martedì 26 maggio 2009

Un libro per indagare il giornalismo del dopoguerra


Sienafree.it Sabato 23 maggio 2009

UN LIBRO PER INDAGARE IL GIORNALISMO DEL DOPOGUERRA
Sabato 23 Maggio 2009 13:11
Esiste una memoria collettiva della Seconda Guerra Mondiale? Oppure nell’immediato dopoguerra è stata praticata una cosciente rimozione delle ferite lasciate aperte dalla guerra? E i giornali che ruolo hanno avuto in questa scelta? Sono questi alcuni degli spunti del libro “Giornalismo del dopoguerra tra memoria e rimozione” edito dalla casa editrice Odoya e scritto da Giuseppe Gori Savellini, che sarà presentato a Siena martedì 26 maggio alle 17.
La presentazione, nell’aula B del padiglione esterno di Palazzo San Niccolò del Dipartimento di Scienze della Comunicazione in via Roma 57, è organizzata dall’Asmos (Archivio Storico del Movimento Operaio e Democratico Senese) dall’Istituto Storico della Resistenza Senese e dal Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione. Oltre all’autore parleranno del libro Giovanni Gozzini e Maurizio Boldrini, docenti di Storia del Giornalismo e Teorie e Tecniche del Linguaggio Giornalistico all’Università di Siena e Alessandro Orlandini, presidente dell’Asmos.
Il libro
Alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia esce da una lacerante guerra civile. I partigiani superstiti ritornano a casa da vincitori e le testate giornalistiche tornano ad avere dei proprietari privati (1947). E i fascisti?
La necessità di unire l’Italia si affianca a quella di pacificare il territorio, ma per fare questo i problemi irrisolti devono rimanere tali: gli scontri dimenticati, i documenti sulle stragi insabbiati e i responsabili impuniti.
Gori Savellini utilizza la carta stampata per descrivere un momento storico delicato. Le descrizioni dei giornali, i tagli degli articoli e la linea politica delle testate o delle grandi firme vengono fatte parlare nel loro complesso e nella loro sintesi per descrivere la tendenza ad assolvere i fascisti per non destabilizzare il Paese.
Il Messaggero, La Nazione, il Corriere, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale Di Trieste rappresentati nell’arduo compito di interessarsi della faccenda delle foibe, oppure nel disimpegnarsi raccontando romanzescamente la faccenda dell’oro di Dongo. Indro Montanelli e la sua descrizione del processo Keserling (1947); la divisione dell’Istria con la Jugoslavia; le modalità con cui disporre una linea anticomunista a fianco di quella antifascista: come il quarto potere Italiano ha manifestato diversamente sulla carta la realtà della guerra passata.
L’attualità di questo saggio è data dall’unione tra la storiografia e teorie comunicative moderne: la storia appare fatta da opinioni e le opinioni da opinion makers.
L’autore
Giuseppe Gori Savellini, laureato in Storia dei Media è cultore in Teorie e Tecniche del Linguaggio Giornalistico. Si occupa di comunicazione pubblica e politica. Studioso anche di cinema, collabora con festival, rassegne e laboratori di produzione.

Il Processo Simonitti di Davide Del Giudice


Dal "Giornale di Barga" del 31 maggio 2008 riportiamo questo interessante articolo scritto da Davide Del Giudice (e pubblicato sulla rivista mensile "Storia & Battaglie" del dicembre 2007, copyright Editoriale Lupo (Firenze).

IL PROCESSO SIMONITTI
31 maggio 2008

Un alone di mistero avvolge le vicende che portarono alla morte del Capitano Italo Simonitti1, goriziano, trentottenne all'epoca della sua fucilazione, comandante della gendarmeria da Campo della Divisione Alpina "Monterosa" RSI.
Il suo, assieme a quello del Generale Bellomo (condannato e giustiziato per aver fatto uccidere un militare inglese che tentava la fuga), costituisce uno dei rari esempi di condanne capitali comminate dai tribunali militari alleati a guerra finita.
Simonitti era il Comandante della Gendarmeria da Campo, che assieme ai tre reparti di Polizia Militare della GNR, costituiva la Polizia da Campo della Divisione "Monterosa", con compiti che andavano dal controllo dei reati militari alla sorveglianza delle retrovie e del movimento stradale dal fronte e verso di questo.
La Polizia da Campo della "Monterosa" annovera nel suo Albo d'Onore 14 Caduti e tre decorati al Valor Militare.2
Sul fronte della Garfagnana, operavano in connubio la Gendarmeria e la 1aSezione Mobile GNR, comandata dal Capitano Civetta, che a detta dei civili era un ufficiale a dir poco inflessibile.
I suddetti reparti erano alle dirette dipendenze del Comando di Divisione, retto dal Generale Mario Carloni.

Abbattimento ed uccisione del LTN Lyth
Le vicende che portarono alla fucilazione del Capitano Simonitti furono determinate dall'uccisione di un aviatore statunitense.
Il Pilota nordamericano, il 2nd LTN Alfred R. Lyth, del 66th Fighter Squadron, 57th Fighter Group, era stanziato presso la base di Grosseto, sede del 66th dal mese di settembre 1944.
Egli, il 6 febbraio 1945 volava ai comandi di un P47 Thunderbolt, in missione per la 12th Air Force che si occupava delle operazioni aeree tattiche3. Quel giorno i velivoli volavano nonostante il tempo fosse coperto ed appoggiavano nella Valle del Serchio l'offensiva "Quarto Termine" che la 92nd Divisione USA "Buffalo" aveva scagliato contro i reparti della "Monterosa" che venivano in quei giorni rilevati dalle truppe della Divisione Bersaglieri "Italia", quindi in un delicato momento dal punto di vista logistico ed operativo. L'offensiva partita il 5 febbraio, si infranse definitivamente sotto i contrattacchi italo-tedeschi il giorno 11.
Il p47 del 2nd LTN Lyth fu abbattuto dalla contraerea tedesca nelle retrovie della Linea Gotica, a Caprignana (una frazione che si trova pochi chilometri a Nord di Castelnuovo Garfagnana).
L'ufficiale statunitense, azionò il paracadute, ma venne in seguito catturato e preso in consegna dalla Sezione GNR della Divisione "Monterosa" e fu portato a Camporgiano, dove si trovava il Comando di Divisione, ubicato nella Rocca Estense e provvisto di ricoveri sotterranei a prova di bomba, scavati appositamente nei mesi precedenti.
Lyth fu interrogato, poi l'8 febbraio, mentre stava per essere scortato al carcere, fu ucciso con un colpo di fucile alle spalle. La versione ufficiale fu che avesse tentato la fuga.
Lo storico Garfagnino Mario Pellegrinetti all'epoca ragazzino, viveva (e vive) a Camporgiano; egli ricorda: "Quanto alla sua morte i militari sostennero che gli era stato sparato durante un tentativo di fuga. In realtà era morto colpito da un solo colpo di fucile (il che esclude l'ipotesi di una fucilazione). Chi ha visto l'aviatore, però, sostiene che era claudicante a causa di un cattivo atterraggio col paracadute e che, in quelle condizioni, l'ipotesi di un tentativo di fuga appare quanto meno improbabile.
Per quanto ne so furono processati il Capitano Simonitti (che, però, in tempo di guerra tutti conoscevano come Simonetti), il Tenente Peruzzi e il Sergente Rossi.
Pare emergesse che il capitano Simonitti aveva fatto un gesto che fu interpretato come invito ad uccidere. Comunque l'uccisione avvenne durante il tragitto, a piedi, dagli uffici del comando dove fu interrogato al carcere mandamentale situato fuori dall'abitato. Come noto il Simonitti fu condannato a morte e ucciso, il Sergente Rossi fu condannato a una pena detentiva e il Peruzzi fu assolto in grazia di alcune testimonianze di gente del luogo (un uomo che faceva da interprete e due donne che lavoravano alla mensa ufficiali). Una di queste due donne fu sposata dal Peruzzi malgrado avesse già un figlio e hanno vissuto felicemente insieme fino alla morte di lui.
L'altra donna era la padrona della casa dove venivano confezionati i pasti per la mensa ufficiali. L'uomo era un impiegato comunale che essendo vissuto in Inghilterra fungeva da interprete. Ma ciò avveniva quando non era presente il Tenente Peruzzi che, parlando correntemente inglese, faceva lui da interprete quando era presente. E quel giorno, appunto, non era presente per cui fu chiamato come interprete il testimone che si chiamava Silvio Cardosi. E la sua testimonianza, insieme a quella delle due donne, fu determinante nello stabilire che quel giorno il Peruzzi era assente".4

Processo ed esecuzione
A guerra finita il paesino di Camporgiano fu animato dall'insolito transito ed arrivo di automezzi che trasportavano una vera e propria squadra specializzata.
Tra la gente si era sparsa la voce che l'aviatore ucciso fosse nientedimeno che un parente del Presidente degli USA Harry Truman, come ricorda Mario Pellegrinetti: "Della vicenda dell'aviatore ucciso so che, a quanto si diceva, egli era nipote di Truman. E, in effetti, subito dopo il passaggio del fronte venne una squadra attrezzatissima che riesumò, riconobbe e portò via il cadavere. Io ho assistito all'operazione".5
il Capitano Simonitti, il Generale Mario Carloni ed il Sergente Benedetto Pilon, che si trovavano già in prigionia a seguito della resa finale, furono processati presso la Corte Marziale USA che si riunì a Firenze dal 25 settembre al 4 ottobre 1946. Invece, non troviamo riscontro nei documenti del processo del Tenente Peruzzi e del Sergente Rossi: come ipotizzato da Pellegrinetti, sarebbero stati già prosciolti in sede di indagine.
La sentenza fu rivista e divenne esecutiva presso lo stesso tribunale il 13 gennaio 1947, venendo scagionato il Generale Carloni (degradato però a Colonnello) e ritenuti colpevoli il Capitano Simonitti ed il Sergente Pilon. Il solo Simonitti fu condannato a morte tramite fucilazione, mentre a Pilon venne assegnata una pena detentiva a vita, inviandolo ai lavori forzati al Campo d'Addestramento Disciplinare di Livorno del MTOUSA (Mediterranean Teather of Operation US Army).6
Il 27 gennaio 1946, in una fredda e nevosa mattina, il plotone di esecuzione statunitense si schierò alle 8.30 presso il poligono militare di Marina di Pisa (utilizzato ancor oggi dalle Forze Armate).
La scarica di fucileria non fece piegare le gambe al Capitano Simonitti che rimase eretto davanti ai soldati increduli.
L'unico italiano presente, il giornalista Ugo Zatterin, scrisse poi: "...un erculeo Maresciallo della Military Police americana ordinò l'intervento del plotone di riserva, per fucilare una seconda volta il condannato, che alla prima scarica non si era piegato sul palo, e, con gli occhi orgogliosamente schivi di benda, fissava ancora disperatamente il cielo".7
Le spoglie del capitano Simonitti, nella vita civile dottore in chimica, riposano nel Cimitero suburbano di Pisa.8
Il tenente Lyth è sepolto invece nel Cimitero Militare Statunitense dell'Impruneta, presso Firenze; il rigore che venne usato contro Simonitti e lo spiegamento di mezzi operato per il recupero e per le indagini circa la morte del soldato statunitense, darebbero credito alla supposta parentela, se non con Truman, almeno con una influente autorità.
Però queste sono solo supposizioni, in quanto le ricerche svolte non hanno portato l'autore a trovare riscontro.

Considerazioni
Giudizi molto duri verso il capitano Simonitti sono stati espressi anche in anni recenti da vari ricercatori storici e anche da politici.
Voce isolata, la testimonianza di un comandante partigiano che desidera restare anonimo; egli, operante nella zona di competenza di Simonitti, apprese dall'autore di queste righe circa la sorte del Capitano, registrando sul viso una espressione di addolorata incredulità. Confermò l'espressione del volto affermando di essere dispiaciuto per la sorte dell'ufficiale e fece intendere che Simonitti almeno in un'occasione aveva anteposto la pietà al rigido senso del dovere, salvando la vita a qualche civile o chissà, forse proprio a lui .
Il Capitano Italo Simonitti seppe andare a morte con coraggio e fede nelle proprie idee. Se compariamo il suo sguardo nella foto del 1944 col Generale Carloni e quello del 1945 in tribunale, possiamo dire che nulla era mutato in lui, le sue convinzioni ressero la prova più ardua.
Tra i reduci della "Monterosa" questo è il pensiero comune, che si riassume efficacemente nelle parole di Iro Roubaud: " Il capitano Italo Simonitti è caduto nell'adempimento del dovere".

1 Alcuni hanno scritto "Italo Simonetti", ma il cognome corretto era Simonitti, come si evince dagli originali della sentenza a morte e dall'albo d'Onore della Divisione Alpina "Monterosa"
2 "I Nostri Caduti noti ed ignoti" , Associazione Div. Alp. "Monterosa" , Milano 1999, pag.144.
3 Le operazioni strategiche erano invece compiute dalla 15th Air Force, che con la 12th Air Force, costituivano la MAAF (Mediterranean Allied Air Force).
4 Mario Pellegrinetti, lettera all'autore.
5 Mario Pellegrinetti, lettera cit.
6 ACTA dell'Istituto Storico della RSI n° 60, maggio-luglio 2006, pag. 12.
7 Oggi, Settimanale del 14 aprile 1951, pag. 15.
8 Notizie di Iro Roubaud in archivio storico Associazione "Monterosa" Milano, già pubblicate nell'omonimo bollettino.

lunedì 25 maggio 2009

10th Mountain Division "Sempre Italia" 2009


Avevamo già preannunciato il tour "Sempre Italia 2009" che toccherà i luoghi tradizionali della "Campagna d'Italia" e in particolare i comuni di Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano e Castel d'Aiano. In quest'ultima località, il giorno 30 maggio, verrà inaugurato il monumento al soldato scelto John D. Magrath, compagnia G dell'85th Infantry Regiment. Morì il 14 aprile del 1945, per l'enorme coraggio dimostrato durante la conquista di Quota 913 (Serre d'Aiano), fu decorato con la Medaglia d'Onore. Durante la cerimonia gli alunni della terza e seconda media di Castel d'Aiano intervisteranno reduci e parenti per il progetto "S.E.Me."

Seminario: I conflitti dopo il conflitto


Mercoledì 3 giugno 2009 ore 17.00,
Sala studio dell´Istituto storico
viale C. Menotti 137, Modena
I conflitti dopo il conflitto: violenza sui fascisti e crisi del dopoguerra in Emilia Romagna e Veneto
Seminario di studi con
Elena Carano, autrice del volume
Oltre la soglia : uccisioni di civili nel Veneto, 1943-1945, Cluep 2007

Nel corso del seminario, tenuto da Elena Carano, verranno toccati alcuni nodi relativi alla problematica questione della violenza contro i fascisti nell’immediato dopoguerra. Muovendo dalle conclusioni di una tesi di dottorato su questo tema nelle realtà veneta ed emiliano-romagnola, si porranno in evidenza cinque aspetti decisivi: l’eterogeneità degli elementi di crisi in atto alla conclusione del conflitto; la specificità della questione della violenza e le modalità attraverso le quali è interpretata e affrontata dai contemporanei; le analogie e le differenze fra il Veneto “bianco” e l’Emilia “rossa” nei meccanismi di uscita dalla guerra; le motivazioni e gli effetti delle riletture politico-culturali della violenza sui fascisti dagli anni Cinquanta ad oggi; i limiti e le potenzialità di fonti e bibliografia per ricerche su questi temi.
Seminario gratuito a numero chiuso (20 posti), con obbligo di iscrizione.
Per informazioni ed iscrizioni: Istituto storico di Modena, tel. 059219442, e-mail segreteria@istitutostorico.com entro mercoledì 3 giugno ore 13.00



Inerenti a tali problematiche è l'articolo apparso sul quotidiano "Il Giornale" il 22 maggio u.s. dal titolo "Ex partigiano confessa: «Quanta violenza in nome della Resistenza»".
Caro direttore,
ho 86 anni e mi scusi se sono costretto a scriverle a mano: non riesco più a usare la macchina per scrivere. Sono stato partigiano. Avevo 22 anni. Mi trovai in difficoltà con gli altri partigiani, quasi tutti reduci di guerra. Io ero il più giovane. Gli altri erano tutti sui trent’anni e anche più. Quasi tutti erano stati soldati nei vari fronti della spaventosa Seconda guerra mondiale. Io avevo ottenuto l’esonero dal servizio militare perché dovevo lavorare per alimentare i miei sette fratelli. Mio padre era morto d’infarto. Finita la guerra ci fu un’orgia tremenda con la caccia al fascista. Non soltanto venivano maltrattati quelli che avevano aderito al fascismo, ma tanti altri, che con il fascismo non avevano mai avuto nulla a che fare. Fu un’orgia tremenda, ripeto. Ricordo alcuni fatti. Un partigiano (però in quel momento si facevano chiamare partigiani anche molte persone malfamate: ladri, provocatori, gente che viveva di espedienti, furto soprattutto) andò nella casa di un impiegato comunale e volle che quella casa diventasse sua. Costrinse il malcapitato a firmare un foglio nel quale era detto che quella casa la cedeva al partigiano e pretese che la famiglia dell’impiegato uscisse di casa, perché quella casa era sua. Questo è uno dei tanti casi di quei giorni maledetti. Ho visto un carcere strapieno di gente (uomini, donne e bambini) arrestata dai partigiani perché fascista. Ricordo una donna che piangendo mi disse che lei non si era mai occupata di politica. L’avevano arrestata perché non voleva cedere la sua casa ad un partigiano. E poi altri fatti dolorosi, che mi costrinsero a ritirarmi. In quelle settimane in cui ero stato partigiano non ho visto altro che violenze tremende, appropriazioni indebite, furti, ricatti. Gli unici a comportarsi bene erano i reduci di guerra trasformatisi in partigiani. Gli altri erano soltanto ladri. Ora mi domando: io non sono in grado di fare lunghi tragitti, cammino con il bastone. E nel 1945 avevo 22 anni. Come mai esistono oggi baldanzosi partigiani che sfilano baldanzosi? Hanno la mia età? E com’è possibile che l’associazione partigiana abbia sempre nuovi iscritti? E la Quinta armata inglese e l’Ottava armata americana, che dalla Sicilia al Brennero, hanno invaso l’Italia liberandola da un regime ormai finito, non sono esistite? Solo le bande di partigiani hanno liberato l’Italia?
- Milano

ANOETA (Spagna), 5 giugno "Shaking up Anoeta's Memories"


Il 5 giugno p.v. il GAL spagnolo Aranzadi organizzerà ad Anoeta (Paesi Baschi) il primo appuntamento pubblico del progetto "Sharing European Memories" S.E.Me.

Servizio su S.E.Me. su RAI TRE RegionEuropa


Come previsto, domenica 24 maggio u.s. è stato trasmesso il servizio di Antonio Silvetri sul progetto Sharing European Memories girato a Vado di Monzuno in occasione dell'appuntamento "La guerra dei padri raccontata dai figli"
La puntata è visibile online sul sito di Rai Tre RegionEuropa

giovedì 21 maggio 2009

Donne e uomini in guerra


Dal Blog "Pensare in un altra luce" abbiamo preso questa interessante riflessione: "Donne e Uomini in guerra"
i parla delle guerre, di chi vince, di chi perde, dei morti in battaglia, ma si parla poco degli effetti “collaterali”, cioè di come la guerra cambi l’uomo dentro, lo renda un’altra persona, spesso violento, spesso depresso e a volte suicida, a volte non è solo un pericolo per i suoi nemici, ma anche per i suoi compagni o compagne o per se stesso.
Nelle basi americane in Iraq le scritte sono ovunque: «Non aggiratevi per il campo da sole dopo il tramonto». «Cercate una compagna per andare alle docce». E ancora: «In caso di aggressioni a sfondo sessuale possiamo aiutarvi: rivolgetevi a.....». È un fenomeno sempre più difficile da tenere nascosto quello degli abusi sessuali sui militari donne nelle fila delle Forze armate americane, soprattutto in Iraq e Afghanistan. Tempo fa, il Pentagono ha pubblicato dati da cui emerge che nel 2006 un terzo delle veterane ha dichiarato di essere stata molestata sessualmente - in modo fisico o verbale - mentre era sotto le armi, per lo più dagli uomini con cui si trovavano a servire: nello stesso anno, le denunce per abusi sessuali sono state 2688 e il 60% riguardava casi di stupro subiti mentre in servizio. Numeri contestati dalle associazioni di supporto ai veterani e da Helen Benedict, professore della Columbia University di New York e autrice di uno studio in materia: secondo Benedict, la percentuale di veterane che ha subito aggressioni sessuali è addirittura di un terzo, mentre fra il 71 e il 90% di loro ha vissuto molestie di tipo verbale.
Più dell' 11% dei soldati attualmente schierati nei due paesi sono donne: più in generale, le donne costituiscono il 15% delle forze militari attive e il 20% di quelle generali. Un incremento dovuto sia all' allargamento delle maglie del reclutamento scattato dopo il 2003 sia all' impiego in teatri di guerra dei componenti delle Guardia nazionale, una forza tradizionalmente impegnata all' interno degli Stati Uniti e con una componente femminile più alta. Per loro, denunciano le associazioni di supporto ai veterani, la tensione è enorme: «Subiscono, come tutti i militari, le conseguenze dello stress psicologico e quelle di eventuali ferite fisiche. In più, corrono il rischio di essere abusate e se questo capita sono sole - dice Suzanne Avila-Smith, fondatrice di Women Organizing Women - se un militare viene ferito in Iraq è trasferito in Germania e curato. Se una donna ha subito uno stupro non c' è nessuna forma di assistenza in Iraq: la risposta più comune che riceve è "torna al lavoro". Poi, se è coraggiosa, sporge denuncia e inizia un iter lunghissimo e molto duro dal punto di vista psicologico». Come molte delle persone attive nel supporto ai veterani, Avila-Smith denuncia l' immobilismo del dipartimento della Difesa.
Ma bisogna anche ricordare i traumi che si portano dentro i soldati che tornano a casa. E a raccontarlo sono due film importanti. La valle di Elah, che parla dei soldati americani tornati dall’Iraq e Valzer con Bashir che racconta la storia del regista Ari Folman in un film d’animazione e che ho recensito su Abbracci e popcorn qui e qui. Vale la spesa di andarli a vedere.

mercoledì 20 maggio 2009

Dubbio Resistenziale


Questa riflessione di un partigiano che ha combattuto nelle Langhe la prendiamo dal sito dell'Associazione modenese "Bollettario".
NO ALLA GUERRA - SEMPRE E COMUNQUE
Giorgio Barberi Squarotti
Dubbio resistenziale
Afghanistan 7 ottobre 2001

Cara Nadia,
cercherò di scrivere qualcosa, ma a me è sempre difficile dire su un tema fissato.
E poi ho qualche altro dubbio: da ragazzo, nelle Langhe, ho partecipato alla resistenza, e fu una guerra necessaria, nel suo piccolo. E allora? Come si può dire: No alla guerra sempre e comunque?
Con molti cari auguri e saluti, Giorgio Barberi Squarotti

Caro Giorgio,
non devi avere dubbi. La resistenza non è stata una guerra, ma solo una lotta armata, indispensabile per rispondere alla guerra voluta e portata avanti da altri. I partigiani, credimi, ne avrebbero fatto volentieri a meno, così come qualsiasi uomo oggi, soltanto di buon senso. Aspetto un approfondimento?
Carissimi saluti, Nadia Cavalera
27 novembre 2001

venerdì 15 maggio 2009

Monzuno 13 maggio: La guerra dei padri raccontata dai figli. Parte II


Il 13 maggio a Vado di Monzuno, nell'aula magna dell'Istituto Comprensivo Vado Monzuno si è tenuto il secondo incontro sul tema "La guerra dei padri raccontata dai figli. Le problematiche del passaggio delle memorie familiari".
Erano presenti Alessandro Baldi (figlio del partigiano Libero Baldi) e Davide Perlini (figlio del soldato inglese David Jackson che non l'ha mai conosciuto).
L'incontro è stato ripreso dalle telecamere di Arcoiris Tv, che presto metterà l'intera conferenza online sul suo sito; è intervenuto anche il giornalista Rai Antonio Silvestri: il servizio sarà trasmesso domenica 24 maggio, dalle ore 11,45 su TG3 RegionEuropa
Il link al progetto "La guerra dei padri raccontata dai figli"

Portavoce Vaticano: il Papa mai stato nella Gioventù hitleriana


Dalla Reuters del 12 maggio 2009 prendiamo questa notizia:
Portavoce Vaticano: il Papa mai stato nella Gioventù hitleriana
martedì 12 maggio 2009 15:51
GERUSALEMME (Reuters) - Il portavoce ufficiale del Vaticano ha detto oggi che Papa Benedetto XVI, di origini tedesche, non è mai stato membro della gioventù di Hitler, contraddicendo le citazioni attribuite allo stesso pontefice e diffuse dai media durante il suo pellegrinaggio in Israele.
Il reverendo Federico Lombardi ha dichiarato che il Papa, il cui discorso di ieri al museo Yad Vashem in memoria delle vittime dell'Olocausto è stato criticato da Israele perché troppo astratto, è stato membro di unità anti-aeree in cui sono stati arruolati molti giovani negli ultimi due anni della Seconda Guerra Mondiale.
Ma dopo che molte notizie diffuse dai media nel corso del suo viaggio in Medio Oriente hanno fatto riferimento alla sua militanza da adolescente nell'esercito nazista, Lombardi ha detto ai giornalisti a Gerusalemme: "Il Papa non è mai stato nella gioventù di Hitler, mai, mai, mai".
Nel libro "Il Sale della Terra", una raccolta di riflessioni religiose e autobiografiche del 1996, basato su interviste con il giornalista tedesco Peter Seewald, l'allora cardinale Joseph Ratzinger ha detto però di essere stato automaticamente arruolato nella gioventù di Hitler.
Alla domanda se ne sia mai stato membro, avrebbe infatti risposto: "All'inizio non lo eravamo, ma poi quando nel 1941 l'ingresso nella gioventù di Hitler è diventato obbligatorio, mio fratello è stato obbligato ad arruolarsi. Io ero ancora troppo giovane, ma più avanti, quando ero in seminario, sono stato registrato nella gioventù di Hitler. Appena finito il seminario, ne sono uscito".
Ha anche detto di aver fatto parte di batterie anti-aeree e di essere stato coscritto nella fanteria tedesca durante la guerra.
Lombardi non ha detto perché il Vaticano non abbia mai smentito in passato la militanza del Papa nella gioventù hitleriana. I media hanno iniziato a parlarne ancora prima che Benedetto XVI fosse eletto nel 2005, e la notizia riappare regolarmente negli articoli su di lui.
Il portavoce del parlamento israeliano, criticando il discorso al museo Yad Vashem, ha descritto il Papa come un "tedesco che si è unito alla gioventù di Hitler e ... una persona che si è arruolata nell'esercito di Hitler".
Il portavoce del Vaticano ha sottolineato la distinzione tra attivisti convinti della gioventù di Hitler e membri delle unità anti-aeree, omettendo la categoria di membri involontari della gioventù hitleriana di cui Benedetto XVI avrebbe detto di far parte, secondo le citazioni attribuitegli.
"La gioventù di Hitler era un corpo di volontari, ideologicamente e fanaticamente d'accordo con i nazisti", ha detto Lombardi.
Il corpo ausiliario anti-aereo in cui il Papa era arruolato verso la fine della guerra "non aveva assolutamente niente a che fare con la gioventù di Hitler, con i nazisti, o con l'ideologia nazista", ha aggiunto.
"E' importante dire ciò che è vero e non dire ciò che è falso su un argomento sensibile come questo", ha detto Lombardo.
La storia del corpo ausiliario anti-aerei, noto come "Flakhelfer", e quella della gioventù hitleriana, descrivono gli ausiliari come un'unità organizzata della Gioventù di Hitler.

giovedì 14 maggio 2009

Addio ad Alex Lees, l'eroe vero della 'Grande fuga'

Ringraziamo Paolo Gessani per la segnalazione di questa notizia tratta da Italiainformazione.com del 6 maggio.

Alex Lees, uno degli ultimi sopravvissuti della vera 'Grande fuga', immortalata al cinema nel 1963 dall'onomimo leggendario film, è morto all'età di 97 anni. Lo scozzese, che durante la seconda guerra mondiale fu un autista del Royal Army Service Corps, fu uno dei 150 'pinguini', come furono chiamati, ovvero i prigionieri alleati che scavarono un tunnel sotterraneo per fuggire dal campo nazista di massima sicurezza Stalag Luft III, allestito in Slesia. Lees è deceduto nella casa di riposo Erskine a Bishopton, in Scozia, vicino a Glasgow. La notizia della scomparsa, che risale al 22 aprile, è stata resa nota al 'New York Times' da un portavoce della casa di riposo scozzese, dove Lees viveva dal 2005. Al funerale di Lees è stata suonata la marcia tratta dalla colonna sonora del film 'La grande fuga', composta dal musicista Elmer Bernstein. A raccontare l'impossibile fuga di massa di 600 prigionieri di guerra dallo Stalag Luft III fu nel 1950 l'ex aviatore australiano Paul Brickhill, che pubblico' il libro autobiografico ''The great escape''. Tredici anni dopo, nel 1963, il regista John Sturges porto' sul grande schermo le avventure epiche narrate da Brichkill, interpretate da un cast stellare che comprendeva Steve McQueen, James Garner, Richard Attenborough e Charles Bronson. Alex Lees aveva 29 anni quando entro' nel Royal Army Service Corps. Il militare scozzese arrivò allo Stalag Luft III nell'aprile 1943, quando era stato già pianificato lo scavo del tunnel, ma non ancora avviato. Un paio di mesi prima Lees era stato catturato dai tedeschi durante un'operazione bellica sull'isola di Creta. Il suo ruolo nella ''Grande fuga'' fu quello di ''pinguino'', cioe' scavatore nella terra, e anche di 'palo' rispetto al piano segreto messo in atto dai prigionieri alleati.

sabato 9 maggio 2009

RaiNews24: Memorie di guerra


Da RaiNews24 un interessante servizio dal titolo "Memorie di guerra"
E’ sempre più nel digitale il luogo dove si conserva la memoria del nostro tempo. Nel Web sono ospitati tutti i filmati disponibili, da quelli in bianco e nero a quelli in alta definizione di oggi. Esplorare il tema guerra porta a fare delle scoperte interessanti. Sulla seconda Guerra Mondiale il filmato più visto è quello relativo al discorso col quale Benito Mussolini ha annunciato il tragico inizio delle ostilità. Ma è quando passato e presente si incontrano che si ottengono i risultati più straordinari: l’esecuzione di Bella Ciao da parte dei Modena City Ramblers è stata scaricata da oltre un milione di persone. A livello planetario grandi speranze ha suscitato poi l’appello del presidente americano Barack Obama sulla riduzione degli arsenali atomici. Scenari ripropone un viaggio nell’incubo nucleare, tormento delle generazioni che hanno vissuto nella seconda metà del novecento. Tornando in Italia sono la nonviolenza e il desiderio di pace ad incontrare il maggiore successo: non a caso in Rete una delle guerre più gettonate è qualla di Piero, il soldato che esita a sparare, nell’esecuzione del 1969 di Fabrizio De Andrè.

venerdì 8 maggio 2009

Durval Jr. sta girando un nuovo documentario sulla FEB


Durval Jr., apprezzato autore del documentario "O Lapa Azul", sta ora girando un nuovo documentario sulla F.E.B. e ci ha mandato questa animazione in anteprima... Approccio alla Linea Gotica.

sabato 2 maggio 2009

Altre due poesie di Celso Battaglia

Mauthausen

Quando l'uomo il senno avea perduto
a quel tempo nessun portava aiuto.
Terremoto voluto e provocato
l'un contro l'altro si trovò scagliato.

Non vi è aiuto né soccorso,
qui nessuno avrà rimorso,
Il mal su il bene ha trionfato,
salvare un uomo qui divien reato

Se cèca diviene l'ubbidienza,
a chi comanda ma non ha coscienza,
facile dire "a me l'han comandato"
in questo modo si assolve ogni reato.

Compassione, pietà, misericordia;
qui non esiste nessun se la ricorda.
Non chi farà del bene ma del male
forse la vita sua potrà salvare.

Quel mostro, quella belva, quella iena,
tutte insieme non dipingono la scena.
Apocalisse, diluvio, ecatombe,
nessun di questo verbo corrisponde.

Inventar bisogna altra parola
che nel vocabolario non v'è ancora,
Onde poter descrivere lo scenario
Poiché è fuori dall'immaginario.

Via crucis fu chiamata quella cava,
un uomo dopo l'altro stramazzava.
Difficile sarà amare questo mondo
là dove l'uomo aveva toccato il fondo

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Partigiani

Otto settembre lo sbandamento
E' per l'Italia un gran tormento.
Altro che giorno dell'armistizio
E' cominciato il dì del giudizio.

Chi comandava ha abdicato:
Il militare è abbandonato.
Caduti in mano dell'invasore
ben aiutato dal traditore.

C'è chi reagisce e si difende:
vuole combattere e non si arrende
sacrificando la sua gioventù
per liberarci da schiavitù.

Ricco e povero; è fratellanza,
è lì che nasce l'uguaglianza.
Nel sacrificio e nel dolore
vi è volontà di farsi onore.

Coraggio amici andiamo avanti.
Oggi sian pochi domani tanti:
Formeremo una grande schiera
tutti riuniti da una bandiera.

Banditi, ribelli furon chiamati.
Ma erano quelli i veri soldati.
Loro l'Italia l'han liberata,
una repubblica ci han regalata.

Operai, intellettuali, contadini
mai si trovarono così vicini.
Dandoci questa costituzione
fonte di legge per la nazione.

Per una Patria indipendente,
una Repubblica, un Presidente.
Non ci son più né duce né re,
ma un parlamento eletto da te.

Un "nisei" torna a Massa sui luoghi dove fu ferito


Davide Del Giudice ci ha segnalato questa interessante iniziativa del ritorno a Massa di Noel Okamoto (442nd Infatrny Division "nisei") nei luoghi dove fu ferito.


L'articolo di Joice Costello è consultabile sul settimanale "The Outlook" della Caserma Ederle e Camp Darby del 30 aprile 2009 (.pdf)