martedì 30 marzo 2010

Progetto S.E.Me.: Siamo arrivati al rush finale!

Progetto Sharing European Memories... siamo arrivati al rush finale... Le scuole stanno completando le "produzioni artistiche". Noi stiamo lavorando all'evento finale del 22-23 maggio (Colle Ameno di Sasso Marconi e Brento di Mozuno)...
Nell'attesa abbiamo pubblicato le photogallery dei lavori nelle scuole...

Calderino di Monte San Pietro
Castel d'Aiano
Castiglione dei Pepoli
Monzuno

sabato 27 marzo 2010

La Ss lo salvò dalla strage


Dal Corriere fiorentino del 26 marzo 2010
La Ss lo salvò dalla strage
Oggi abbraccia il nipote

Enio Mancini aveva 7 anni e non ha mai dimenticato quel momento. Dopo 66 anni ha abbracciato Jochen Kirwel, nipote di quel militare «umano», Peter Bonzelet

Un barlume di luce nelle tenebre profonde della strage di Sant’Anna di Stazzema, 560 italiani - in maggioranza bambini, donne e anziani - massacrati dai nazisti. Un soldato delle Ss che disobbedisce agli ordini e spara in aria anzichè sul gruppo di persone che doveva uccidere. Tra di loro un bimbo di sette anni, Enio Mancini, che non ha mai dimenticato quel momento e che oggi, 66 anni dopo quel tragico 12 agosto 1944, ha abbracciato Jochen Kirwel, nipote di quel militare «umano», Peter Bonzelet, morto nel 1990.
L’incontro è avvenuto al Goethe Institute di Roma, dove il vice ambasciatore tedesco in Italia, Friedrich Dauble, ha consegnato a Mancini e ad Enrico Pieri, presidente dell’Associazione martiri di Sant’Anna, la Medaglia dell’ordine al merito della Repubblica federale di Germania. «Quando Jochen mi ha telefonato un mese fa - racconta emozionato Mancini - sono rimasto choccato, senza parole, non volevo crederci. Io ho sempre cercato quel giovane soldato tedesco (nel ’44 Bonzelet aveva soltanto 17 anni) quando andavo in Germania, ma senza risultati: ora posso abbracciare suo nipote ed è una grande gioia». Quell’episodio, ricorda, «mi ha fatto riappacificare con i tedeschi, non li ho più visti tutti come assassini. In tanta cattiveria c’era anche chi ha dimostrato umanità: quando è rimasto solo, quel soldato ha scelto di risparmiarci, rischiando anche la vita per aver disubbidito agli ordini».
Il giovane Bonzelet insieme ad altre Ss aveva ricevuto l’ordine di riportare in paese un gruppo di persone che erano state viste fuggire in un bosco per ucciderle. I soldati inseguirono i fuggitivi e li trovarono. A quel punto, rievoca Jochen Kirwel, «mio nonno prese una decisione: fece tornare in paese i suoi compagni e disse loro che avrebbe eseguito subito l’ordine da solo nel bosco. Non appena le altre Ss si furono allontanate, cercò di far capire al gruppo di italiani che dovevano nascondersi e rimanere in silenzio, quindi sparò diverse volte in aria con il mitra, sapendo che gli spari si sarebbero uditi nel paese. Quando mio nonno tornò in paese informò il suo superiore che aveva fucilato il gruppo». Questa storia, spiega il giovane, studente di Teologia a Magonza, «me l’ha raccontata mia nonna prima di morire e mi aveva profondamente colpito. Poi, su internet, ho letto la testimonianza di Mancini e mi sono accorto che coincideva con quella del nonno. Ho deciso quindi di mettermi in contatto con lui perchè la sua storia era diventata anche la mia». Il nonno, aggiunge, «ha sempre parlato poco del periodo che trascorse tra le Ss, le immagini della guerra l’hanno perseguitato fino alla morte, non se ne è mai liberato. Se fosse qui - dice rivolto a Mancini - sono sicuro che lui vorrebbe porgerle la mano in segno di pace».

26 marzo 2010

giovedì 25 marzo 2010

La strage di Sant'Anna di Stazzema. Una telefonata dalla Germania: “Mio nonno è l’SS che ti salvò la vita”


Dal Il Tirreno del 18 marzo 2009

La strage di Sant'Anna di Stazzema. Una telefonata dalla Germania: “Mio nonno è l’SS che ti salvò la vita”
di Simone Tonini

La strage di Sant'Anna di Stazzema. Una telefonata dalla Germania: “Mio nonno è l’SS che ti salvò la vita”
Enio Mancini, sopravvissuto alla strage di Sant'Anna di Stazzema, bambino all'epoca dei fatti, dopo 66 anni riceve una telefonata dalla Germania: è Jochen Kirwel, il nipote del soldato nazista che, sparando una raffica di mitra nel vuoto, salvò la sua vita e quella della sua famiglia: un segreto rivelato solo alla moglie in punto di morte. Quel giorno, il 12 agosto del '44, le Ss massacrarono 560 persone. Giovedì 26 al Goethe Institute di Roma ci sarà l'incontro
di Simone Tonini

STAZZEMA. «Pronto, ich heisse Jochen Kirwel». La voce di un giovane, al telefono. Dice poche parole non comprensibili, in tedesco. Una volta tradotte, saranno sconvolgenti: «Mio nonno, Peter Bonzelet, era il soldato tedesco che nel bosco di Sant’Anna sparò in aria». Segue il silenzio.
Enio Mancini, superstite dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, non parla tedesco. Non riesce a comprendere quella frase ma resta calmo. D’altronde lui, memoria storica e a lungo direttore del Museo storico della Resistenza, ha tanti amici e conoscenti in Germania. Quella chiamata, quindi, non lo sorprende più di tanto. «Per favore parli in italiano, conosco il francese ma non il tedesco», aggiunge con cortesia.
Passa un quarto d’ora e il telefono torna a squillare; ma stavolta la voce riesce a farsi capire. Con fatica, il giovane legge la frase, tradotta in italiano. «Mi chiamo Jochen Kirwel: mio nonno, Peter Bonzelet, era il soldato tedesco che nel bosco di Sant’Anna sparò in aria». In questo modo, dopo sessantasei anni, Enio conosce il nome del soldato che, sparando una raffica di mitra nel vuoto, gli salvò la vita. E rivede la scena che gli ha segnato l’e sistenza. Ha sei anni e mezzo. Con altri bambini e con i suoi familiari sta per essere condotto sulla piazza della Chiesa, uno dei luoghi dell’eccidio del 12 agosto 1944.
D’un tratto, le SS si dividono lasciando il gruppo in mano a un giovane soldato: l’ordine è quello di fare fuoco ed uccidere. Una volta soli, con un gesto l’SS fa capire di volerli lasciare liberi, di risparmiarli: i bambini si voltano e si allontanano. Dopo pochi istanti, esplode, fragorosa e per una volta innocua, una raffica di mitra. Il gruppo è salvo. «Credevamo che ci sparasse, per un istante abbiamo pensato di morire. Invece quel giovane soldato stava sparando in aria, per far credere ai suoi di averci ucciso». Per anni Enio Mancini ha raccontato a migliaia di persone il modo in cui è scampato alla morte: grazie a un gesto di misericordia in mezzo a tanto orrore.
«Quando ho capito con chi stavo parlando al telefono - spiega Mancini - sono rimasto di sasso; continuare ad ascoltare è stato davvero difficile e infatti dopo quella chiamata non ho parlato, per ore. Da sempre ho cercato invano di avere qualche notizia di quel giovane che ci risparmiò. Adesso so chi devo ringraziare».
Peter Bonzelet in divisa da SsPeter Bonzelet era una delle SS che il 12 agosto 1944 salirono a Sant’Anna di Stazzema per trucidare 560 innocenti. Donne, bambini, anziani uccisi barbaramente, il paese distrutto con il fuoco, a cancellare ogni traccia di quell’orrore. Persino la giustizia ha provato a far dimenticare il massacro, con una verità che è emersa solo dopo sessant’anni, con il processo di La Spezia. Chi non ha mai dimenticato sono loro, i bambini di Sant’Anna che sopravvissero all’eccidio e hanno speso tutta la vita a raccontare quella tragedia.
Proprio per questo grande impegno, sia Mancini che Enrico Pieri, presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna, saranno premiati il 26 marzo a Roma dalla Repubblica Federale di Germania con un’a lta onorificenza. E quel giorno Jochen Kirwel, che ha 27 anni, incontrerà Mancini.
Peter Bonzelet è deceduto nell’ottobre del 1990. Viveva a Mainz (Magonza), in Germania, dove risiede anche Jochen. «Mio nonno - riassume Jochen - faceva parte delle Waffen SS, utilizzate per operazioni contro i partigiani. Non ha mai parlato della guerra con nessuno tranne che con mia nonna. Ho conosciuto la vicenda solo sei mesi fa: poco prima di morire, mia nonna ha affidato a me la storia».
A quel punto Jochen ha cercato su internet informazioni su Sant’A nna di Stazzema. «Ho letto il racconto di Enio: corrispondeva a quello di mio nonno. Mancini diceva di essere stato risparmiato da un soldato tedesco che invece di sparare a lui e agli altri, aveva fatto fuoco in aria. Era ciò che mi aveva raccontato mia nonna: in quel crimine spaventoso, era stato compiuto almeno un gesto di umanità».
Per Peter non è stato facile tornare a casa, dopo l’orrore di quel giorno maledetto in alta Versilia. «Si è trascinato dietro, per tutta la vita, i fantasmi della guerra - racconta il nipote - ha dovuto curarsi perché quelle immagini lo perseguitavano giorno e notte. Si è chiuso nel silenzio».
Quando Jochen è riuscito a rintracciare il recapito, Mancini non sapeva cosa fare. «Mi sono chiesto per giorni quale fosse la cosa giusta, chiedendomi come avrebbe reagito. Ma volevo conoscerlo, chiedergli scusa per i crimini di cui sono responsabili anche mio nonno e i suoi compagni. E stringere la mano all’uomo che mio nonno ha risparmiato. Così ho deciso di telefonare».
Un ruolo importante nella vicenda è rivestito dai coniugi Horst e Maren Westermann, i due musicisti tedeschi che nel 2007 hanno ricostruito l’Organo della Pace a Sant’Anna. «E’ grazie al loro interessamento che la Repubblica federale tedesca ha concesso l’a lta onoreficenza che, con Enrico Pieri, ritireremo a Roma - commenta Enio Mancini - e sempre grazie a loro è stato possibile stabilire il contatto con Jochen e conoscere il nome di quel soldato». Quel nome è Peter Bonzelet.
(18 marzo 2010)

lunedì 22 marzo 2010

La II Guerra mondiale attraverso gli occhi di nostro nonno


Da www.alboscuole.it riportiamo questo articolo del 22/03/2010 - 12.03

La II Guerra mondiale attraverso gli occhi di nostro nonno

Mio fratello e io abbiamo deciso di intervistare nostro nonno perché è stato a contatto con gli eventi della II Guerra Mondiale vivendo in giovane età molte esperienze difficili, ma importanti da conoscere. 1)Quanti anni avevi quando è scoppiata la II Guerra Mondiale? Quando è incominciata, nel 1940, avevo circa la vostra età, 12 anni. 2)Hai partecipato alla guerra come soldato? No, non mi sono potuto arruolare perché ero troppo giovane. 3)La tua famiglia com’è stata coinvolta negli eventi bellici? Quel periodo è stato molto duro; dovevamo rimanere spesso nascosti. Quando c’erano i rastrellamenti, i Nazisti entravano con la forza nelle case per requisire grano, farina e bestiame perché avevano bisogno di cibo. Abbiamo dovuto difenderci anche dai bombardamenti, non tanto quelli aerei, che colpivano maggiormente i centri abitati, ma dalle granate dei cannoni, che a volte arrivavano anche a pochi metri dalla nostra casa. Addirittura una entrò anche nella nostra abitazione; fortunatamente non scoppiò perché era difettosa. Spesso venivano minati anche i campi vicino alle case, quindi bisognava stare molto attenti. Inoltre, durante l’ultimo periodo della guerra, la nostra casa fu occupata da un gruppo di soldati (Canadesi e Indiani) dell’esercito alleato. 4)Sei mai stato costretto a nasconderti per non essere ucciso? Sì, mi è successo molte volte! Le donne potevano circolare per le strade, quindi andavano ad avvisare che stavano arrivando i Tedeschi per portare via gli uomini; così noi ci nascondevamo in rifugi scavati sottoterra. Quando bombardavano le città, molti scappavano e cercavano riparo in case di campagna; la mia famiglia ha anche ospitato dei rifugiati, e abbiamo diviso con loro lo spazio e il cibo. Con queste persone si è stretto un legame così forte che ancora oggi si mantiene. 5)Qual è stato il momento in cui hai avuto più paura? E’ stato quando, fra l’11 e il 12 del 1944, si è svolto uno scontro durissimo tra alleati e Tedeschi lungo il fiume Lamone (la mia casa era a pochi metri da uno degli argini). I bombardamenti finirono quando i Tedeschi batterono in ritirata e i soldati allo sbando, privi di ordini, si rifugiarono sfiniti nelle abitazioni dei civili e si arresero agli alleati. Lo scontro fu molto violento e in alcune zone (lungo canali, strade e fossati) c’erano tantissimi cadaveri di soldati; è stata una vista straziante che non sono mai riuscito a dimenticare; alcuni militari, feriti gravemente, erano riusciti a tirare fuori dalle tasche la foto di un familiare, ed erano morti così, con quell’immagine tra le mani. 6)Hai mai dovuto lasciare la tua casa? No, perché in campagna i civili erano un po’ più protetti, mentre nei centri abitati il pericolo era maggiore, visto che gli attacchi aerei si concentravano sulle vie di comunicazione importanti come ponti, linee ferroviarie ed elettriche, etc. La nostra zona si trovava comunque lungo la linea gotica dove il fronte si è fermato per molto tempo e lo scontro tra alleati e Tedeschi è stato violento. Come si può ben immaginare la situazione ha pesato molto anche sui civili! 7)Riuscivate ad avere informazioni sull’andamento del conflitto? Sì! Un soldato tedesco, che aveva disertato e si era nascosto a casa nostra, riusciva ad avere informazioni sugli spostamenti degli eserciti e ci teneva aggiornati. Inoltre ascoltavamo Radio Londra che forniva continuamente notizie sull’andamento del conflitto. Dal momento che era proibito, ascoltavamo la radio di nascosto, chiusi in casa e tenendo il volume basso; rischiavamo di essere fucilati nel caso che Fascisti o Nazisti ci scoprissero! Durante i comunicati venivano anche pronunciate delle frasi in codice come ad esempio “Le mele sono mature”, di cui non capivo il senso, e che erano rivolte ai partigiani. 8)Che cosa ti è rimasto più impresso di questa terribile esperienza? Oltre alla durezza di certi momenti e alla sensazione costante di paura, mi sono rimasti impressi anche la capacità e la volontà di alcune persone, in un periodo così difficile, di aiutarsi a vicenda rischiando a volte la vita. Ricordo anche molto forte il senso di libertà provato dopo la vittoria degli alleati e la fine di un regime dittatoriale e violento come il Fascismo.

Pesaro, 26 marzo 2009: 'La linea gotica' a Pesaro


Da www.altarimini.it riportiamo la notizia del 22-03-2010 11:22:52
'La linea gotica' a Pesaro - PU

Venerdì 26 marzo prosegue a Pesaro TeatrOltre, rassegna dedicata alle “forme espressive del presente” che si snoda tra Fano, Pesaro ed Urbino su iniziativa della Fondazione Teatro della Fortuna di Fano, dei Comuni di Pesaro e Urbino, della Provincia di Pesaro e Urbino e dell’Amat. Un palcoscenico "grande 3 città" per le più importanti esperienze della scena contemporanea, è questo l’obiettivo di TeatrOltre i cui appuntamenti sono espressione dei linguaggi più innovativi del panorama italiano.
Il Teatro Sperimentale ospita come secondo appuntamento Linea Gotica, una lettura-concerto sorta dall’incontro tra le musiche e i testi di Rossocolore - adattamento, regia e voce recitante sono di Federico Paino - e brani tratti da Linea Gotica di Cristoforo Moscioni Negri (Il Mulino 2006).
Uno spettacolo - realizzato con il sostegno dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo - di chiara impronta teatrale, dove la musica diviene un vero narratore, un attore che accompagna il pubblico in un viaggio all’interno della storia, quella della Resistenza Partigiana. Sfondo del narrato, storie minute semplici e di vita, attraversate da una tensione costante verso il ricordo che si fa memoria.
Martedì 30 marzo presso la Sala della Repubblica del Teatro Rossini alle ore 17.00 avrà luogo l’incontro aperto al pubblico con Federico Paino e i Rossocolore.
Non un banale susseguirsi di musica e recitato ma un fluire narrativo continuo, dove gli elementi si fondono scambiandosi di ruolo, l’uno nell’altro. Al crudo disincanto della dizione dei testi di Moscioni Negri disseminato su schizzi di episodi apparentemente casuali e quotidiani, fa da controcanto la musica calda ed essenziale dei sei musicisti di Rossocolore, per immergere l’ascoltatore non solo in una vicenda personale e comune, ma anche e soprattutto in quella ridda di sentimenti contrastanti che sempre accompagna la guerra e la lotta per il proprio paese e il proprio avvenire.
Il libro Linea Gotica a cui si ispira lo spettacolo è “spietato, scomodo, apolitico, scevro da qualsivoglia moralismo o ideologia. Non vi è traccia di eroi né di demoni. Dallo sguardo inclemente e sofferto dell’autore solo si salvano la semplicità dell’amicizia e della rabbia, il connaturato istinto alla libertà e alla protezione della propria terra, il disgusto per logiche di potere che neppure un conflitto globale cancella e rinverdisce, l’orrore per una guerra che si sa senza vincitori ma solo gonfia di perdite e dolore. Tratteggiando storie di uomini comuni, spesso coraggiosi “fino all’assurdo”, a volte quasi ingenui nella fresca semplicità dei desideri, sempre meravigliosamente umani, l’autore stila anche un fermo atto d’accusa contro un potere indifferente e cinico, che troppo poche volte protegge e più spesso ciecamente soffoca gli slanci di libertà e di autodeterminazione

The Pacific - Stagione 1 - First look


Da www.everyeye.it riportiamo l'articolo di Giuseppe Nexus Gatti del 22/03/2010

The Pacific - Stagione 1 - First look

I titoli di testa si aprono lungo il solco di un carboncino nero. Le schegge di china si trasformano in zolle di terra, i tratti in lineamenti umani, le macchi d’inchiostro in macchie di sangue. A precedere la sigla, un breve inserto documentaristico con l’entrata in guerra degli Stati Uniti dopo l’attacco di Pearl Harbor del 1941. Seguiremo così la guerra del Pacifico, fra parole ruvide ed immagini laceranti. The Pacific, fratello gemello di Band of Brothers, ci mette nuovamente a confronto con i drammi della Grande Guerra, stavolta attingendo alle memorie scritte dei marine americani, tentando di raggiungere la verosimiglianza attraverso un avvolgente lirismo storico. Trama A nove mesi da Pearl Harbour, la prima divisione del corpo dei Marine è inviata nell’isola di Guadalcanal, nel sud del Pacifico, per condurre la prima offensiva militare degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Obiettivo: distruggere il campo d’aviazione giapponese che impedisce i rifornimenti statunitensi diretti in Australia. Un anno prima, giovani e giovanissimi, fra cui il diciottenne Eugene e l'italoamericano John Basilone, si arruolavano nei Marines, lasciando la propria famiglia per seguire l’ideale patriottico. Ora, assieme al soldato di prima classe Robert Lackie, si trovano in prima linea, e, dopo la battaglia, tentano di far quadrare alle proprie coscienze gli orrori della guerra. Budget bomba Per garantire la veridicità dei flussi di coscienza dei Marines, lo sceneggiatore Bruce McKenna attinge ai libri di memorie di due soldati realmente esistiti e protagonisti della serie: Helmet of my pillow di Robert Lackie (interpretato da James Badge Dale) e With the Old Breed di Eugene Sledge (interpretato da Joe Mazzello). Da entrambi i racconti emerge il paradosso, già espresso visivamente in questo primo episodio, di una guerra crudele e sporca consumata in uno degli scenari naturalistici più affascinanti del mondo. Sul piano estetico difatti i due produttori illustri, Steven Spielberg e Tom Hanks, sembrano non aver badato a spese e, con un budget di oltre 150 milioni di dollari, realizzano il serial più costoso mai girato in Australia. Per la regia si affidano ad una vera e propria equipe di director, che si alterneranno di episodio in episodio come già in Band of Brothers.

sabato 20 marzo 2010

"San Marino 1944: ai tempi del fronte": presentato il DVD


Da Sanmarinotv.sm riportiamo l'articolo di Lorenzo Giardi

"San Marino 1944: ai tempi del fronte": presentato il DVD"
In udienza dai Capitani Reggenti il giornalista Luca Salvatori, che ha realizzato il filmato con Monica Fabbri e il telecineoperatore Marco Bollini
19/03/2010
“Periodo fra i più drammatici della vita del nostro paese, dolorosa parentesi di sopruso patito da un piccolo Stato pacifista e neutrale che ha dato ospitalità a centomila profughi assicurando protezione. Dai sammarinesi che vissero quegli anni si tramanda alle giovani generazioni il ricordo di come la nostra piccola comunità sia riuscita a salvaguardare la propria sovranità, ma è altrettanto viva la consapevolezza di quanto sia stato alto il prezzo pagato da tanti esseri umani militari e civili. Siamo certi – ha aggiunto la Reggenza - che ciò che è accaduto nel suolo sammarinese più di sessantacinque anni fa abbia trovato in questa opera il giusto spazio al susseguirsi di eventi che, raccolti e rappresentati con competenza, renderanno più vicina e comprensibile la realtà delle cose".
Un lavoro certosino, per il quale il giornalista si è avvalso della preziosa collaborazione dello “storico” Amedeo Montemaggi . Fu proprio la moglie dell’esperto della Linea Gotica, Edda, a suggerire al giornalista la presenza di alcuni filmati su San Marino, all’Imperial War Museum di Londra. Filmati girati dall’esercito alleato, durante il passaggio del fronte nel settembre - ottobre 1944.

Lorenzo Giardi

Monchio Susano Costrignano, 18-21 marzo 2010: 18 marzo 1944


18 marzo 1944 18-21 marzo 2010
PROIEZIONE IN CONTEMPORANEA NELLE SCUOLE
DEL COMPRENSORIO DEL DOCUMENTARIO.
Giovedì 18 Marzo 2010 mattino

“SENTIERI DELLA STORIA”
ORGANIZZATO DA ASS. LUNA NUOVA PALAGANO
Sabato 20 MARZO 2010 (Per contatti, Fabrizio carponi))

COMMEMORAZIONE CIVILE ECCIDIO
Domenica 21 Marzo prima mattina

- Posa SIMULTANEA delle corone da parte di una personalità rappresentante le istituzioni nei siti di SAVONIERO, MONCHIO, COSTRIGNANO.

- Riunione di tutti i gruppi presso la BUCA DI SUSANO. Posa della corona, da parte del sindaco di Palagano, alla presenza della Banda Comunale. Discorso conclusivo del sindaco e delle autorità intervenute presso la buca di Susano.

- Trasferimento presso la chiesa di Susano per la celebrazione della messa a suffragio.

MESSA A SUFFRAGIO DELLE VITTIME
Ore 13.00 Possibilità di pranzare presso il ristorante del cento servizi di Santa Giulia

CENTRO SERVIZI SANTA GIULIA:

Ore 15.00 Inizio dei lavori

Presiede
Galvani Paolo
Sindaco di Palagano

Proiezione pubblica del documentario “LA MALORA- 18 marzo 1944” di Vera Paggi andato in onda su RAINEWS24 (durata 50 min. circa)

Segue dibattito a cui parteciperanno:

ROBERTO TINCANI
Associazione delle vittime 18 marzo 1944

AUDE PACCHIONI
Presidente ANPI Modena

LUCA BEZZI
Presidente sezione locale ANPI Palagano

DEMOS MALAVASI
Presidente del consiglio provinciale di Modena

ANDREA SPERANZONI
Avvocato difensore di parte civile

CLAUDIO SILINGARDI
Istituto storico di Modena

VERA PAGGI
Giornalista RAI

Monchio, 20 marzo 2010: In memoria


'In Memoria: Camminando sui Sentieri della Storia'

Passeggiata sui sentieri della libertà con visite guidate ai luoghi simbolo dell'eccidio di
Monchio, Costrignano, Susano e Savoniero
Itinerario guidato con testimonianze, letture, musica.

Programma
- ore 10.00, ritrovo alla Buca di Susano, presentazione del luogo e dell'attività
- trasferimento in auto a Lama di Monchio, visita al borgo - inizio passeggiata
- Lama di Monchio- Memorial S.Giulia con soste lungo il percorso ed incontro con
diversi personaggi
- Memorial S.Giulia - visita al Parco della Resistenza e 'pranzo del partigiano’
- Parco S.Giulia- Monchio sosta lungo il percorso ai luoghi simbolo, arrivo in Piazza dei
Caduti, visite ai monumenti di piazza Caduti e Parco dei Caduti, incontro con
testimoni, letture e momento musicale
- rientro a Lama di Monchio dal Sentiero della Libertà orario previsto 17.30/18.00

La partecipazione è gratuita, per questioni organizzative è necessaria la
prenotazione entro le ore 20.00 di venerdì 19 marzo ai seguenti numeri:
fabrizio 339 2943736
laura 333 8117469

lunedì 15 marzo 2010

La Speranza

La speranza

I valori son perduti,
è tutto un grande inganno.
Ovunque serve aiuti:
il mondo sta annaspando.

Distruggere le armi,
cancellarle dalla terra.
La fame dimenticarmi
e dimenticar la guerra.

Aiuto tra i popoli,
amore e fratellanza,
o tutto andrà a rotoli,
si perde la speranza.

Per giovane ed anziano
la salute sia un diritto,
che l’uomo resti sano
e non vecchio relitto.

Il lavoro sia per tutti,
il benesser ripartito,
ognun raccolga i frutti,
il male sia bandito.

Con questa terra in pace
dove vivere vorrei
l’augurio che a me piace
per nipoti e figli miei.

Celso Battaglia

La didattica autobiografica

Da Scuola e Didattica riportiamo un articolo di Laura Tussi

INTERVENTI
La didattica autobiografica
Una traccia per percorsi scolastici alla scoperta di sé e dell'altro


L'attenzione per i processi mentali non deve rappresentare un'occasione episodica in ambito didattico, ma un'occupazione costante di ogni singolo docente, per rendere il discente consapevole delle operazioni mentali da compiere al fine di risolvere compiti e problemi, sia di natura teorica che pratica.
Il nostro modello di attività mentale è sistemico: ogni manifestazione del pensiero può essere studiata solo in correlazione con le altre.
"Pensare" significa mettere in relazione diverse componenti del pensiero, nella loro intrinseca dinamicità e interattività, in una prospettiva di rivalutazione della natura processuale e dinamica dell'esistenza mentale.
L'intelligenza è l'identità stessa del soggetto: significa approssimarsi all'"altro", al suo modo di attribuire senso e significato alla realtà: le cose, gli altri, il mondo, sé stessi. Secondo Bruner l'intelligenza è ricerca continua di significati per "leggere dentro" [intelligere] i vari aspetti ontologici dell'esistenza.
Il potenziale intellettivo è contrassegnato da una macro-facoltà: la metacognizione. Il soggetto intelligente, per dare significato alla realtà, utilizza la facoltà metacognitiva grazie alla quale descrive il lavoro della mente rispetto ai singoli domini mentali, potenziandoli attraverso la pratica intellettiva.
•Dominio autocognitivo - (rimemorazione, pensiero retrospettivo) consiste nell'e-vocazione del proprio passato attraverso l'introspezione, in un'attività autocognitiva.
•Dominio estatico - (attesa estatica) implica l'uscita da sé, accogliendo tutte le sensazioni che derivano dalle percezioni, limitandosi, metacognitivamente, a descrivere ciò che si percepisce.
•Dominio eterocognitivo - (pensiero costruttivo) dove la cognizione lavora su ciò che è altro da sé, verso persone e cose; in virtù di esso la mente organizza il reale mediante classificazioni, attraverso un pensiero costruttivo.
•Dominio interpretativo - (pensiero categorizzante) utilizza modalità metaforiche, immagini simboliche per interpretare la realtà attraverso modelli mitici, entità umane o sovrapersonali che appaiono avere verità assoluta.
Le finalità didattiche del metodo autobiografico consistono nella messa in luce di stili, codici, funzioni comunicative, norme e regole di interazione per imparare a pensare: sperimentare il piacere e l'emozione di questa attività liberatoria, riabilitando la facoltà di pensiero, nell'attribuzione di senso e significato alla realtà (ermeneutica interpretativa), stimolando il potenziale cognitivo del soggetto.
Lo stile educativo del "formatore autobiografo" è caratterizzato:
•dalla capacità di ascolto, non scadente nel nozionismo;
•dall'attività dialogica, evitando l'univocità dell'interrelazione comunicativa;
•dalla facoltà e predisposizione a domandare e problematizzare per ottenere un interscambio dialogico proficuo, nel confronto tra diversità.
Contenuti e metodologia
In questa tipologia di laboratorio a base pedagogica, si è impostato un lavoro creativo a livello cognitivo/apprenditivo con un richiamo didattico a contenuti basati sulla narrazione di sé, in forma prima orale e collettiva, di seguito più individuale, scritta, sotto forma di diario, sia personale che ri-partecipato tramite la lettura in classe reciproca e comunitaria.
"L'uomo che non ritorna su quanto ha vissuto resta alla superficie di sé stesso. Non c'è esperienza nel puro accadere degli eventi" (J. Thomas).
Grazie a questo approccio il gruppo classe diviene un'imprescindibile risorsa di esperienze per l'autonomia di ogni singolo elemento a livello didattico e interdisciplinare. Questo nell'ambito di una pratica pedagogica ed educativa che ritrova i suoi addentellati e retaggi nella pratica e cultura educativa militante sia a livello sociale ("pedagogia della memoria") che retrospettivo/introspettivo come cura e riappropriazione di sé, sulla base di un processo di auto ed eteroreferenzialità: il diverso, l'altro diventa veicolo alla riscoperta e alla stima di sé, tramite un progetto multidisciplinare di "educazione interiore" permanente.
"L'educazione interiore, come contemplazione, meditazione, autoriflessione, lungi dall'essere soltanto una via ascetica, laicamente costituisce un programma che donne e uomini si sono sempre dati per ampliare pensiero ed intelligenza, per conoscere di più sé stessi: attraverso l'esplorazione della loro autobiografia, una maggiore attenzione per la dimensione affettiva, lo sviluppo dell'immaginazione. Pedagogisti, insegnanti ed educatori hanno responsabilità e ruoli nelle attività di ascolto ed interpretazione delle esigenze più nascoste della mente, al fine di formare altri adulti con il compito di educare all'apprendere da sé stessi e a conoscersi, creando spazi e momenti per l'educazione al 'sentirsi persone'"1.
Nei laboratori tenuti dalla sottoscritta si sono indagate essenzialmente tematiche comuni all'età dell'adolescenza, ma si sono verificate anche "trasposizioni", "proiezioni" di progettualità nel futuro, in immedesimazioni verso molteplici e poliedrici "io futuri". Attraverso l'utilizzo di mappe concettuali si sono ricavate le parole chiave, si sono sviscerati i concetti fondamentali relativi a determinati argomenti riguardanti a loro volta l'ampia gamma di eventi appartenenti alle esperienze di vita dell'essere umano.
Questi alcuni dei sentimenti esplorati:
•Amicizia;
•Amore;
•Solitudine;
•Gioia.
Il metodo prevede che si studi e si indaghi, tramite un discorso interrogativo, dialettico, analitico a livello collettivo, d'insieme, coinvolgente il gruppo classe - che prevede anche la partecipazione interattiva dell'insegnante - uno tra i molti sentimenti posti in campo, mettendone in evidenza metafore collegate, luoghi comuni, ricordi personali o componenti archetipiche, collegamenti e ulteriori concetti ricollegati alla parola focus.
Oppure si possono anche esplorare Continua Apicali (Jung) o Peak Experiences (Maslow) dell'esistenza:
•Nascita;
•Morte;
•Vita;
•Fantasia/creatività;
•Gioco/avventura.
Ogni ragazzo, dopo ampia discussione collettiva in classe e dopo aver steso in gruppo una mappa concettuale del tema esplorato tramite un brainstorming sull'argomento, sceglie alcune parole della mappa per rielaborarle ulteriormente sotto forma di dialogo con compagni e insegnante e di testo creativo.
L'intero percorso si conclude in un elaborato scritto di un episodio relativo al tema che ha fortemente caratterizzato il passato dell'allievo o che semplicemente riaffiora in modo istantaneo e istintivo alla sua memoria, alla sua mente.
I laboratori puntano il loro focus educativo ed esperienziale sulla referenzialità reciproca della metodologia del racconto autobiografico: "Nel momento relazionale dell'incontro tra chi è protagonista di una vicenda e qualcuno che si dimostra interessato ad essa subentra l'effetto di eterostima: il narratore si riconosce nelle parole altrui, di attenzione e conferma"2.
Di seguito si prosegue con la riscrittura su quaderno di tali eventi ed episodi riaffioranti dal ricordo evocativo e introspettivo, ricorrendo alle abilità metacognitive del:
•rievocare (ricordare a voce, raccontando);
•commemorare (ricordare insieme);
•rimembrare (ricostruire; riassemblare "membra" di eventi);
•rammentare (riportare alla mente);
•ricordare (riportare al cuore).
In questo modo la personale interiorità e progettualità di chi partecipa viene riacquisita, recuperata, ricondivisa e riattualizzata per l'avvenire più recente o lontano.
"La missione di questo insegnamento è di trasmettere non puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero"3.

Laura Tussi

1 Demetrio D., L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, La Nuova Italia, Milano 2000.
2 Demetrio D. a cura di, L'educatore auto(bio)grafo. Il metodo delle storie di vita nelle relazioni d'aiuto, Unicopli, Milano 1999.
3 Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

venerdì 12 marzo 2010

Rivoluzione web

Da Peacereporter del 11 marzo 2009
Rivoluzione web
di Benedetta Guerriero
Professori e presidi sottolineano con sempre maggiore insistenza quanto la scuola e le relazioni tra i ragazzi si siano trasformate con l'avvento della rete
Internet, la rete ormai da diversi anni sono al centro di un processo di trasformazione radicale della società. Si è modificato non solo il modus vivendi, ma anche i rapporti tra le persone. A vivere gli effetti della rivoluzione del web sono soprattutto le nuove generazioni. Presidi e professori sottolineano con sempre maggiore insistenza quanto sia cambiata la scuola e anche i rapporti tra i ragazzi con l'avvento della rete.
“La scuola – afferma Nino Pizza, professore delle superiori – vive una profonda difficoltà, è attaccata da molti fronti e si sta difendendo. I tempi educativi vengono ridotti e si rinuncia all'elaborazione critica della conoscenza e della formazione. In questo la rete ha avuto una grossa responsabilità”. La rete è immediata, semplice da usare, permette di scaricare nozioni senza alcuna fatica e mediazione. Il rischio, tuttavia, secondo molti insegnanti è che il web non venga sfruttato in maniera costruttiva e utile. “I ragazzi – prosegue Pizza – si sanno muovere con disinvoltura in rete e spesso le loro competenze sono pari a quelle di noi professori. Il problema, tuttavia, si pone quando si passa alla creazione. Gli alunni consumano internet, lo vivono in maniera passiva. Non riescono a passare alla fase successiva che prevede la creazione di contenuti e di significati. Non si rendono conto delle enormi potenzialità che offre loro questa nuova frontiera. Lo subiscono”.
Sarebbe la passività con cui i ragazzi consumano il web a renderlo poco utile dal punto di vista scolastico, così come l'assenza di una didattica e di una metodologia nuove che integrino le possibilità aperte dalla rete. Secondo il professor Pizza le tanto acclamate lezioni in video-conferenza, che spopolano nelle università e che prima o poi raggiungeranno anche le scuole superiori, non costituiscono un uso critico del web. Sarebbero semplicemente degli stratagemmi per mercificare ulteriormente la cultura e accorciare i tempi educativi. “Non penso – dice Pizza – che cultura, educazione e formazione siano concetti contrari al mercato, il loro incontro è necessario. Bisogna, tuttavia, fermarsi un attimo e riflettere sulle potenzialità della rete per capire dove ci porta”.
Non sono solo la didattica e la metodologia a essere messe in crisi dalla rivoluzione di internet, ma anche le relazioni tra i docenti e gli alunni e quelle tra i ragazzi. Molti passano molte ore connessi, assorti in una dimensione virtuale, che rischia di allontanarli dalla realtà. “Le relazioni tra i ragazzi – conclude Pizza – sono cambiate moltissimo, si sono proprio trasformate. Spesso vivono di rapporti on-line e una vicinanza attraverso questo strumento. Non più attraverso il corpo. Per questo sono sempre più convinto che la rivoluzione sociale e culturale introdotta dal web andrebbe guidata per diventare costruttiva e vissuta criticamente. Tutti dovrebbero avere accesso a internet e usarlo per avvicinare i corpi, non per allontanarli”.

lunedì 8 marzo 2010

La pedagogia del dialogo

Dal Centro Studi Sereno Regis di Torino del 5 marzo 2010
La pedagogia del dialogo
di Laura Tussi
La relazione socio-affettiva come stimolo ad una pedagogia alternativa alla cultura dominante.


La tematica del rapporto e della relazione influenza in modo specifico l’approccio pedagogico ed educativo perché conduce ad interventi didattici e disciplinari, ma soprattutto relazionali e comportamentali che portino alla maturazione di concezioni e di modi di essere, di fare e di pensare alternativi a determinati stili tradizionali imposti dalla cultura dominante. Infatti l’educazione alla Pace si basa su modelli e modalità relazionali basati sulla fiducia e non sul potere, sul dialogo, sul confronto e l’interscambio di opinioni, aprendo un percorso innovativo a livello di rapporti, di metodi e di contenuti, valorizzando un’impostazione complessiva di codeste tematiche all’interno dei curricoli e dei processi formativi. La psicologia dell’età evolutiva presenta inevitabilmente riflessioni riguardanti i rapporti affettivi e relazionali che ci caratterizzano dalla prima infanzia, basati su dinamiche relazionali e comportamentali come la capacità di comunicare, la conoscenza di sé e degli altri, la capacità di cooperare, la fiducia in sé e negli altri e la propensione alla risoluzione delle dinamiche conflittuali.

L’importanza delle componenti sociali, affettive ed emotive nei processi di crescita.
Secondo un’analisi pedagogica occorre tenere presente l’importanza delle componenti socio-affettive nei processi evolutivi di crescita e di apprendimento. La natura esperienziale dell’apprendimento è implicita in ogni intervento educativo che si avvale della sfera emotiva, affettiva ed interiore senza cui l’apprendimento e la conoscenza si atrofizzano diventando esclusivamente funzioni cognitive. La capacità apprenditiva viene stimolata e potenziata attraverso attività ludiche, pratiche, occasioni di incontro relazionale, l’esercizio delle varie facoltà espressive che non devono essere considerate come ambiti voluttuari e di svago evasivo compensativo, ma costituiscono la componente nodale dei processi di evoluzione cognitiva in diversi stadi dell’esistenza. Le attività finalizzate all’educazione alla pace vogliono promuovere gli obiettivi sociali, relazionali ed affettivi in coincidenza con l’azione formativa anche di carattere culturale. Gli aspetti socio-affettivi comportano precise interferenze nei processi d’apprendimento e di cognizione, infatti un ragazzo scarsamente inserito nel contesto umano e relazionale del gruppo classe sarà coinvolto e si impegnerà con minore attenzione e partecipazione rispetto agli altri.

La metodologia didattica della Pace
L’educazione alla Pace prevede obiettivi in successione logica, ossia prima della capacità di comunicare è necessario incrementare la fiducia reciproca e la conoscenza interpersonale. E’ molto importante il clima in cui si realizzano gli interventi operativi di educazione alla Pace, dunque proporre a livello metodologico e didattico la scrittura collettiva, i brainstorming, i circoli di condivisione, il dialogo controllato, incentivando la conoscenza di sé e degli altri, la capacità di risolvere i conflitti, acquistando il senso di un’opportunità offerta a coloro che vogliono fare dell’educazione un’attività promozionale e non di esclusivo contenimento e che credono che anche l’insegnante e l’educatore, in generale, abbia molto da imparare con gli allievi e con quanti interagiscono nel setting educativo. Risulta molto importante il clima emotivo e relazionale entro cui si realizzano interventi operativi miranti alla didattica della Pace. In un clima di scarsa fiducia e di poca collaborazione reciproca non avrebbe senso proporre un gioco che miri a realizzare un contesto di cooperazione. Tali proposte, se integrate all’interno della comune attività didattica, acquistano una forza tutta particolare. Si tratta di costruire le sequenze, gli itinerari didattici utilizzando tali tecniche, come, per esempio, preparare una lezione collettiva, stendere un regolamento di classe, intervenire collettivamente nella programmazione scolastica, affrontare problemi d’attualità, impostare una ricerca interdisciplinare. Impostare un programma di educazione alla Pace comporta l’analisi delle condizioni che permettono un’impostazione non lesiva dell’aggressività e la verifica di esperienze e situazioni di potenziamento delle capacità di cooperazione e collaborazione.

sabato 6 marzo 2010

Portoferraio: 6 marzo, spettacolo teatrale "Le donne di Sant'Anna"

Da Elba Link del 6 marzo 2010
"Le donne di Sant'Anna"
Teatro dei Vigilanti - Portoferraio
Testo di Alberto Severi
Liberamente ispirato al libro "Sant'Anna, storia di una strage" di Paolo Pezzino
con Livia Castellana e Martina Benedetti
regia Andrea Mancini
da un'idea di Andrea Buscemi
La mattina del 12 agosto 1944, la furia omicida dei nazi-fascisti colpì, improvvisa e implacabile, Sant'Anna di Stazzema. Centinaia e centinaia di vittime, trucidate, bruciate, straziate...
Questa è la narrazione in forma teatrale di quei terribili eventi, di una delle più efferate stragi naziste dell'ultima guerra,tornata prepotentemente alla ribalta dopo il film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna" (e le conseguenti polemiche sulle responsabilità oggettive dei partigiani), e più ancora dopo la sentenza al processo di La Spezia nel 2005.
Il 12 agosto 1944 sui monti della Versilia un battaglione tedesco in ritirata comandato dal generale Dosler massacrò centinaia di persone inermi in un impeto di crudele e insensata ferocia, macchiandosi di un crimine che ha atteso oltre sessant'anni per avere giustizia.
Uno spettacolo che è uno spaccato di Storia e insieme un'orazione civile per ricordare e riflettere sull'eterna insensatezza della guerra.

Il Perdono di Pirini

Dal blog "Notizie dalle valli del Reno e del Setta" di Francesco Fabbriani
Il Perdono di Pirini del 25 febbraio 2010
“Ho perdonato i nazisti”. La frase è stata pronunciata dal palco del teatro di Marzabotto dal superstite dell’eccidio di Monte Sole Francesco Pirini in un incontro con gli studenti di Marzabotto, Vergato e Sasso Marconi sul film di Giorgio Diritti ‘L’uomo che verrà’ incentrato per l’appunto sull’eccidio nazi fascista di Monte Sole. Francesco ha poi spiegato: “Ho perdonato perché a settant’anni da quella barbarie, gli eccidi delle popolazioni civili si ripetono e si aggravano e non voglio essere proprio io uno dei fomentatori di odio”. La frase è rimbalzata fra le pareti del teatro di Marzabotto inattesa poiché Pirini aveva appena finito di raccontare le tristissime vicende dell’autunno del ’44 a Cerpiano dove ha perso ben13 congiunti fra cui la madre. “Quando Reder era in prigione e ha chiesto il ‘perdono’ sono stato fra quelli che lo hanno negato. Non riuscivo a perdonare. Poi, suor Benni, anche lei miracolosamente risparmiata dalla morte, mi ha rimproverato di non aver perdonato nonostante la mia fede cristiana. Mi sono poi trovato a raccontare gli eventi di Cerpiano a un tedesco che mi ha chiesto se avevo perdonato. Ho risposto: sì, ho perdonato. Lui è stato il primo a saperlo. Mi ha rifatto la domanda credendo che ci fosse stata una incomprensione. E’ rimasto molto colpito quando ho ripetuto la frase”. Scopo dell’incontro era comunque quello di soddisfare le domande degli alunni, dopo aver visto il film di Diritti, rivolte ai protagonisti delle vicende di monte Sole e agli artefici del film. Oltre a Pirini, erano presenti l’ex staffetta partigiana Franco Fontana, il cosceneggiatore Giovanni Galavotti, il produttore Simone Bachini e le giovanissime comparse Fabio Franchi di Marzabotto e Lorenzo Rubini di Sasso Marconi. Presente anche il sindaco di Marzabotto Romano Franchi. I ragazzi hanno chiesto tra l’altro: cosa vi ha spinto fare un film su Monte Sole? “L’episodio è molto importante non solo perché ricorda ciò che è successo, ma anche perché queste vicende succedono ancora”, ha risposto Galavotti. “La storia di Monte Sole ci ha subito colpito e abbiamo quindi voluto raccontarla anche perché non era mai stata protagonista di un film”. Alle comparse hanno chiesto se era stato bello girare il film: “E’ stata una esperienza magnifica” hanno precisato, “anche se molto pesante”. Poi gli studenti sono entrati nello specifico chiedendo come era stato possibile realizzare la pancia finta della mamma della protagonista ,“Con sostanze in lattice, utilizzando processi di particolare applicazione”. L’ex staffetta partigiana Fontana ha spiegato che il disimpegno partigiano a Monte Sole è stato dovuto all’impossibilità di intervenire per mancanza di armi: “Quella settimana avrebbero dovuto essere paracadutate armi su Monte Sole dagli Alleati. I lanci purtroppo non avvennero e i partigiani erano sostanzialmente disarmati”.

venerdì 5 marzo 2010

Montese: "Riaffiorano i resti di un tedesco ucciso"


Da Il Resto del Carlino - Modena del 4 marzo 2009
Riaffiorano i resti di un tedesco ucciso caduto nella battaglia del '45 con i brasiliani
di Walter Bellisi

- MONTESE -
DOPO 65 ANNI dalla morte, a Montese sono stati trovati i resti di un soldato tedesco ucciso durante la seconda guerra mondiale. Erano quasi sulla vetta del Montebuffone, coperti da poco più di un metro di terra.Quasi sicuramente fu colpito nella sua trincea dal fuoco dei soldati brasiliani durante gli ultimissimi giorni di guerra su questi monti, tra il 15 al 19 aprile '45. Oltre alle ossa, sono stati trovati una parte del piastrino di riconoscimento, l'armamento e gli oggetti personali. Sono stati Giovanni Sulla e Luigi Zanardi di Montese assieme a Riccardo Silvestri di Venezia, con i loro cercametalli, a ritrovare questi resti mortali
appartenuti a un uomo di statura alta e non giovanissimo. Hanno impiegato un paio di giorni, dopo il primo 'bip' che indicava la presenza di metallo, per portare a termine il recupero. «QUESTO SOLDATO - spiega Sulla - apparteneva di sicuro alla 114a Jäger Division, una divisione leggera tedesca che quassù impiegò i reggimenti e difendeva quest'altura a nord del paese di Montese». Montebuffone è stata una delle ultime difese tedesche della battaglia di Montese iniziata il 14 aprile e conclusasi il 19 con il ritiro delle truppe germaniche. «Questo soldato fu colpito nella sua buca - continua Sulla -. Vicino aveva il suo armamento: un Mauser K98. Purtroppo l'acidità del terreno non permette di leggere quello che resta del piastrino. Vicino alle ossa c'era tutto il corredo personale: l'elmetto integro, la borraccia, il gibernaggio, la penna stilografica di madrcperla che penso funzioni ancora. C'erano diverse schegge anche grosse: potrebbe essere stato colpito al volto da una di queste, perché non abbiamo rinvenuto la mandibola e il cranio è spezzato. Dalle dimensioni delle ossa si può ritenere si tratti di un uomo alto e attempato, aveva una protesi dentale. In questo luogo, a mezzo chilometro dal paese di Montese dovrebbero essere sepolti ancora una cinquantina di caduti tedeschi». I resti del soldato sono stati portati alla Medicina legale di Modena.

giovedì 4 marzo 2010

Davide Perlini: «Ho ritrovato mio padre e mia sorella dopo 65 anni»



Da Il Resto del Carlino del 30 gennaio 2010 riportiamo l'articolo di Gianni Leoni
«Ho ritrovato mio padre e mia sorella dopo 65 anni»
La lunga ricerca di un bolognese. Sua madre amò un soldato scozzese

di GIANNI LEONI —BOLOGNA—
«MIO PADRE David era un soldato britannico, ma io non l’ho mai conosciuto. Ha altri figli? E dov’è adesso? Una piccola serie di domande inutilmente rilanciate di porta in porta per cinque, lunghissimi anni da uno all’altro dei paesi dell’Appennino toscoemiliano, agli gli amici e ai parenti, agli sconosciuti, ai quotidiani e ai periodici, alle associazioni, alle radio e alle tv, durante dibattiti e ricorrenze, lungo strade, campi, municipi, parrocchie, boschi e sentieri. Poi, l’altro giorno, una flebile luce ha rischiarato il buio: forse..., e su quello spiraglio la straordinaria ricerca di Davide Perlini, 65 anni, portalettere in pensione, ha preso vigore. E infatti, una generosa catena di solidarietà avviata dalla trasmissione ‘Chi l’ha visto?’, proseguita dalla molisana Raffaella Matera, appassionata di genealogia e dal giornalista Filippo Baglini, che risiede in Inghilterra, ha superato il mare, è approdata in una casa lontana ed ha finalmente ricomposto il grande puzzle di una storia in sospeso. «Per tanti anni sono stato un padre senza padre. Adesso ho cancellato l’angoscia dal mio cuore. Mio padre, quinto di otto fratelli, era venuto al mondo [...] [in una cittadina del] Lanarkshire, Scozia, ed è scomparso nel ’94. C’è invece una sua figlia, mia sorellastra, con la quale sono già in contatto. Sapere l’uno dell’altro, scriverci, scambiarci i ricordi e le immagini, sognare l’abbraccio del primo incontro ha procurato a entrambi un’emozione fortissima e una gioia senza limiti», racconta. Alla mancanza di quell’uomo senza voce, Davide Perlini, figlio di Fernanda Perlini e di un portaordini inglese svanito tra i monti di Castiglion dei Pepoli sull’eco dell’ultima bomba di guerra, non si era mai rassegnato. «Dov’è papà?», quasi supplicava un giorno dopo l’altro. La madre, però, dopo una timida, iniziale ricerca affidata a una lettera senza risposta si chiuse nel silenzio e vincolò il figlio a una sofferta promessa: «Finché sono in vita non cercarlo». E DAVIDE a quel patto si attenne. Ma nel 2005, rimasto orfano, decise di ricostruire la storia della sua nascita e quindi di cercare chi lo aveva messo al mondo. Un tetro ventaccio di bombe e di paura correva tra i boschi e risaliva i monti quando il soldato David Jackson, nel 1944, incontrò Fernanda, a Lagaro di Castiglion dei Pepoli. Un clima senza domani nel quale riuscì a farsi strada una parentesi d’amore. «Tornerai?», chiese la giovane. «Tornerò» promise il portaordini in partenza. Lei rimase incinta, ma lui era già lontano. E quando il tuono delle bombe lasciò il posto alla speranza, la nascita del ‘bastardino’ concentrò gli indici accusatori contro la ‘svergognata’. «La mamma mi affidò a un orfanotrofio e si trasferì a Milano a fare la serva», dice Davide. Poi, il ritorno a Bologna, il ricongiungimento con il figlioletto e quella promessa, quasi un ordine: «Tuo padre? Non cercarlo». Poi, cinque anni fa, l’avvio delle ricerche, ma la strada per risalire all’ex soldato si è fatta subito tortuosa perché i quesiti, le suppliche, gli appelli e i controllo ribaditi in un tam tam sorretto da un nome David Jackson, da un indirizzo senza conferma, New Place trenton RD Bermondsey, London e da una speranza puntualmente rinviata al giorno dopo si perdevano ogni volta nel nulla. C’è voluta la trasmissione ‘Chi l’ha visto?’, per imboccare il sentiero giusto. Raffaella Matera ha raccolto l’appello ed ha sfruttato l’unico indizio fornito daDavide: un pezzo di giornale dei tempi di guerra con la foto di tre fratelli Jackson militari in zone diverse dell’Italia, ma per una volta insieme. L’aveva pubblicata la ‘Gazette’ di Carluke, in Scozia, il 19 maggio 1944. E proprio in quella zona risiedeva la famiglia Jackson. IL GIORNALISTA italiano Filippo Baglini, che lavora in un giornale on line per gli italiani in Inghilterra, ha svolto con successo l’ultima, delicatissima fase: quella di informare la figlia del soldato David Jackson sull’esistenza di un fratello in Italia. «Finalmente il mio sogno è diventato realtà. Abbraccerò mia sorella e sarà un po’ come abbracciare mio padre», dice, commosso, Davide Perlini.