti dai tedeschi nel giardinetto presso il cavalcavia ferroviario di Casalecchio di Reno. Uno ad uno vennero legati alla gola e alle mani con filo spinato, appesi a pali e cancellate, falciati alle gambe e lasciati morire dopo lunga agonia. Due giorni prima, altri tre civili erano stati rastrellati e fucilati dopo uno scontro a fuoco tra i tedeschi e i partigiani.
di Luca Pistolesi

Ultima udienza per la strage: Superstiti di S. Terenzo e Vinca in Tribunale a Roma


Dal sito internet dell'ANPI versiliese prendiamo questa news
Ultima udienza per la strage
Superstiti di S. Terenzo e Vinca in Tribunale a Roma

FIVIZZANO, 12 giugno 2009 - Si svolgerà oggi al Tribunale militare di Roma in via delle Milizie 7, quella che probabilmente sarà l’ultima udienza nel processo in cui sono imputati gli ex appartenenti alle SS Tedesche, tutt’ora viventi, accusati delle stragi nazi-fasciste di Bardine, San Terenzo Monti e Vinca (nella foto i martiri uccisi). Processo passato a Roma dopo la chiusura della Procura di La Spezia.
Durante quest’udienza saranno in aula ed ascoltati quali testimoni Silvio Tonelli, Silvana Paradisi e Duilio Piccioli.
Saranno presenti altresì dei rappresentanti dei familiari delle vittime dell’eccidio di San Terenzo e Vinca, tra cui l’ ex assessore del Comune di Fivizzano Mimmo Colonnata.
Il Comune di Fivizzano, insieme a numerosi familiari delle vittime delle vittime degli eccidi Nazi-Fascisti di Vinca Bardine e San Terenzio Monti, si è costituito parte civili, tramite gli avv. Franco Perfetti, Davide Cariola ed Emilio Bonfigli nel processo a carico delle ex SS tedesche.
In nuovo Sindaco di Fivizzano, Paolo Grassi, è fortemente impegnato a portare avanti con determinazione la linea intrapresa dall’ amministrazione Rossetti, al fine di poter giungere alla verità storica e giuridica, anche se dopo 65 anni, rispetto ai tragici fatti della primavera-estate del 1944 che tanto hanno insanguinato il territorio del Comune di Fivizzano.
In quest’occasione il Comune di Fivizzano, in collaborazione con l’Avis di Fivizzano, ha messo a disposizione i mezzi di trasporto per consentire ai testimoni e ai rappresentanti dei familiari delle vittime, di poter presenziare all’ udienza del 12 giugno.
Da non dimenticare che i parenti delle vittima dei nazisti hanno anche intrapreso un’azione civile per il risarcimento danni da parte delle Repubblica Federale tedesca, giuridicamente erede - nel bene e nel male - del Terzo Reich nazista.
Se la condanna in sede penale avrebbe soprattutto un valore simbolico (gli imputati sono tutti vecchissimi), quella in sede civile potrebbe aprire spiragli imprevedibili anche per gli eredi delle vittime di altre stragi. Comprese molte di quelle avvenute a Massa ed in Lunigiana nei duri anni della Linea Gotica.
In ogni caso, la Germania , di fronte alla condanna di pagamento dei danni, ha sempre fatto ricorso, rivolgendosi alla Corte europea.
Insomma per avere giustizia la strada da percorrere è sempre lunga.

Stragi naziste: dopo 60 anni spunta a Bologna elenco vergogna


Stragi naziste: dopo 60 anni spunta a Bologna elenco vergogna
Agenzia ANSA del 18 maggio 2009

STRAGI NAZISTE: DOPO 60 ANNI SPUNTA A BOLOGNA ELENCO VERGOGNA
(ANSA) - BOLOGNA, 18 MAGGIO - C'è un elenco della vergogna tutto bolognese, rimasto ignoto per sessant'anni e che racconta due anni di stragi e crimini nazifascisti sulla linea gotica. A compilarlo, durante la guerra, erano stati i Reali Carabinieri, su richiesta del colonnello Romano Dalla Chiesa il 12 agosto 1944: un lavoro imponente e preziosissimo, svolto in condizioni difficili, ma che è stato rinvenuto solo nel 2005 negli archivi del Comando regionale dell'Arma.
Nelle sue pagine ci sono riferimenti a 163 episodi che portarono a 422 vittime, circostanziati con date, descrizioni, testimonianze, nomi dei morti e persino l'indicazione dei presunti colpevoli. Alcuni sono celebri, come l'eccidio di Casteldebole o Molinaccio di Sotto, ma in gran parte si tratta di crimini di cui è rimasta memoria solo tra la gente del luogo. La scoperta, resa pubblica dal senatore Walter Vitali che è entrato in possesso dei documenti durante i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta del 2005, costringe ad aggiornare i dati delle vittime civili nella provincia di Bologna che, secondo i primi calcoli, sono ora stimabili in non meno di 1.400.
Vitali ha anche ricostruito il percorso di insabbiamento degli 'specchi' dei Carabinieri che parte, guarda caso, dall'armadio della vergogna scoperto nel 1994 a Palazzo Cesi che conteneva le inchieste sulle peggiori stragi nazifasciste in Italia. Nonostante il clamore della vicenda, la Procura Generale Militare, infatti, trattenne 273 fascicoli per, ha spiegato Vitali, "una supposta indagine storico-giudiziaria, adducendo che c'erano già stati pronunciamenti". Tutto falso, invece, tanto che Vitali ha anche denunciato alla Procura di Roma i vertici militari, poi assolti, ma censurati dal loro organo di disciplina interno.
Da quei fascicoli, scoperti nel 2003, l'avvocato consulente della commissione Simone Sabattini è così arrivato all'elenco bolognese, di cui si è occupato personalmente il pm della Procura cittadina Luigi Persico. La lista indica colpevoli tedeschi e italiani, sia in uniforme che in abiti civili e solleva il velo su episodi meno noti, come gli omicidi di padri di famiglia che tentavano di difendere le figlie oggetto di violenza sessuale o l'impiccagione di due ragazzi ebrei.
Su alcuni casi singoli, Persico ha condotto anche ricostruzioni dettagliate e approfondite, in cerca di eventuali colpevoli ancora in vita. E' il caso dell'eccidio di cinque partigiani il 12 agosto 1944 a Porretta Terme, oggetto di un'inchiesta già nel dopoguerra e che fu archiviata il 21 novembre 1984. Troppo presto, secondo Persico, perché uno dei due italiani indicati da una testimonianza come responsabili era ancora in vita ed è per questo che Vitali ha preannunciato una denuncia per omissione d'atti d'ufficio al magistrato che decise l'archiviazione. L'auspicio di Vitali è che ora venga istituita una Fondazione sulle stragi nazifasciste in Italia, magari con sede all'Altare della Patria: "E' tempo che lo Stato dia agli storici il libero accesso a tutti gli archivi", ha spiegato il senatore Pd, ipotizzando anche la creazione di un archivio dei crimini a livello regionale e provinciale.

venerdì 19 giugno 2009

L'anniversario del D-Day: un barghigiano sulla spiaggia di Omaha


Da "Il Giornale di Barga" leggiamo l'articolo di Vittorio Biondi
"L'anniversario del D-Day: un barghigiano sulla spiaggia di Omaha"
di Vittorio Biondi da "Il Giornale di Barga"
5 giugno 2009

Tra i primi soldati alleati a cadere sulle spiagge della Normandia il giorno del «D-Day» ricordiamo il soldato americano Giacomo Martorana. Il padre, Angelo era siciliano, ma la madre era la signora Letizia Gonnella di Barga, sorella di Vincenzo Gonnella che era il nonno di Marco Marchetti. Proprio lui ci ha segnalato la presenza di Giacomo Martorana allo sbarco in Normandia.
Nato negli Stati Uniti, pur se residente a Glasgow, decise di arruolarsi nell'esercito americano, non prima però di essere stato internato in Canada per il suo cognome italiano. Chiarito l'equivoco tornò in Gran Bretagna per combattere con l'esercito americano. Con questo attraversò la Manica e perì sulla spiaggia di «Omaha». Per il suo eroismo ricevette la «Purple Heart», onorificenza militare americana. Alla sua famiglia giunsero anche telegrammi di cordoglio del presidente americano Truman e del comandate delle forze da sbarco alleate, Ike Heisenower. Giacomo Martorana riposa nel cimitero militare americano di Cambridge.
Sappiamo che allo sbarco in Normandia parteciparono anche altri «bargo-esteri». Purtroppo non siamo riusciti ad avere altre informazioni precise in merito.
Tra coloro che hanno attraversato la Manica, anche il fratello di Giacomo, Sergio Martorana. Giunse in Francia con l'esercito Scozzese. Ci è stato poi segnalato il signor Osvaldo Grumoli che vive a Campbeltown in Scozia. Giunse in Francia con le successive ondate dell'esercito inglese, il 16 giugno 1944.
Qualche giorno dopo lo sbarco arrivò proprio sulla stessa spiaggia di “Omaha” Fredy Rigali, barghigiano nato a Boston ed arruolato nell'esercito americano dove prestò servizio nel 776° battaglione di artiglieria contraerea “Liberty Bell”.
Per ricordare il 65° anniversario dello sbarco in Normandia ed insieme per rendere omaggio al sacrificio di Giacomo Martorana, pubblichiamo sul giornale di barga online la ricostruzione storica di quei giorni scritta dal maggiore Vittorio Biondi e dedicata appunto anche al sacrificio di questo nostro concittadino.
28 magg. '44 -Sud del Regno Unito,
Vengono distribuiti nuovi materiali e vestiario agli uomini delle forze operative alleate destinate alla operazione "Overlord," in Normandia, l'invasione dell'Europa occupata. Dai nuovi numeri di serie dei pacchetti di munizioni, i soldati intuiscono che ormai siamo prossimi... Sulla sponda opposta, il personale dei centri di radiointercettazione tedeschi, rileva un aumento del traffico dei messaggi...i soldati vanno alla Messa; è domenica. Probabilmente l'ultima che avrebbero preso, prima dello sbarco. Anche gli ebrei fanno la comunione. Tutti stringono le armi mentre pregano, quasi a trasmettergli una specie di carica spirituale aggiuntiva. In una delle tante aree di imbarco nei pressi di Falmouth, in Cornovaglia (UK) il Private Giacomo Martorana, un soldato italoamericano in forza al 116th rgt della 29th Divisione US "LET'S GO", era intento a pulire il suo nuovo fucile semiautomatico assegnatogli da poco; un fiammante Garand M1 in cal. 0.30 della Winchester Repeating Arms Company. Il suo haversack M28 era pieno stipato di viveri, munizioni e di tutto il necessario per vivere, muovere e combattere per i primi giorni dell'invasione; quelli determinanti.
Le giornate passavano veloci, tra rapporti pre-missione, controllo materiali, adunate (tutti gli eserciti sono uguali...), attività fisica, addestramento, ma niente libera uscita. Ormai erano isolati. Una coltre di riserbo e di segretezza era stata creata per mettere i partecipanti alla più grande operazione di sbarco, in condizioni di non far trapelare le più importanti informazioni che portavano con loro: il luogo e la data.
Nei rari momenti di riposo Giacomo pensava ai genitori, emigranti italiani che provenivano da un piccolissimo paesino dell'Italia Centrale, nell'Appennino Tosco Emiliano, Barga, dal quale erano fuggiti dopo l'avvento del fascismo, per ...incompatibilità caratteriale del padre. Erano così arrivati a Glasgow in Scozia.
Al momento dell'entrata in guerra degli Stati Uniti, contro la Germania e l'Italia, tutti gli italiani (e i tedeschi) presenti nel Regno Unito, furono rapidamente catturati ed rinchiusi in appositi campi di internamento.
Giacomo e la sua famiglia andarono in un campo nel Rhode Island praticamente in Canada.
Gli andò bene; a molti altri italiani, imbarcati frettolosamente sulla nave da trasporto "Arandora Star", la fortuna non arrise così; il 2 luglio del 1940, mentre trasportava circa 1500 prigionieri da internare, fu colpita al largo delle coste irlandesi da un sottomarino tedesco, l'U 47, ingannato dalla sua livrea grigia, che la faceva assomigliare ad una unità da guerra. Si salvarono poco più di 500 persone.
Ansa TORONTO, 1 GIU - Riconoscere formalmente una grave ingiustizia commessa ai danni di italiani, internati tra 1940-'45.É quanto si prefigge una pdl canadese. La proposta sarà votata dalla House of Commons di Ottawa per onorare la memoria di quegli italiani. Nel 1940, 670 famiglie di canadesi di origine italiana, già stabiliti da decenni e cittadini a pieno titolo, furono proclamati dall'oggi al domani 'Nemici Interni' solo perché avevano un cognome italiano. Il Canada all'epoca combatteva contro i fascisti.
Solo dopo più di un anno di attenta sorveglianza e di continuo monitoraggio della corrispondenza e delle comunicazioni telefoniche, quando le autorità americane si accertarono dei suoi veri sentimenti americani, gli fu concesso l'onore di poter combattere con l'esercito degli Stati Uniti ( the US ARMY) e si arruolò nella 29th Divisione di fanteria "LET'S GO"; il simbolo di questa Unità, è il Taijitu, diagramma cinese bicolore che rappresenta la unione; i due colori "Blue and Gray" ( il nickname) vogliono rappresentare l'unione finalmente raggiunta al termine della guerra di Secessione tra i confederati del Sud (in grigio ) e i soldati dell'Unione del Nord in Blu appunto.
All'interno di questa Divisione uno dei reggimenti di punta era il 116th Regimental Combat Team, destinato ad aprire la strada all'invasione nella infernale delle spiagge: Omaha denominata successivamente "La sanguinaria"... Indovini il lettore arguto dove il povero emigrante italiano pvt Giacomo Martorana, ebbe l'onore di prestare servizio, all'interno della 29th Divisione "Let's go"?
Indovinato.
Nel 116th Infantry Regiment, 29th Infantry Division con la matricola 31067644.
La sua compagnia, la B -"Baker", del 1^ Battaglione, era comandata da un altro italo americano, il capitano Ettore Zappacosta, che aveva riunito nella sua compagnia molti italiani; insieme avevano affrontato il lungo e duro periodo di amalgama e addestramento specialistico preparatorio allo sbarco, e si erano guadagnati l'onore e il più prosaico onere di sbarcare sulla spiaggia più difficile dell'intera zona di operazioni.
La spiaggia di Omaha.
La B Coy, sarebbe arrivata con la seconda ondata di mezzi, alle 07.00 LT : durante l'ultimo rapporto, fu comunicato il loro obiettivo: Vierville, un piccolo e grazioso abitato di casette di pescatori sulla spiaggia normanna.
il 30 Maggio distribuirono anche le uniformi nuove da indossare; erano impregnate di un liquido antiaggressivo, dall'odore nauseabondo, che le rendeva fredde e umide; non traspiravano, di giorno erano caldissime e di notte ci si gelava; mai una volta che l'Intendenza indovinasse una divisa per soldati. L'unica cosa positiva le grandi tasche, capienti e rinforzate per contenere grandi quantità di munizioni, clips e caricatori.
Incominciarono a sistemare l'equipaggiamento da combattimento, fissando con nastro telato, i ganci metallici di sospensione per evitare rumore e che si aprissero nel momento più fatidico. Il tascapane dorsale, denominato haversack M28 conteneva il necessario per l'igiene personale (è sempre stata una fissa di tutti gli eserciti pretendere che, anche nel combattimento più cruento, i soldati abbiamo sapone, lamette e pettine...), le razioni alimentari di riserva, un ricambio di biancheria, piccoli effetti personali, soldi francesi, un manuale di traduzione, una Bibbia. Nella parte bassa in una sezione separata agganciò una tendina con pioli e picchetti, senza coperta, per i primi giorni avrebbe dormito solo protetto dall'umidità della notte francese, dal telo tenda. Il cinturone con 10 tasche portaclips del Garand e due bombe a mano MK II A1 gli garantivano una riserva di fuoco iniziale appena soddisfacente. Per questo in ogni spazio libero a tutti i soldati provvidero a stivare munizioni di riserva in quantitativi impressionanti; Era calcolato che ognuno avesse addosso non meno di 300 cartucce! Un peso assurdo.
Inoltre agganciò ai buchi liberi del cinturone una cesoia tranciafili per il filo spinato, che tutti i rapporti dicevano essere stato steso in quantitativi copiosi,
Legò all'elmetto M1 tra la reticella e la parte metallica due pacchetti di medicazione sigillati color verde contenti due grandi garze e alcuni grammi di sulfamidici; i dottori e gli specialisti infermieri, durante le esercitazioni attribuivano grande importanza al primo intervento effettuato anche dalla stesso infortunato. "Comprimere la ferita con la garza"... come se questo fosse risolutivo... mah! Onestamente non era incoraggiante; era invece assai più rassicurante la presenza di un paramedico o di un dottore a livello plotone o compagnia, e di due portaferiti con le loro barelle pieghevoli trasportate a spalla.
Giacomo pensava ai genitori, che aveva in America.
Avevano lasciato l'Italia per fuggire dal regime fascista, Il padre, Angelo di origini siciliane, aveva conosciuto una ragazza di un paesino nei pressi di Barga, una certa Letizia Gonnella, sorella di Vincenzo Gonnella, nonno di Marco Marchetti. Negli anni 30, avevano deciso, non sopportando più l'inasprimento del regime di emigrare appena in tempo. Si erano stabiliti in Scozia a Glasgow, dove il babbo aveva aperto un'attività commerciale.
Giacomo era nato in America.
Il viaggio di ritorno in Europa, lo fece a bordo della lussuosa nave da crociera Queen Mary, nel settembre del '42. Arrivato nei pressi delle coste inglesi, incrociarono una formazione di navi da battaglia alleate e un incrociatore inglese, il Curacao, accidentalmente li speronò, provocando la perdita di 332 membri dell'equipaggio.
Giacomo non poteva pensare di cominciar bene la sua avventura...
Poi lo sbarco nell'Inghilterra del Sud; il Quartier Generale della 29^ fu posto a Salisbury, e per mesi tutte le campagne intorno furono calpestate dagli stivaletti di cuoio grasso dei soldati della 29th, che dormirono nei campi, nelle buche fatte con gli attrezzi leggeri, imparando e provando le tattiche, le operazioni, e l'approntamento per la grande invasione; una conferma dell'imminente partenza fu il repentino miglioramento della qualità del cibo distribuito. Fino a pochi giorni prima avevano mangiato quantità disgustose di cavoletti di Bruxelles, che abbondavano nella campagna inglese, ma invero scarseggiavano uova fresche, carne ecc. Gli ultimi giorni l'Intendenza fece arrivare e distribuire grandi quantità di bistecche, pane bianco, pesce, pasta italiana, torte di meringhe al limone, bistecchine di maiale e di manzo (per gli ebrei) e sopratutto gelato: tanto, fatto con le uova, che provocò più di una battuta tra i commilitoni di Giacomo: "Siamo all'ingrasso, pronti per essere macellati.".
Giacomo intanto scriveva a casa, e cercava di consolare la mamma, che non aveva affatto approvato la sua decisone di arruolarsi volontario; per Giacomo la decisione era stata dettata da diversi motivi: soprattutto un senso di riscatto per l'umiliazione subita all'iniziale internamento.
Come, erano scappati dal fascismo e adesso venivano tacciati di possibili simpatie per l'Italia? Poco a poco capì che le dure leggi della sicurezza in guerra non ammettono eccezioni, e la decisione delle autorità americane, che li avevano accolti, era giusta, ancorché dura. Identica sorte sarebbe toccata ai nippo-americani della Hawaii, all'indomani di Pearl Harbor. Inoltre si era imposto un forte senso di ribellione, di antagonismo personale al nemico che aveva costretto il padre ad abbandonare l'Italia: il fascismo, parente stretto del nazismo erano i due mali dell'umanità, come li dipingeva la stampa dell'epoca. Leggeva poco, ma il continuo martellamento psicologico che veniva loro impartito, unito alla motivazione di prima aveva prodotto la decisione finale di partire. Il padre non lo aveva ostacolato, in qualche modo lo aveva capito e lo apprezzava. Sistemò il corredo personale in esubero, quello non necessario al combattimento, la divisa da libera uscita nel sacco stagno, da lasciare in deposito, la giacca M 1939 con la bella pacht omerale con i simboli capovolti "blue and gray", sulla spalla sinistra, i pantaloni con la riga, le scarpe basse. Il singolo gallone sulla manica bassa, rovesciato a V indicava il suo grado: "Private", soldato semplice, forse al termine della campagna, se fosse rimasto vivo avrebbe avuto la promozione al grado superiore "Private First Class", oppure postuma in caso di morte.
Per adesso doveva far passare due anni dalla data dell'arruolamento, ed avere lo stato di servizio immacolato. La disciplina alla 29th era assai rigida e ci stavano attenti a queste cose.
Impacchettò anche le lettere, il Nuovo Testamento ( era cattolico) che gli aveva fornito il magazzino del centro di arruolamento, e i pochi effetti personali, le fotografie, una camicia civile, e mise l'indirizzo di casa sua. In caso di ... dipartita precoce, gli avevano assicurato che il servizio religioso si sarebbe fatto cura e scrupolo di avvisare i genitori e fargli recapitare tutti gli effetti che avevano preparato, con un ultima lettera.
I rapporti pre-missione si succedevano intensi, molto accurati e sopratutto ogni volta gli ufficiali del servizio Informazioni fornivano ulteriori dettagli e precisavano tutti gli ostacoli, che avrebbe incontrato al momento dello sbarco; i centri di fuoco riconosciuti, le artiglierie, i campi minati, i reticolati. Dove avrebbero sostato, i punti di raccolta, i centri di rifornimento, ecc.
Ormai era chiaro che la 1^ la 4^ e la 29^ Divisione di fanteria USA, avrebbero sostenuto l'assalto principale assieme alla 50^, la 3^ inglese, la 3^ canadese, e la 6^ aviotrasportata britannica.
Il fianco destro, verso il Cotentin sarebbe stato protetto e consolidato dai paracadutisti della 101st Airborne Division, "the Screaming Eagles" e dai "fighetti", come li avevano soprannominati, della 82^Airborne Division, composta esclusivamente da "americani puri" e che infatti era stata ribattezzata " All American"; portavano sulla spalla sinistra una patch composta da due AA affiancate per ribadire il concetto della appartenenza esclusiva alla nobile gioventù che affondava le radici nella giovane storia americana...
Il razzismo era veramente un problema nella società americana, e veniva riportato anche in guerra...
Puttanate, pensava Giacomo; è necessario che pensino a far bene il loro lavoro; noi saremo soli alla nostra destra, e avremo i tedeschi agguerriti e determinati a ricacciarci in mare e quindi soltanto i parà potranno proteggerci in qualche modo mentre cerchiamo di affondare nel territorio.
La sera andò a teatro, in uno dei centri di ricreazione interni alla base, dove proiettavano "La mia vita" con Barry Fitzgerald e Bing Crosby; caramelle e pop-corn gratis per tutti. Birra leggera per evitare problemi di alcool, che comunque erano sempre pronti: ormai la tensione si tagliava a fette.
Tutti sapevano. E aspettavano.
I soldati questo fanno: aspettano o combattono.
Giacomo aspettava di combattere.
il 31 maggio cominciarono le operazioni di imbarco.
Secondo la pianificazione operativa, alla B Coy toccava occupare alle 07.00, del D-Day, la porzione alla estrema destra di OMAHA BEACH denominata DOG GREEN, quella più a ovest, preceduta di 10 minuti dalla A Coy alla quale toccavo l'onore del primo assalto. Accanto si stagliava imponente la scogliera di POINTE DU HOC, che sarebbe toccata ai ranger del II^ Btg americano, abili scalatori, che avrebbero avuto la più amara delle sorprese, arrivando in cima, con moltissime perdite e scoprendo che le potenti bocche da fuoco da artiglieria costiera, erano state spostate segretamente pochi giorni prima alcuni chilometri più indietro.
Senza sgomentarsi più di quel tanto, seguirono le tracce delle grandi ruote dei pezzi, e li trovarono pochi chilometri più indietro, sempre efficienti per far danni alle navi alleate.
Attaccarono per distruggerle.
Dei 225 ranger che scalarono le scogliere, solo 90 rimasero in vita dopo due giorni di combattimenti.
Giacomo salì lentamente con il suo carico di materiale personale e del reparto (tubi bangalore, esplosivo, cavo telefonico, e una borsa con dei telefoni campali EE8) sull'LCI 94 (il mezzo da sbarco della fanteria), già stracarico di viveri, munizioni a materiale necessario per la marina. Il suo passo era pesante; nonostante le direttive consigliassero di non superare i 24 kg di equipaggiamento, per combattere bene, tutti i soldati al momento di partire avevano ecceduto con l'equipaggiamento, consigliati dai comandanti minori, e quindi tutti si trovavano munizioni supplementari, mine, esplosivi, pistole, pugnali, borracce, viveri, batterie per le radio, "musettes" con le maschere antigas e roba del genere, compreso un ingombrante giubbotto gonfiabile di salvataggio denominato Mae West, che si gonfiava tirando una cordicella che apriva la valvolina del serbatoio del CO2, Più o meno funzionava e in tutti i casi garantiva una galleggiabilità fino a 100 kg di peso. La maggior parte dei soldati, al momento dello sbarco pesava oltre 125 kg, con punte fino a 150 kg. Molti morirono annegati, trascinati sotto l'acqua dal peso dell'equipaggiamento che non riuscivano a sganciare.
Per primi partirono i dragamine, quella notte del 31.
255 imbarcazioni speciali. Il loro compito era di ripulire e bonificare dalle mine marine la costa inglese nel caso (piuttosto remoto invero...) che la Luftwaffe e le E-boat avessero rilasciato ordigni marini per rallentare la flotta inglese uscente. Successivamente si dovevano dirigere verso la costa normanna e sgomberare cinque diversi canali di transito per gli incanalamenti di avvicinamento e poi infine la costa avversaria.
Giacomo si sistemò a ridosso della paratia del mezzo da sbarco, con i suoi compagni di drappello, posizionarono l'equipaggiamento, si coprirono con dei teli impermeabili e fecero quello che fanno tutti i soldati del mondo prima di combattere. Giocarono a carte, dormirono rannicchiati e vestiti, e ripassarono le foto aeree e le carte distribuite. Soprattutto aspettarono. L'LCI sul quale si era imbarcato era un enorme zatterone, un mezzo da sbarco lungo 40 metri, con il fondo piatto, era in grado di trasportare una compagnia di fucilieri facendola sbarcare dalle rampe laterali; ospitava fino a 120 persone ma le brande disponibili erano solo 40, per cui dovettero fare dei turni di 8 ore di letto, la famigerata "branda calda", per garantirsi un minimo di riposo.
Una cosa in particolare stuzzicava la curiosità di Giacomo; le tasche della nuova uniforme, distribuita da poco, erano piene di bigliettini di cartoncino rigido, con impresso sopra un numero progressivo e due lettere probabilmente iniziali di un nome - 3 DF -; un altro era - 5 MS - e via così... anche il suo fucile nuovo, aveva in tutte le parti in cui si scomponeva, delle minuscole sigle formate da due lettere, addirittura sulla cinghia di trasporto in cuoio grasso; lo stesso sistema di siglatura era stato rilevato anche sugli stivaletti, e dentro l'elmetto, insomma, tutto quello che era fornito dall'Intendenza era stato siglato ripetutamente, quasi ossessivamente. Qualcuno gli aveva detto che era un sistema introdotto da alcuni anni nell'industria, specificatamente per le Forze Armate, al fine di garantire uniformità di fornitura... A Giacomo pareva un'enorme perdita di tempo. Non poteva sapere che 50 anni dopo tutte le industrie del modo avrebbero pagato fior di quattrini per essere certificate Sistema Qualità, e acquisire una sigla, ISO 9001, ecc che attestasse la capacità dell'azienda di poter garantire sempre elevati standard nella qualità delle forniture. Il controllo della qualità della produzione era nato su precisa specifica militare americana. Tutto uno spreco di tempo e di soldi, pensava Giacomo che a lui, tutti quei cartellini inutili da strappare nei punti più scomodi, davano solo fastidio...
Anche le razioni da mangiare avevano stampigliato queste buffe sigle. E a che scopo poi? La cioccolata per esempio era disgustosa, non aveva quasi più il sapore del cioccolato buono che mangiava la domenica sulla passeggiata di Providence, guardando i pescherecci che si dirigevano verso il Banco di Terranova, in cerca di grandi quantitativi di pesce da portare presto a terra per essere lavorato e venduto. La sua fine, se non fosse partito era quella di lavorare nell'industria del pescato... Non sapeva Giacomo, perchè ancora il suo americano non era perfetto da poter leggere e decifrare completamente i significati tecnici delle spiegazioni stampigliate in caratteri piccolini sulle etichette, che quella barretta di cioccolata fornita dalla Hershey Company, rispondeva a delle specifiche ben precise.
IL Comandante del Corpo dei Furieri americani, che si occupa degli approvvigionamenti, il colonnello Paul Logan, aveva tuonato, ai vertici della Hershey: " voglio un pezzo di cioccolato che non pesi più di 4 once, sia molto nutritivo, resista al caldo, ed abbia un sapore leggermente migliore di una patata bollita."
Logica esclusivamente militare, ma alla lunga probabilmente vincente. Il sapore non invitante doveva impedire che tutti si gettassero famelici sul pezzo più gustoso della razione, impoverendone il valore di emergenza.
A volte funzionava.
Una volta a bordo l'equipaggio fede circolare molte copie del Ordine del Giorno di Eisenhower, che diceva:
"Soldati, Marinai e Aviatori del Corpo di Spedizione Alleato.
State per imbarcarvi per la Grande Crociata verso la quale hanno teso tutti i nostri sforzi per lunghi mesi.
Gli occhi del mondo sono fissi su di voi. Le speranze e le preghiere di tutti i popoli che amano la libertà vi accompagnano.
Insieme ai nostri valorosi Alleati e ai nostri fratelli d'arme degli altri fronti distruggerete la macchina da guerra tedesca, annienterete il giogo della tirannia che i nazisti esercitano sui popoli d'Europa e vi assicurerete un mondo libero.
Il vostro compito non sarà facile. Il vostro nemico è ben addestrato, ben equipaggiato e duro nel combattimento.
Ma siamo nel 1944!
Molte cose sono cambiate dai trionfi nazisti degli anni 1940-41. Le Nazioni Unite hanno inflitto grandi sconfitte ai tedeschi, in combattimenti uomo contro uomo. La nostra offensiva aerea ha seriamente diminuito la loro capacità di fare la guerra, sulla terra e nell'aria.
Il nostro sforzo bellico ci ha dato una superiorità eclatante in armi e in munizioni, e ha messo a nostra disposizione importanti riserve di uomini ben addestrati.
La fortuna della battaglia è cambiata!
Gli uomini liberi del mondo marciano insieme verso la Vittoria!
Ho totale fiducia nel vostro coraggio, nella vostra devozione e nella vostra competenza in battaglia.
Non accetteremo altro che la Vittoria totale!
Buona fortuna!
Imploriamo la benedizione dell'Onnipotente su questa grande e nobile impresa.
Giacomo prese la sua copia, la lesse con attenzione; condivideva tutto quello che vi era scritto. Fece firmare la sua copia dai suoi commilitoni, e dal suo tenente, come tutti gli altri. Molti di questi proclami ancora oggi portano le firme dei soldati.
Ike aveva tenuto un galvanizzante discorso agli ufficiali inferiori, tenenti e capitani, quelli che avrebbero dovuto portar gli uomini "su per la collina", sotto il fuoco, e alcuni di loro rientrando sulle barche dagli uomini, esaltati dalla bella arringa avevano cercato, con risultati assai più modesti di riportarla gli uomini alle loro dipendenze. Qualche ufficialetto esaltato improvvisò il monologo dell'Enrico V, "banda di fratelli", ma un marinaio, meno prosaisticamente lo mandò, nel buio protettivo, sonoramente a quel paese.
Ascoltando la radio dell'Asse rigorosamente ascoltata per la qualità della musica emessa, la femminile voce di Axis Sally ( la puttana di Berlino), li incitò a venire; "Vi stiamo aspettando"... Un certo nervosismo serpeggiò tra i soldati americani. Com'era possibile con tutta la segretezza che li aveva avvolti, le misure di protezione, i sacrifici per mascherasi, per non farsi vedere dalla ricognizione aerea avversaria, che i tedeschi sapessero?
Ignoravano che i redattori del programma della Axis, aveva ripetutamente inserito questa frase in tutte le emissioni per provocare un disagio psicologico. I tedeschi "sospettavano" l'invasione, ma brancolavano nel buio per quanto riguarda la data e soprattutto il punto di sbarco. Le loro convinzioni erano rivolte maggiormente verso Calais, il punto più stretto e quindi più vicino.
La Normandia era in secondo piano, anche se Rommel, responsabile operativo della difesa della Francia, non aveva disdegnato al preparazione anche di quella parte di costa.
Durante i briefing giornalieri che gli ufficiali tenevano alle truppe, si ribatteva costantemente sulla tipologia e sulla consistenza delle difese che avrebbero dovuto superare. Il generale COTA, vicecomandante della divisione, una volta in una riunione a fattor comune aveva sintetizzato alcuni numeri: la prima linea di difesa, i tedeschi l'hanno impiantata in alto mare: mine marine a rilascio dal fondo, saliranno quando le nostre nevi faranno variare il campo magnetico o la pressione idrostatica al loro passaggio... Entusiasmante, pensò Giacomo: ancora non siamo arrivati e già rischiamo di affogare 40 miglia al largo dalla costa...
Gli ostacoli sulla battigia, chiamati cancelli belgi, consistevano in strutture in putrelle di ferro alte tre metri, per compensare la variazione della marea, a 150 metri dalla linea del'alta marea parallele alla costa, sulla sommità erano state saldate delle mine anticarro chiamata mine Teller (T) roba da più di 5 kg di tritolo ciascuna, capaci di sventrare il fondo di un mezzo da sbarco o di un carro;più indietro verso la riva una fila di tronchi di pino, piantati inclinati verso il mare, con anch'essi in cima la mine T legata, in attesa del suo bersaglio; più indietro i " ricci" putrelle di acciaio saldate tra loro a formare un tetraedro scheletrico con al mina sul puntone rivolto in avanti.
Dietro al riva, una spiaggia lunga e profonda più di 200 metri era stata disseminata di mine antiuomo, a schema irregolare, e sul terrapieno nidi di mitragliatrici, postazioni per armi automatiche , stazioni per tiratori scelti, appostamenti singoli, posizioni per pezzi da 88 e da 75, tutta una accoglienza che avrebbe reso assi difficile penetrare in profondità a chi avesse tentato l'assalto.
I soldati ridevano scaramantici a queste notizie: " io mi prendo quelli lì, te va da questi, sistematemi quelli la in fondo, io penso a quelli sulla spiaggia..." I commenti ottimisti si sprecavano, per dissimulare la chiara visione della tragica opzione; o tentare di sfondare con un impeto risolutivo iniziale e chiaramente pesantissimo, o rischiare di essere ricacciati in mare, con devastanti conseguenze.
Notte tra il 1 e 2 giugno 1944. Zone di imbarco.
L'LCI dove era imbarcato Giacomo, lasciò lentamente la foce del fiume assieme a altri 12 imbarcazioni stracarico di soldati e mezzi. Il convoglio, scortato da navi da guerra mosse lentamente per raggiungere il punto di non ritorno; Piccadilly Circus, un area di attesa in mezzo alla Manica dove la prima ondata sarebbe dovuta stazionare in attesa dell'ordine esecutivo. Il tempo, inizialmente bello, era peggiorato sensibilmente e Giacomo con tutti i suoi commilitoni avevano sperimentato la forza del mal di mare e l'assoluto inutilità delle pillole distribuite a tale scopo. I battelli da sbarco, a fondo piatto, non erano stati studiati per tenere a lungo il mare. Un soldato nel descrivere il movimento del battello, sotto l'effetto delle onde alte più d due metri e del vento laterale, disse" : è come andare di corsa nel deserto, su di un cammello ubriaco"
Vomitavano tutti e tutti speravano che finisse presto il martirio; lo sbarco era agognato, almeno sarebbe finita quella tortura infernale allo stomaco.
Alle 06.00 del 4 giugno, Ike prese la decisione di rinviare l'operazione, per l'aumentare delle cattive condizioni meteorologiche; la frase " Post Mike One" che significava virare e tornare indietro al porto, arrivò quasi contemporaneamente a tutte le imbarcazioni ormai già allineate nella lunga sfilata dopo i porti di partenza: si verificarono incidenti e collisioni, mentre il tempo inclemente e piovoso contribuiva peggiorare la situazione ed il morale tra gli uomini imbarcati e gli equipaggi.
Il rientro significava ancora l'attesa a bordo. Non conveniva infatti appiedare e spiantare tutto il dispositivo e quindi, gli equipaggi fecero il pieno ai serbatoi di nafta, rifornimento di viveri, e si apprestarono ad attendere il nuovo ordine. Di partenza.
Eisenhower stava perennemente in riunione con i suoi collaboratori per prendere l'importante decisone: per quanto tempo potevano tenere il dispositivo in attesa sulle navi? Il Colonnello Stagg, 28 anni, del Servizio Meteorologico, uno scozzese, predisse con sicurezza una finestra temporale di tempo relativamente mite ( tra il passaggio di un perturbazione un'altra) di una mattinata, il giorno 6; poi il tempo sarebbe peggiorato.
Ike tenne l'ultima riunione operativa a Southwick House, con il suo staff e decise: "Ok, andiamo."
Giacomo non poteva saperlo, ma intuiva che sopra di lui, l'intera struttura militare stava organizzando, preparando pianificando per lui e per i suoi amici il loro futuro prossimo. Per cui quando la mattina del 5 arrivò l'ordine di nuova partenza, tutti tirarono un bel respiro di sollievo; era sempre meglio che continuare a vivere in quella bolgia di puzzo, vomito nafta e uomini stipati. La notte, mentre erano in movimento furono sorvolati da una imponente flotta aerea che portava i paracadutisti e gli aviotrasportati destinati ad occupare le posizioni sui fianchi, a premessa dello sbarco...
Arrivarono alla zona di attesa denominata Piccadilly Circus, in attesa del turno di partenza; tutto era stato rigidamente pianificato, e la "B" Coy sarebbe sbarcata nella seconda ondata, dietro la "A" Coy alle 07.00, dopo mezzora dalla prima per consentire l'allontanamento dei mezzi da sbarco dalla spiaggia.
Il capitano Zappacosta, comandante la "B" Coy, fu il primo ad essere colpito all'apertura del portellone principale; un proiettile gli trapassò il braccio. Aveva costretto il pilota dell'LCI a avvicinarsi di più alla riva sotto il fuoco tedesco, estraendo addirittura la sua Colt .45 e puntandogliela alla testa; era determinante poter percorrere il minor spazio possibile esposti al fuoco avversario.
Fu colpito, prima ad un braccio, e poi alla spalla; morì poco dopo.
Morì anche il pfc Giacomo Martorana, della stessa compagnia; probabilmente al momento dello sbarco. E insieme a lui circa 4.000 soldati americani solo a Omaha, il 6 giugno.
Tra chi gli sparava contro, inconsapevole protagonista di un destino atroce, un altro italiano schierato con i tedeschi, certo Walter Annichiarico, meglio conosciuto successivamente come Walter Chiari, famoso attore comico del dopoguerra. Si era arruolato nell'esercito della R.S.I. e spedito a dar man forte ai soldati tedeschi in Normandia, difendendo le coste.
Era servente di una postazione antisbarco, aggregato ai tedeschi, presso la spiaggia di Omaha, probabilmente per la sua provenienza dalla famosa unità operativa "DECIMA MAS", dove collaborava come vignettista al settimanale "L'Orizzonte della X^ Mas"
Finì poi la guerra, presso il campo di prigionia di Coltano, il PW 337 a Pisa. Assieme a lui, tra i tanti Raimondo Vianello, Enrico Maria Salerno, Luciano Salce e il poeta ebreo Ezra Pound. Dopo alcuni anni iniziò la sua carriera televisiva.
Lo sbarco fu un disastro.
Ma nonostante l'avversa fortuna, i sopravvissuti nel pomeriggio riuscirono a serrare i ranghi e a sfondare e dilagare all'interno della costa normanna, risolvendo lentamente la situazione che era apparsa veramente grave. Più di un comandante operativo pensò di far ripiegare le truppe sui mezzi e farli sbarcare sulla vicina "Utah", più facile.
Per questo la spiaggia venne soprannominata "Bloody Omaha", " la sanguinaria".
Adesso il pfc Giacomo Martorana riposa in Inghilterra, campo " C ", fila 6, posto nr. 3. American Cemetery of Cambridge.
É stato decorato, postumo della Purple Heart.
La famiglia ha ricevuto telegrammi di condoglianza a firma del Presidente degli Stati Uniti d'America Truman, e del Comandante Americano "Ike" Eisenhower
Il 6 giugno 2004 l'Amministrazione Comunale di Barga, guidata dal Sindaco Prof. Umberto Sereni, ha intitolato, con un piccola ma molto sentita cerimonia, una targa commemorativa alla memoria di Giacomo Martorana , presso la Rocca della Pace a Sommocolonia, Barga-LU. Erano presenti il capitano della Folgore Vittorio Biondi, il Vicecomandante di Camp Darby di Livorno e il vice console generale degli Stati Uniti di America di Firenze.

lunedì 15 giugno 2009

Crimini di guerra. Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento


Segnaliamo l'interessante sito internet
"Crimini di guerra. Un pezzo nascosto di storia italiana del Novecento"
Dalla Presentazione
Crimini di guerra è un sito web che presenta una ricca selezione di documenti storici (in parte inediti) sulla repressione operata su popolazioni civili dalle forze armate italiane nel corso delle guerre coloniali (Libia - Etiopia) e della seconda guerra mondiale (1925- 1943).
L'approccio ai documenti può avvenire attraverso la guida di Itinerari (per il momento sono undici) o mediante una lettura diretta dal menu Documenti. Numerosi ipertesti supportano le interpretazioni collegandole direttamente con i documenti.
L’obiettivo è dare, sulla base di dati e documenti, l’opportunità, anche a chi non è fornito di particolari cognizioni storiche, di capire cosa è successo e perché ciò è potuto accadere.
Si vuole offrire alla portata di tutti, i risultati di studi fino ad oggi confinati, loro malgrado, nelle pubblicazioni specialistiche, proponendo comunque un ambito di ricerca storica, dove si raggiungono conclusioni solo sulla base dell'analisi scientifica e del raffronto di documenti incontestabili e dove l’utente stesso può consultare direttamente le fonti documentarie.
Non solo documenti e analisi, ma si vuole proporre a tutti anche una metodologia che superi le semplificazioni e le strumentalizzazioni politiche.
Lo strumento informatico permette questo approccio diretto, dando la possibilità di confrontare immediatamente documenti ed itinerari interpretativi collegati attraverso una rete di ipertesti dalla dimensione illimitata, che offre quindi un’immediata informazione al lettore.

domenica 14 giugno 2009

10 mesi di vita del sito internet!


13 ottobre 2008 - 13 giugno 2009: Festeggiamo i dieci mesi di vita del sito internet e lascio ogni commento alle cifre.
GRAZIE!

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venerdì 12 giugno 2009

L’istituzione scolastica, in primis responsabile della trasmissione di memoria storica contemporanea


Da Pacelink prendiamo questo interessante articolo di Laura Tussi del 12 giugno 2009

L’istituzione scolastica, in primis responsabile della trasmissione di memoria storica contemporanea
La centralità educativa dell'Istituzione Scolastica
12 giugno 2009 - Laura Tussi
Per lavorare come insegnanti a scuola in progetti riguardanti la storia contemporanea e la memoria storica occorre affrontare in modo critico l’uso pubblico delle fonti e dei documenti che testimoniano gli eventi storici. La scuola per molto tempo ha trasmesso la storia patria: un processo finito, compiuto. Sicuramente l’istituzione scolastica ha perso una centralità educativa di comunicazione di molte informazioni e conoscenze che attualmente sono retaggio specifico dei massmedia, anche perché gli insegnanti usano moltissimo gli strumenti visivi, sapendo che consistono in rielaborazioni anche rispetto ai documenti che citano, perché spesso il commento di un documento storico viene elaborato sulla base delle immagini che si sono trovate a disposizione, e non necessariamente con quelle più convergenti e congruenti rispetto al contenuto specifico da trasmettere. Poiché l’impatto visivo è emotivamente molto più alto rispetto al messaggio verbale, i media hanno compiuto un’operazione che contraddice in parte anche quello che i sociologi ottengono come risultato delle inchieste, perché mai come negli ultimi anni si sono riprese parti, frammenti, momenti della nostra storia con annesse reinterpretazioni, adattando certi aspetti ed estrapolandone altri dal contesto, e si è compiuta così un’immensa operazione di memoria collettiva. Dunque si è passati da una fase in cui la memoria della seconda guerra mondiale, della resistenza, dell’internamento, della deportazione, del complesso fenomeno concentrazionario nella sua globalità, erano rievocati, rammentati, rimembrati dai testimoni in ambiti e contesti collettivi e socioculturali, alla fase in cui è stata elaborata dalla storiografia, come è giusto, fino ad approdare a questo ultimo stadio di ricerca in cui è soprattutto il documento ricostruito con tutte le componenti necessarie della drammatizzazione, a volte persino della fiction, che hanno veicolato una certa memoria. Occorre anche considerare le memorie di vita, le narrazioni autobiografiche, pluralità di memorie del contesto storico che contiene esperienze plurime e diverse, mentre molto spesso si individua in un personaggio, in un evento, in una giustificazione il senso della storia ed in questo uso pubblico e decisamente politico della storia è subentrato un grande coinvolgimento che non ha ottenuto altro che un dibattito di contrapposizioni. Sono legittime le posizioni ed opinioni di storici cosiddetti revisionisti, che contrastano la visione della resistenza connessa strettamente alla nostra democrazia e che attua un vero riferimento ai testimoni ancora in vita, militanti nell’associazionismo storico culturale (ANED ANPI) ed alle vittime, con reali interpretazioni. Esiste una differenza tra queste due modalità e visioni interpretative di leggere la storia più recente del nostro Paese, che consiste appunto nell’opinione anche di storici relativa al lavoro storiografico: il parere può essere formulato sulla base di ipotesi, di ideologie e convinzioni, mentre la storia si costruisce in base alla fonte dei documenti, per cui si parla di uso pubblico della storiografia, perché il documento viene messo in secondo piano e si preferisce elaborare riproposizioni dell’accaduto sulla base di un’interpretazione che spesso non fa riferimento ai documenti a disposizione, vale a dire le fonti normali, cartacee, testimonianze, memorie raccolte ed elementi visivi che nel lavoro dello storico vanno tenute insieme per essere lette ed interpretate globalmente ed utilizzate criticamente.
Perché ci soffermiamo tanto sulla costruzione di memoria storica? Non esiste solo il problema di motivare i ragazzi all’apprendimento della storia, perché questa materia, per sua definizione, è una disciplina nomotetica. Non è un caso che la discussione di una riforma della scuola si sia poi focalizzata sul programma e sul curricolo di storia.
La storia è anche educazione alla convivenza civile di un Paese ed allora questo termine della responsabilità della memoria, emerso dalle interviste dei docenti che partecipano alle ricerche di memoria ed insegnamento della storia, è un tema della responsabilità educativa che riemerge attualmente con molta evidenza all’interno del corpo docenti anche con la prova dell’autonomia della scuola, dove il ruolo dell’insegnante diventa necessariamente di scelta, di orientamenti di indirizzi, di contenuti e di organizzazione collettiva della dimensione scolastica, concedendo, trasmettendo ai ragazzi, gli strumenti per costruire, riabilitare la memoria al fine nobile di interagire con essi tra passato, presente e futuro, da interiorizzare come responsabilità educativa primaria, al pari della costruzione di tematiche rigorose della storia. I docenti sono organizzatori di sapere nella loro funzione specifica e nel caso della storia contemporanea e soprattutto nel caso della seconda parte del novecento, diventano attori primari degli eventi trascorsi e testimoni principali degli avvenimenti che raccontano e trasmettono perché vissuti in prima persona in un contesto storico globale. Gli insegnanti prima di affrontare un lavoro congiunto con gli studenti, relativo alla memoria storica, devono compiere un lavoro molto serio sul concetto di memoria. In un momento epocale per cui molti individui si sentono singoli ed isolati, perseguono l’interesse personale e non collettivo, vivono in situazioni estreme di solitudine esistenziale, intellettuale e sociale, avere memoria significa assumersi la responsabilità della propria vita ed anche di un modo di esserci di esistere, di partecipare, nel processo storico che viviamo. Il coraggio della memoria, vale a dire andare alla ricerca della storia non è di per sé un fatto che ci porta a valutare anche il presente. I fatti della storia sono sempre la conseguenza e la continuazione di altri eventi, altri avvenimenti, e quindi non è possibile ignorare una parte del passato se si vuole pensare al presente e proiettarsi nel futuro. Quando si parla di storia contemporanea si dimostra la fortuna della ricerca di atti, di fatti e testimonianze che offrono certamente agli storici la possibilità di valutare e di trasmettere queste esperienze e dati di ricerca ai giovani. Negli incontri dei testimoni della resistenza con i giovani si è maturata negli anni una maggiore consapevolezza e coscienza storica. Sostiene Giovanni Pesce Presidente Nazionale dell’ANPI :”Noi abbiamo vissuto esperienze tali, che rievocate oggi, mi danno l’impressione di essere al di fuori della mia persona. Riconosco i fatti, cito i casi, i dati, i protagonisti, ma talvolta avverto la sensazione di stare seduto in una platea e di vedere questi eventi rappresentati in palcoscenico. Con lo scorrere degli anni non si prova più la passione, l’emozione che cresceva dentro di noi in passato e forse i fatti risultano forse anche più chiari, più luminosi ed il discorso, il dialogo, anche con gli insegnanti difficilmente riporta alle singole esperienze personali”. Gli eventi si considerano in una dimensione diversa ed in qualche caso con cartine geografiche o film si riescono ad approntare dibattiti estremamente vivaci che riportano alla memoria non solo i fatti, gli avvenimenti, ma i motivi, le cause. Gli aspetti ignorati maggiormente sono i documenti che precedentemente, all’inizio della guerra, durante il conflitto, sono stati emessi e che denunciano, in primo luogo come gli eventi bellici si sono verificati per certi obiettivi (l’accordo prima con la Germania, poi con la Germania ed il Giappone). Questo disegno strategico in atto che i partigiani, oggi testimoni, non riuscivano allora a comprendere bene, mentre si viveva l’evoluzione dei momenti bellici, ha portato poi, col tempo, e per le modalità in cui si è svolta la Grande Guerra, ad intuire che la strategia bellica era mortale per l’intero globo. Quando l’esercito tedesco è giunto al Volga e si è bloccato a Stalingrado, in quel momento si è capito che se Hitler avesse vinto quella battaglia e fosse riuscito ad ottenere i petrolio del Caspio, probabilmente la guerra avrebbe assunto una dimensione diversa. Il fatto che i giapponesi abbiano attaccato nell’Indocina e nella Cina, il ricongiungimento di tale disegno strategico degli eserciti fascisti che volevano dominare il mondo, oggi se avesse vinto, avrebbe creato una terribile situazione di regresso per l’umanità. E allora qual è stato poi il motivo, la ragione per cui, battuti il nazismo ed il fascismo, rotto il patto antifascista, si è cercato, in anni che sono diventati terribili, bui, dopo la guerra, di dimenticare o di far dimenticare i risultati ottenuti con la resistenza, con il movimento antifascista. Il disegno era questo: il mondo occidentale era diviso in due ed allora bisognava recuperare la Germania, il popolo tedesco che diventava importante per l’occidente. E allora ecco nascondere i fascicoli che riguardavano le stragi avvenute in Italia, in Francia e nei Balcani, e di cercare di ignorare che la guerriglia partigiana e la lotta antifascista avessero portato questo aspetto alla società moderna, all’Italia di oggi, alla Repubblica. Infatti attualmente quelli che tendono ad ignorare questi aspetti tentano di nascondere i motivi per i quali è scoppiato il conflitto per cui il mondo diviso in due doveva produrre certi effetti. E’ importante ricercare nei documenti (i giornali, le biblioteche, nei ministeri) tutto ciò che può far comprendere come si viveva allora, quali erano le ragioni fondanti per cui si è organizzata la resistenza, si è combattuto contro il fascismo. L’aspetto più qualificante della storiografia è andare alla ricerca delle memorie per la possibilità del pensiero di ricordare, di rielaborare, di parlare, di proferire il passato, l’accaduto… ma questo non basta perché è evidente che poi le memorie vanno inserite in un contesto unitario, storico comune: questa è la funzione primaria della scuola. L’istituzione scolastica è la prima forma sociale che l’individuo incontra nel suo percorso di formazione ed in cui si plasma l’avvenire delle future generazioni.
Laura Tussi