mercoledì 29 luglio 2009

9 agosto 2009 "Alle spalle della Linea Gotica"


3° Rassegna di Editoria modenese
Mostra mercato del libro a Pavullo nel Frignano
Domenica 9 agosto ore 19,10
Alle spalle della Linea Gotica
Claudio Silingardi

presenta questa guida elegante e di pregio, utile per attraversare e rileggere una regione che trova nella Resistenza uno dei suoi tratti identitari. Nelle città, nelle campagne, nelle valli e sui monti la storia lascia i suoi solchi profondi. La linea Gotica è uno di quei segni. Nel presentare il sistema regionale di musei e luoghi di memoria della Resistenza e della seconda guerra mondiale, il volume parte dalla storia per ricostruire la geografia dei siti e la loro evoluzione nel tempo dal dopoguerra a oggi di tutta l’Emilia Romagna. • Edizioni ARTESTAMPA

lunedì 27 luglio 2009

8 agosto 2009 "La Linea Gotica dei Monti della Riva"


::: Sabato 8 agosto :::
“LA LINEA GOTICA DEI MONTI DELLA RIVA”

La storia e le storie di uno dei punti cardine del sistema difensivo tedesco che gli alleati riuscirono a conquistare nel febbraio del 1945, dando avvio alla liberazione dell’Italia.
Pranzo al sacco (spuntino) a carico dei partecipanti, al rientro possibilità di usufruire dello stand gastronomico in occasione della tradizionale “Festa di San Giusto”. Il ricavato dell’escursione andrà a sostenere il progetto di rilancio della frazione: la realizzazione di un museo nei locali delle ex-scuole della frazione.
Ritrovo: ore 9,00 in piazza Fairbanks a Trignano di Fanano

Note: Pranzo al sacco (spuntino) a cura dei partecipanti.
Collaborazione Comitato Terra di Trignano
Massimo Turchi
335.7209899 (per informazioni e prenotazioni)
www.progettolineagotica.eu

venerdì 24 luglio 2009

17 agosto 2009 "L'alimentazione in tempo di guerra"


L'ALIMENTAZIONE IN TEMPO DI GUERRA
Canevare di Fanano - Lunedì 17 Agosto

ne parliamo a tavola, con Enrico Belgrado, esperto di storia e alimentazione, degustando un menu a tema, ...perché mangiando ricordiamo meglio!
Le tessere annonarie, i buoni di prelevamento, la borsa nera e le “strategie di sopravvivenza”: come la necessità diventa volano di ingegnosità. La campagna produce, la città consuma. Un quintale di grano in cambio di una pentola di zinco. Strumenti e tattiche di sopravvivenza in cucina (surrogati, alimurgia e … "prodotti tipici”). Come e perché prodotti nati come prodotti di sopravvivenza ora si trovano solo nei ristoranti più rinomati. I concetti di scarsità, abbondanza, spreco.
Nel pomeriggio si prosegue con la presentazione del libro "La linea gotica e le stragi" e l’aperitivo con l’autore Massimo Turchi.

Info e prenotazioni:
Agriturismo del Cimone La Palazza
Via Calvanella 710 - Canevare di Fanano
tel. 0536.69311 - 335.6266972
www.agriturismodelcimone.it

www.progettolineagotica.eu

giovedì 23 luglio 2009

14 agosto 2009 "Linea Gotica: i luoghi e le battaglie"

Circolo Culturale Castel d’Aiano
LINEA GOTICA: I LUOGHI E LE BATTAGLIE

Venerdì 14 Agosto 2009
Castel d’Aiano

Sala Civica

Ore 20,30
Proiezione al Plastico multimediale della Linea Gotica

Ore 21,15
Presentazione del libro
"La Linea Gotica, i luoghi dell'ultimo fronte di guerra in Italia"
di Gabriele Ronchetti

Proiezione di diapositive dedicate ai luoghi e alle battaglie sulla Linea Gotica dall’Adriatico al Tirreno Interverranno, insieme all’autore, Daniele Amicarella e Massimo Turchi, ricercatori storici e saggisti della Linea Gotica, per commentare il libro, raccontare le diapositive e rispondere alle domande del pubblico.
Ingresso Libero

La guerra dei Piffer per liberare l'Italia


Da La Stampa del 22 luglio 2009 riprendiamo questo interessante articolo di Richard Newbury
La guerra dei Piffer per liberare l'Italia
L’epopea del battaglione pakistano inquadrato nelle truppe alleate
Tra le sue imprese la cacciata dei tedeschi da Assisi nel 1944

Quando Giancarlo Aragona, ambasciatore italiano a Londra, mi invitò a presentare il libro del suo ex collega Alessandro Cortese de Bosis sulla sua esperienza di giovanissimo ufficiale di collegamento con un reggimento indiano in Italia durante la Seconda Guerra mondiale, avevo solo qualche nozione teorica dei sedici Paesi che avevano combattuto sotto il nome di Nazioni Unite, come gli Alleati erano indicati ufficialmente. Ma dopo la presentazione di In terra di nessuno. Gli Ufficiali Italiani con i Reparti Alleati: 1943-1945 (ed. Gabrieli 1994) alla Torre di Londra, davanti a generali pakistani e indiani, e ovviamente ai figli e alle figlie inglesi e pakistani dei soldati del 6° Battaglione Reale e del 13° fucilieri. Il mio interesse è diventato personale. Tanto più che ero appena stato al quartier generale della Marina britannica a Portsmouth, ospite del raduno del reggimento dei «Piffer», i fanti di frontiera dell’esercito pakistano. Lì, seduto sotto i ritratti dei grandi ammiragli e con una portaerei - oltre alla Victory di Nelson - ormeggiata dietro al campo da polo, abbiamo fatto un brindisi alla Regina con il vino e uno al presidente pakistano con l’acqua.
Questo battaglione di cinquecento uomini rappresentava appena l’uno per cento dei 50 mila volontari indiani tra i 16 e i 22 anni che combatterono in Italia come terzo contingente per numero di uomini dopo i britannici e gli americani e lasciarono 5.782 compagni d’arme nei cimiteri di guerra di Arezzo, Sangro, Cassino e Forlì e in quello dei Fucilieri Reali Gurkha a Rimini. Lucca, Firenze, San Marino, Cesena, Forlì, Ferrara e Bologna devono la loro liberazione a quel sacrificio. La 4ª, 8ª e 10ª divisione indiana erano in Italia in una situazione pirandelliana, quasi Due eserciti in cerca di un campo di battaglia.
Era tutt’altro che inevitabile che gli alleati invadessero l’Europa passando per l’Italia: quello era il piano C. Churchill preferiva i Balcani, per incontrare «amichevolmente» Stalin il più a Est possibile. Gli americani cercavano ostinatamente uno scontro sanguinoso invadendo subito il Sud della Francia. Era il capo di stato maggiore britannico, il feldmaresciallo Alan Brooke, a volere la Sicilia: come addestramento al D-Day in Normandia, giacché riteneva che le truppe Usa avessero bisogno di molta più esperienza di battaglie prima di fronteggiare la Wehrmacht, che li aveva già strapazzati in Tunisia.
Nella «macelleria italiana» morirono 350 mila alleati e 370 mila tedeschi, ma le Nazioni Unite sconfissero il formidabile esercito tedesco e gli ostacoli naturali dell’accidentato territorio italiano. Comandante di queste Nazioni Unite era il generale inglese Sir Harold Alexander. Le truppe americane inizialmente rappresentavano il 25 per cento, ma presto scesero al 10 per cento, compresa la 92ª Divisione «Negro», che dovette essere sciolta per scarsa moralità, e i battaglioni Nisei degli hawaiani di origine giapponese, i più decorati di tutta la guerra. Nell’agosto 1944 arrivarono poi 25 mila uomini della Divisione Brasiliana e il Gruppo Combattenti Legnano. Quattro divisioni coloniali francesi raggiunsero la 5ª Armata, 45 mila polacchi l’8ª, insieme alle brigate ebraica, palestinese e greca, ai gruppi Friuli e Cremona, ai reparti della Folgore, della Nemmo e al Reggimento San Marco.
«Britannico» era un termine generico per le divisioni che arrivavano non solo dalle isole britanniche ma anche da Nuova Zelanda, Sud Africa, Canada, e per le unità da Rhodesia, Australia, Nigeria, Ke-nya, Lesotho e ovviamente India. Quando Roosevelt chiese a Churchill perché nel 1942 non avesse concesso l’indipendenza all’India, il premier inglese gli rispose che con due milioni e mezzo di volontari l’India aveva più soldati del presidente degli Stati Uniti. Alle 50 mila truppe scelte delle divisioni indiane in Italia andarono 6 delle 20 «Victoria Cross», la più alta onorificenza militare britannica. Quando parliamo di scontro di civiltà dobbiamo ricordare che Assisi è stata liberata dalle truppe musulmane dei Piffer e i dipinti degli Uffizi sono stati salvati dalla fanteria leggera Mahratta.
Mentre i partigiani scendevano dalle Alpi o venivano incorporati negli eserciti alleati, le forze italiane risalivano verso Nord e la Cremona fu la prima unità delle Nazioni unite a oltrepassare il Po, ma la strada era stata sgombrata dai Piffer. Il diciottenne sottotenente Alessandro Cortese de Bosis era allora un volontario dell’esercito italiano, con la funzione di ufficiale di collegamento con il battaglione formato da musulmani, sikh e seguaci del giainismo. Il 9 aprile 1945 vide il diciottenne Sepoy Ali Haidar attraversare il Senio vicino a Fusignano e, sebbene gravemente ferito, abbattere due postazioni per mitragliatrice, meritandosi la «Victoria Cross» per aver salvato tante vite senza pensare alla propria. Questo battaglione di 500 uomini ne perse 1502 tra morti, dispersi e feriti e dovette essere ricostituito tre volte. L’ambasciatore Cortese de Bosis, che ha dedicato la vita all’aiuto e alla memoria del «suo» reggimento, ci ricorda nel libro In terra di nessuno che questi giovani sud-asiatici «combatterono nella guerra giusta, al posto giusto e vinsero quel conflitto sanguinoso. Non si meritano un monumento?».
I tedeschi gliene hanno già eretto uno, perché l’élite della Wehrmacht, gli 11 mila uomini della 1ª divisione paracadutisti nell’aprile 1945 pretesero di arrendersi solo ai loro avversari di Cassino e Livorno, per i quali avevano un’altissima considerazione: l’8ª divisione indiana.
Il futuro console generale a New York ricorda nel suo libro anche una discussione del tempo di guerra con un collega ufficiale, un professore di Oxford, sul feldmaresciallo Lord Alexander of Tunis, che aveva il comando alleato del Mediterraneo e dell’invasione dell’Italia, e Alessandro Magno: si chiedevano se avesse più nazionalità l’inglese nel suo 15° Gruppo di armate o il macedone nel suo esercito composito e se la marcia degli Alleati da Alessandria d’Egitto a Cesena fosse stata più lunga di quella del condottiero greco fino all’India.

Vesime riscopre l'aeroporto dei partigiani


Da La Repubbilca di Torino riprendiamo questo interessante articolo di Massimo Novelli del 20 luglio 2009
Vesime riscopre l'aeroporto dei partigiani
Sulla sponda destra del Bormida, il campo accolse diversi velivoli e una volta venne anche arato dai tedeschi
VESIME. Il nome in codice era Excelsior. E quassù nell´Alta Langa, «nell´arcangelico regno dei partigiani» come lo chiamava Beppe Fenoglio, fra l´ottobre e il novembre del 1944 gli uomini della seconda divisione autonoma Langhe, i fazzoletti azzurri badogliani al comando di Piero Balbo detto «Poli» e Neville Darewski, l´ufficiale britannico del SOE (Special Operation Executive) conosciuto come maggiore Temple, idearono e realizzarono il campo d´aviazione di Vesime. Lo fecero grazie all´aiuto dei contadini e degli abitanti della zona come il geometra Pasquale Balaclava, che concretizzò materialmente il progetto. Situato sulla sponda destra della Bormida di Millesimo, in prossimità del ponte di Perletto, sorse per favorire l´arrivo delle missioni alleate e il trasporto di feriti e di salme nell´Italia libera: una di queste fu quella del povero Temple, morto in un incidente assurdo (schiacciato contro un muro dalla fiancata di un camion) avvenuto a Marsaglia.
Sta di fatto che, insieme alle piste della Jugoslavia del maresciallo Tito, quella di Vesime fu una delle poche a essere realmente operativa nella Resistenza europea. Fu collaudata il 17 novembre con l´atterraggio dell´aereo inglese Lysander. Seguì, il 19 novembre, quello di un B-25 Mitchell. Successivamente messo fuori uso dai tedeschi, che lo fecero arare, riprese ancora a funzionare nel marzo-aprile del 1945. Altri velivoli vi giunsero e ripartirono: tre Lysander e un C-47 Dakota. Dopo la fine della guerra l´air-field, che era lungo circa 1100 metri e la cui esistenza venne documentata dalle macchine fotografiche di due sergenti inglesi (le immagini sono all´Imperial War Museum di Londra), ritornò a ospitare mais, granoturco, un pioppeto. Rimase vivo, tuttavia, nella memoria della gente. Non a caso la costruzione del campo sarebbe stato definito da Bill Pickering, coraggioso agente del Soe che agì nel´Astigiano, «uno dei più audaci progetti nella storia della seconda guerra mondiale».
La memoria non si è perduta nemmeno oggi. Sia pure con oltre sessant´anni di ritardo, il comune di Vesime ha deciso finalmente di acquisire una parte dei terreni che ospitarono la pista. Lo scopo è di ricordare il vecchio «aeroporto» della lotta di Liberazione con un monumento. Il merito va a un gruppo di persone che, in tutto questo tempo, non ha dimenticato quanto accadde in riva alla Bormida. È un elenco che comprende Angelo Marello, noto carrozziere torinese originario di Vesime, così come il sindaco Gianfranco Murialdi, il professor Riccardo Brondolo, la famiglia Balbo, alcuni ex partigiani e l´Anpi, don Angelo Siri, Gianluigi Usai, l´Istituto storico della Resistenza di Asti (da Lucio Tomalino a Mario Renosio).
Grazie al loro impegno si potrà renderà omaggio solenne ai valorosi che, nel cielo sulle colline, le «top hills» del Partigiano Johnny, andarono a osare dove osano le aquile. Tra di loro c´era il capitano McDonald, che atterrò a Vesime con i suoi paracadutisti del SAS (Special Air Service). La vedova di McDonald verrà a fine settembre in visita in questo angolo di Piemonte, Desidera vedere i luoghi nei quali suo marito combatté per la libertà, partecipando alla liberazione delle Langhe e di Alba.

martedì 21 luglio 2009

Marcia per la Pace da Sant'Anna di Stazzema a Marzabotto (12-16 agosto 2009)


Marcia per la Pace da Sant'Anna di Stazzema a Marzabotto (12-16 agosto 2009)
A 65 anni dalle stragi nazifasciste di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, nasce l’idea di percorrere la distanza che separa i due luoghi, non soltanto a scopo commemorativo, ma anche e soprattutto come messaggio di Pace e Solidarietà fra i popoli, in un’epoca in cui la guerra continua prepotentemente a devastare e a spargere morte e disperazione in tutto il mondo. Parlare di pace, oggi, però significa soprattutto guardare alla situazione del nostro Paese, l’Italia, e ad una società che sembra aver smarrito la strada per la pace; significa iniziare a costruire percorsi di pace a partire da noi e dal nostro essere italiani e cittadini del mondo. Un modo per rinnovare la memoria perché il passato non si ripeta. La Marcia, articolata in 5 giorni con partenza il 12 agosto, data dell’eccidio di Sant’Anna, è studiata in modo da conciliare tratti di cammino a piedi effettivi ad altri tramite mezzi di trasporto, in modo da consentire un’agevole partecipazione a tutti coloro che fossero interessati. E’ prevista inoltre la visita/laboratorio al Parco della Pace di Monte Sole.
Programma Marcia per la Pace - Opuscolo

mercoledì 15 luglio 2009

"The War" di Ken Burns


The War di Ken Burns

Coming to PBS beginning Sept. 23rd. THE WAR, a seven-part series directed and produced by Ken Burns and Lynn Novick, tells the story of the Second World War through the personal accounts of a handful of men and women from four quintessentially American towns.
The series explores the most intimate human dimensions of the greatest cataclysm in history - a worldwide catastrophe that touched the lives of every family on every street in every town in America - and demonstrates that in extraordinary times, there are no ordinary lives.
Throughout the series, the indelible experience of combat is brought vividly to life as veterans describe what it was like to fight and kill and see men die at places like Monte Cassino and Anzio and Omaha Beach; the Hürtgen Forest and the Vosges Mountains and the Ardennes; and on the other side of the world at Guadalcanal and Tarawa and Saipan; Peleliu and the Philippine Sea and Okinawa.
In all of the battle scenes, dramatic historical footage and photographs are combined with extraordinarily realistic sound effects to give the film a terrifying, visceral immediacy.

lunedì 13 luglio 2009


Dal "Secolo XIX" del 7 luglio 2009 riportiamo l'articolo "I Bambini in prima linea"
OGNI TANTO sembriamo stupircene o scandalizzarci come se si trattasse di un’anomalia, mentre sappiamo bene che è la regola: bambini e bambine, adolescenti maschi e femmine sono stati massicciamente coinvolti nelle peggiori tragedie del nostro tempo, guerre e guerre civili incluse, in qualità non solo di vittime ma anche di attori. Non per niente il più celebre diario intimo di adolescente di tutti i tempi, quello di Anna Frank, è il diario di una persecuzione nel contesto di una guerra di sterminio. E una delle immagine simbolo più scolpite nella memoria della seconda guerra mondiale è il bambino ebreo che alza le mani nel ghetto di Varsavia, così come la bambina nuda che fugge terrorizzata sotto la minaccia dei bombardieri americani lo è della guerra vietnamita.
Un altro evento del Novecento nel quale i minori furono particolarmente esposti, è la guerra civile spagnola. Secondo calcoli attendibili, tra il 1936 e il 1939 morirono in Spagna per fame, mancanza di assistenza, bombardamenti e altri eventi bellici oltre 414.000 minori, mentre i morti al fronte furono meno di 270.000. Per sfuggire a questo flagello, circa 30.000 bambini e bambine della Repubblica spagnola attaccata dalle truppe franchiste furono evacuati in paesi stranieri: 20.000 vennero ospitati in Francia, 5.000 in Belgio, 4.000 in Inghilterra, alcune centinaia in Messico, Svizzera e Danimarca. A questa gara di solidarietà non si sottrasse l’Unione Sovietica che, controbilanciando l’aiuto militare dato dall’Italia fascista e dalla Germania nazista agli insorti, offrì sostegno al legittimo governo spagnolo promuovendo le brigate internazionali. Il paese guida del comunismo ne accolse quasi 3000.
Alla sorte di questi bambini è dedicato il libro di una giovane storica spagnola, Veronica Sierra, “Palabras huérfanas”. Los niños y la Guerra civil” (Editorial Taurus, 440 pagine, 20 euro), che si avvale di una straordinaria documentazione di prima mano: le scritture (soprattutto epistolari) e i disegni dei piccoli protagonisti. Dalle località dell’Urss dove erano accolti, i bambini scrivevano ai genitori per rassicurarli sulla propria salute, chiedere notizie e raccontare le proprie esperienze.
Una parte di queste lettere non poterono arrivare ai destinatari in seguito ai continui spostamenti e al disordine amministrativo dovuto alla guerra, finirono in un deposito governativo a Barcellona e poi, dopo la vittoria franchista, furono utilizzati dal governo per rappresaglie e persecuzioni contro gli oppositori. Dopo il ritorno alla democrazia furono infine concentrati nell’archivio generale della guerra civile di Salamanca dove sono oggi consultabili.
Le scritture dei bambini spagnoli confermano i caratteri tipici delle scritture infantili. Sono testi che rispondono a un bisogno intimo, quello di comunicare coi parenti lontani, ma sono anche sollecitati dagli adulti (maestri che accompagnarono l’esodo su incarico del governo repubblicano, autorità sovietiche, ispettori), sorvegliati, esposti alle loro influenze. Rivelano così un misto curioso e talora commovente di spontaneità e acquiescenza alle aspettative dei grandi, di ingenuità e di rispetto delle ragioni della propaganda: quella del governo repubblicano che li proteggeva dalle sofferenze e quello sovietico che li accoglieva offrendo loro una condizione per molti aspetti privilegiata con alloggio e vitto adeguati, istruzione in lingua spagnola e lezioni di lingua russa, intensa vita sociale in cui non mancavano le scoperte di un mondo totalmente nuovo e gli svaghi.
Arruolati come combattenti di una causa per la quale avevano visto soffrire madri e padri, nei loro testi talvolta sgrammaticati i piccoli scriventi ne adottano spesso il linguaggio militante, tessendo l’apologia del paese ospite e echeggiando l’utopia che esso incarna. “Caro padre – scrive uno da Odessa il 10 febbraio 1938 – ti scrivo queste poche parole per dirti che sto bene perché mi trovo in Russia e stiamo molto bene perché è un paese del proletariato e noi andiamo a teatro, al cinema, al circo, all’opera che è la seconda in Europa e la terza nel mondo ed è molto bella e ha dei pezzi d’oro”. Un altro dichiara: “qui impariamo a diventare uomini e ci prepariamo per difendere la nostra Spagna rossa e per fare una Spagna nuova come la Russia. Chi lavora mangerà” (“el che trabaje comerà” è la formula, in voga nel movimento comunista internazionale, che parecchi bambini ripetono). Molti sostengono di voler diventare grandi per combattere “la canallas fascistas” e in particolare “la criminal aviación alemana e italiana”. È il compagno Stalin in persona – dicono - a esortarli. Al “camerata Estalin”, padre protettivo e rassicurante di cui spesso sentono parlare anche dai loro coetanei Pionieri, sono riservate molto attenzioni. “No pasaran – annota con grafia incerta una bambina in un biglietto indirizzato al fratello – Viva lespana Roja y el gran camarada Estalin e toda la union sobietica”. Ma c’è anche chi lascia trasparire le proprie preferenze, a dispetto delle gerarchie simboliche acquisite dai cerimoniali. Come una bambina che non fa mistero di aver senza dubbio apprezzato le parate del 7 novembre anniversario della gloriosa rivoluzione e lo spettacolo del mausoleo di Lenin con Lenin in persona imbalsamato, ma di essersi soprattutto entusiasmata per la grandiosità del metrò, autentica meraviglia della modernità.
Piccoli attori di un’immensa catastrofe, questi bambini raccontano a modo loro, a dire il vero con straordinaria efficacia, sul filo di un discorso tessuto dai grandi ma con imprevedibili tocchi personali, un’epoca di ferro e di fuoco nella quale parve che l’affermazione di grandi ideali di libertà, democrazia e giustizia sociale fosse indissolubilmente legata all’uso della forza militare, e in cui l’antinomia amico-nemico ebbe un peso enorme nelle mentalità collettive e nel linguaggio politico. Erano in prima linea e sono stati buoni testimoni del loro tempo.

Balvano 1944, I binari dimenticati


Dal Riformista del 6 luglio 2008 rioprtiamo l'articolo di Alberto Alfredo Tristano
"Balvano 1944, I binari dimenticati"
TITANIC FERROVIARIO. Il dramma di Viareggio riporta alla memoria la più grande sciagura di sempre sui binari. Siamo in piena Seconda guerra mondiale. Il treno merci 8017 Napoli-Bari si blocca nella potentina Galleria delle Armi. Il monossido di carbonio miete 626 vittime. Una strage cancellata dagli archivi italiani. Ma ricordata da un libro di Gianluca Barneschi. E da una cappelletta
In questi giorni di dolore nazionale per la tragedia ferroviaria di Viareggio, è ritornato di sfuggita il ricordo di un dramma lontano, su cui per anni si è esercitata una sbalorditiva rimozione e che non è mai entrato davvero nella memoria collettiva per la sua infinita gravità. È il disastro di Balvano. Un autentico Titanic ferroviario: 626 persone morte in una lunga galleria, la Galleria delle Armi, dove un treno, l’8017, carico e lungo (quasi 500 metri) e appesantito di vagoni ben oltre il consentito, di colpo si bloccò. I passeggeri, imprigionati nel tunnel, furono avvelenati dal monossido di carbonio prodotto dal pessimo carbone pieno di zolfo, usato per alimentare il convoglio. Fu la più grande sciagura mai avvenuta sulle strade ferrate del mondo. Un fatto grave, inserito però (ed ecco forse il motivo primario del silenzio) nel più grave dei fatti: la guerra. La seconda guerra mondiale. Eravamo nel Mezzogiorno sbandato dei mesi del post-armistizio, con il Governo Badoglio installato a Salerno e i sovrani a Ravello, sotto la tutela degli Alleati (che gestivano in toto il servizio ferroviario nel Meridione). Eravamo nel marzo del 1944. A Balvano. Provincia di Potenza. Italia.
Su quel che successe non sono state spese molte parole, anche per la difficoltà di reperire materiale documentario utile alla ricostruzione dei fatti. Un sasso nello stagno della censura, di origine sostanzialmente militare prima che politica, è stato gettato qualche anno fa dal libro Balvano 1944 (editore Mursia) scritto da Gianluca Barneschi, avvocato nel campo delle radiodiffusioni e telecomunicazioni, esperto di storia dei trasporti. Il libro è frutto di un decennio di ricerche svolte tra archivi italiani ma soprattutto esteri, in particolare inglesi. Racconta al Riformista l’avvocato Barneschi: «L’unico atto ufficiale di fonte italiana che si occupa della tragedia è quello di un Consiglio dei ministri del Governo Badoglio, prodotto pochi giorni dopo il disastro, che si regge su due grosse inesattezze dai contenuti infamanti e profondamente offensivi verso le vittime. Perché si parla di loro come di “contrabbandieri” e “viaggiatori di frodo”. Naturalmente non va escluso che a bordo ci fossero anche contrabbandieri: molti di questi viaggiatori lasciavano Napoli, Salerno e i comuni delle loro cinte urbane per raggiungere la Basilicata e la Puglia alla ricerca di cibo, che veniva scambiato con capi d’abbigliamento, lenzuola, coperte, posate. Probabile che una parte di queste merci provenissero dal mercato nero. E tuttavia a bordo c’erano bambini, donne incinte, militari, perfino un professore universitario. Non è proprio l’immagine di chi vive di contrabbando. Quanto poi all’altra inesattezza, quella del frodo, il Governo semplicemente disse il falso: molti dei viaggiatori furono trovati in possesso di titoli di viaggio, che venivano emessi pur trattandosi di un treno merci».
Proprio la presenza di questi biglietti fu decisiva per ottenere almeno l’indennizzo per i familiari delle vittime: «Il disastro di Balvano venne compreso tra quelli indennizzabili dalle legge 10 del 1951, “per danni immediati e diretti causati da atti non di combattimento, dolosi o colposi delle Forze armate alleate”: per capirci, la legge che risarciva le donne vittime di stupri da parte dei soldati marocchini». Fu l’unica nota positiva della vicenda. Per il resto, sofferenza, perdita. E oblio. Che sin da subito cadde (e fu fatto cadere) intorno alla storia (nel frattempo ogni responsabilità, anche di tipo penale, è prescritta), e di cui Barneschi ha avuto cognizione appena ha cominciato le sue ricerche. «La documentazione italiana è stata distrutta o sottratta con accurata precisione. In Italia qualunque fonte d’archivio consultabile presenta vuoti là dove sarebbe stato inevitabile trovare documentazione. Ne ho avuto conferma quando ho consultato l’archivio ufficiale di sinistri ferroviari: la rubrica dei fascicoli confermava la presenza della pratica, ma il faldone non c’era più. C’era il precedente, c’era il successivo, ma proprio quello no». E così il viaggio a Londra, presso il Public Record Office, l’archivio di Stato inglese: «Prima trovai la segretissima relazione ufficiale della commissione d’inchiesta nominata dai vertici alleati. E poi, soprattutto, la documentazione microfilmata e finalmente desecretata che chiarisce quanto accadde nella galleria».
Il treno 8017 partì da Napoli nel pomeriggio del 2 marzo. Era diretto a Bari. Anche quel giorno, come accadeva da mesi, quel treno, adibito al trasporto delle merci, divenne il mezzo su cui montavano diverse centinaia di persone che dalle zone urbane intendevano raggiungere l’entroterra per rifornirsi di provviste. Il servizio viaggiatori era residuale perché le linee, che erano sotto il controllo degli Alleati, venivano utilizzate soprattutto per esigenze belliche. L’unica maniera per viaggiare era ricorrere ai vagoni merci. I convogli perciò si muovevano ricolmi, oltre che di cose, anche di persone. E ogni superficie era utile per stare su quei treni: le locomotive, i carri, i tender, i predellini, l’imperiale delle carrozze, perfino i respingimenti. Postazioni quasi sempre scomode, spesso pericolose, talvolta letali.
L’8017 nella tarda serata del 2 marzo attraversava la linea Battipaglia-Potenza con un grosso carico di donne e di uomini. Alle 0.50 di venerdì 3 marzo lasciava la stazione di Balvano, sul confine tra la Campania e la Lucania. Avrebbe dovuto raggiungere la stazione di Bella-Muro in 20 minuti. Non ci arrivò mai.
Nella Galleria delle Armi, la più lunga della Battipaglia-Potenza con i suoi quasi 2 chilometri, dovette affrontare una pendenza mai incontrata prima: 14 per 1000. Poco dopo essere entrato nel tunnel, rallentò progressivamente. La potenza di trazione non era sufficiente. Per via della forte umidità, il treno cominciò a scivolare all’indietro. Furono azionati i freni. L’arresto fu definitivo. L’8017 era bloccato nella galleria. Solo i due carri finali ne rimanevano fuori: e questo significò la salvezza per chi si trovava in quelle vetture. Perché intanto nella galleria le persone già cominciavano a morire. A segnarne la sorte fu l’aria avvelenata dal monossido di carbonio che in breve occupò lo spazio lungo e non ventilato del tunnel. Lentamente, in silenziosa agonia, furono come ingessate dalla morte in gesti e pose del tutto naturali: chi con la sigaretta tra le dita, chi succhiando un uovo. Qualcuno si salvò dai vapori tossici grazie a una sciarpa o una mantellina. I superstiti furono meno di 100 su più di 700 passeggeri. Per gli altri, molti dei quali mai identificati, la vita finì in quella notte lucana.
Fu così per Francesco Arte, salito a Napoli: a Picerno la moglie attendeva lui e la nascita dell’ultima figlia. Fu così per i coniugi Natale Monti e Raffaella Barone, diretti alla caserma di Taranto perché non avevano avuto più notizie del figlio militare. Fu così per Rosario Amato, arruolato in marina, che da Torre del Greco tornava alla base tarantina. Fu così per Giuseppe e Antonietta Uccheddu, fratelli: la madre li attendeva a Muro Lucano. Fu così per il professor Vincenzo Jura, medico, docente universitario a Bari, dove si stava recando per una sessione di esami. Fu così per più di 600 persone.
Ma in questa Spoon River meridionale non giocò soltanto il gas velenoso. Anche l’imperizia dei soccorsi. Che arrivarono tardissimo, praticamente a mattina già fatta. E a tragedia si sommò tragedia, perché nel portare fuori il treno dalla galleria non si fece attenzione ai corpi ammassati intorno e chi non morì di gas morì, per quanto debilitato, sotto le rotaie. Il disastro non voleva smettere. Quella massa enorme di cadaveri e di corpi fu ammassata sul marciapiede della stazione di Balvano e sui pianali dei camion. Drammatica fu la testimonianza di Oreste Pacella, medico condotto di Balvano, resa a Famiglia Cristiana nel 1979: «Avevo cento fiale di adrenalina. Saltavo da una vettura all’altra, cercavo un cenno di vita nei riflessi oculari, poi facevo l’iniezione al cuore. Poi arrivarono le autorità da Potenza con una dottoressa americana. Allontanarono tutti, anche me. Ne avevo salvati 51, mi restavano 49 fiale, avrei potuto salvarne altri. Protestai. Mi cacciarono. E questo è il tormento che mi accompagna da quel giorno».
I militi inglesi avrebbero voluto bruciarli, quei cadaveri. Per fortuna non ebbe luogo lo scempio. Ma quelli erano i morti della miseria, da far sparire, da dimenticare in fretta. Morti scomodi: il Governo Badoglio non manifestò neppure il cordoglio per le vittime del disastro. Si procedette alla loro sepoltura in quattro fosse comuni, ricavate in un terreno accanto al cimitero di Balvano donato quel giorno stesso dal signor Francesco Di Carlo. E a un altro galantuomo, Salvatore Avventurato, si deve una cappella, unico segno che commemori tutte quelle morti. Perché non esistono targhe o monumenti per quella strage. Vale la pena ricordarli, soprattutto oggi, che si piange a Viareggio.

Radio24: Giovani nel '900 - La linea gotica


Dalla trasmissione di Radio24 "Giovani nel '900" consigliamo di ascoltare la puntata del 22 novembre 2008 dedicata alla Linea Gotica
In questa puntata Dino Pesole si chiede quale sia stato il contributo dei giovani nella storia del novencento. L'interrogativo ha costituito anche il tema di fondo dell'appuntamento annuale: "Settimana della Storia", svoltasi a Roma dal 18 al 22 Novembre.
Ospite ai nostri microfoni Emilio Gentile, docente di storia contemporanea presso l'Università "La Sapienza" di Roma.
Nella seconda parte vi proponiamo, in collaborazione con History Channel, un radiodocumentario sul conflitto che, durante la seconda guerra mondiale, è scoppiato lungo la Linea Gotica.
Per gli alleati la posta in palio non è solo la liberazione definitiva del territorio italiano dall'occupazione nazista. Sulla linea gotica infatti si gioca una partita molto più complessa: uno scontro che avrà per obiettivo il futuro dell'Europa e del mondo intero.
L'appuntamento settimanale di Radio 24 dedicato ai grandi temi della storia, in particolare quelli del '900. Ogni settimana uno spazio dedicato all'approfondimento, un radiodocumentario in collaborazione con History Channel, le segnalazioni di libri, incontri, mostre e eventi; a La Storia e la memoria trovano spazio anche le riproposizione di dibattiti o incontri sui temi storici, e la rubrica Voci di storia che propone l'ascolto di documenti sonori originali della Discoteca di Stato, a cura di Piero Cavallari.

mercoledì 8 luglio 2009

La Merkel in visita ad Onna


Da "Il Tempo" dell'8 luglio 2008
La Merkel in visita ad Onna: "Aiuteremo a ricostruire"
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ad Onna, il paesino a pochi chilometri dall'Aquila maggiormente colpito dal terremoto, per una visita con il Cancelliere tedesco Angela Merkel.
Il premier Silvio Berlusconi e il cancelliere tedesco Angela Merkel stanno visitando il centro di Onna, il paese dell'aquilano più colpito dal terremoto del 6 aprile. Merkel è il primo leader internazionale a visitare le macerie di Onna: la Germania si è impegnata a ricostruire la chiesa del '400 al centro del Paese distrutto dal sisma.
La visita a Onna di Angela Merkel "vuole essere un piccolo segno a favore di un borgo, colpito una volta in passato dalla Germania". Così la cancelliera tedesca oggi ha indicato il senso della sua presenza oggi nel borgo abruzzese, distrutto dal terremoto del 6 aprile, dove avvenne durante la seconda guerra mondiale una strage nazista. Ricostruire Onna è molto importante per Berlino alla luce di quanto accadde l'11 giugno del 1944 il borgo fu teatro di una strage nazista. La Merkel ha ribadito l'impegno della Germania a contribuire alla ricostruzione. Una visita dunque e un impegno che vogliono essere "simbolo di una nuova Europa, l'Europa della pace e vuole testimoniare il desiderio della Germania di portare al borgo un contributo positivo".
Il capo del governo tedesco ha raggiunto il paesino poco prima delle 11; accolta dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi la Merkel ha quindi attraversato la parte centrale del borgo fino a raggiungere a piedi la chiesa di San Pietro e Paolo per la cui ricostruzione la Germania si è impegnata a versare un contributo. Al loro arrivo davanti alla chiesa la Merkel e Berlusconi hanno trovato ad attenderli un gruppo di alcune decine di persone, esponenti delle famiglie di Onna, oltre a una rappresentanza della Protezione civile italiana e tedesca.
Al suo arrivo Merkel ha salutato tutti i presenti fermandosi a parlare con alcuni abitanti del paesino che avevano preparato per lei un mazzo di margherite gialle. Il capo del governo tedesco si è trattenuto insieme al presidente del Consiglio più di dieci minuti all'esterno della chiesa prima di svolgere la breve visita all'interno. All'uscita la 'cancelliera', unica donna leader presente al vertice, ha salutato tutti i presenti che le hanno rivolto un applauso.


Da "Il Giornale" dell'8 luglio 2009
La Merkel visita Onna: riparo i torti del passato
Onna - Il sole batte forte sulle rovine di Onna. Tra le macerie l'urlo sordo degli abruzzesi che lì hanno perso la vita, ma anche la speranza di chi, invece, sta cercando di riportare in vita il paese. Qui, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, mostra al cancelliere tedesco Angela Merkel quello che è uno dei paesi più colpiti dal terremoto d’Abruzzo. Comincia così il prologo del G8, un summit che per volere dello stesso premier guarda al futuro.
Sotto i riflettori le rovine di Onna L’inizio ufficiale del summit naturalmente sarà quando il presidente del Consiglio accoglierà i Grandi per la colazione di lavoro, ma è anche sui luoghi colpiti dal sisma che si concentra l’attenzione del mondo. Il premier è sceso dall’elicottero della Protezione civile per accogliere il cancelliere tedesco e mostrarle quel che resta di un paese distrutto dalla furia sismica al fine di informarla sui progressi della ricostruzione. Da qui, poi, l'incontro con gli abitanti: per lei un mazzo di margherite gialle. Angela Merkel si è, poi, soffermata davanti alla Stele commemorativa della strage nazista del 1944.
L'impegno tedesco nella ricostruzione La Germania ha promosso aiuti per la ricostruzione della Chiesa del Quattrocento. "Un messaggio di fiducia per tutto il mondo", si attende il presidente del Consiglio che ha ribadito che le nuove case per i terremotati saranno pronte già entro settembre-ottobre e ha parlato a questo proposito di un "programma straordinario" fatto di più turni di lavoro compresi il sabato e la domenica. "Avete visto che il Paese è completamente distrutto", ha commentato il premier, dopo aver attraversato il centro del borgo nella visita con la Merkel. Berlusconi ha quindi espresso apprezzamento per gli aiuti promessi dalla Germania.
Riparare al passato La strage dell’11 giugno del 1944 non può essere archiviata facilmente, ma la visita di Angela Merkel a Onna "vuole essere un piccolo segno a favore di un borgo colpito una volta in passato dalla Germania", ha spiegato la stessa cancelliera. Nella visita al paese distrutto dal terremoto, la Merkel ha ribadito le promesse della Germania di aiuti alla ricostruzione. La visita, ha insistito, vuole essere "simbolo di una nuova Europa, l’Europa della pace e vuole testimoniare il desiderio della Germania di portare al borgo un contributo positivo". La Merkel ha attraversato il centro fino a raggiungere a piedi la chiesa di San Pietro e Paolo per la cui ricostruzione la Germania si è impegnata a versare un contributo. Al loro arrivo davanti alla chiesa la Merkel e Berlusconi hanno trovato ad attenderli alcune decine di rappresentanti delle famiglie di Onna e della Protezione civile italiana e tedesca. La Merkel ha salutato tutti i presenti e si è soffermata a scambiare qualche parola con alcune persone che le hanno donato un mazzo di fiori. I due leader si sono trattenuti più di dieci minuti fuori dalla chiesa prima di entrare per una breve visita e all’uscita la Merkel è stata salutata con un applauso.

martedì 7 luglio 2009

Eccidio di Monchio: a processo i responsabili


Da Resistenza e Antifascismo di aprile 2009
riportiamo l'articolo di Rolando Balugani
Eccidio di Monchio: a processo i responsabili
Rinviati a giudizio i responsabili di uno dei più sanguinosi eccidi nazifascisti
Il Procuratore Militare, Marco De Paolis, che aveva già concluso diverse inchieste sulle stragi naziste, fra le quali quelle di Sant’Anna di Stazzema (Lucca) e Marzabotto (Bologna), ha concluso le indagini sugli eccidi di Monchio, Susano e Costrignano di Palagano e Civago e Cervarolo di Villa Minozzo (Reggio Emilia), che avvennero fra il 18 ed il 20 marzo 1944. De Paolis ha chiesto il rinvio a giudizio dei seguenti criminali: Gustav Brandt, Helmut Oderwald, Fritz Olberg, Ferdinand Ostether, Hans Georg Winkler, Gunther Heinroth, Wilhelm Stark, tutti ufficiali e sottufficiali alle dipendenze del famigerato capitano Kurt Cristian Von Loeben. L’intervento di Loeben fu insistentemente richiesto dai podestà dei vari comuni, “in soccorso ed in difesa dall’assalto dei ribelli”.
Tra il 13 ed il 18 aprile la Divisione Goering lasciò la linea della nostra regione e si addentrò nella provincia di Arezzo fino a Monte Ferona dove uccise oltre 200 persone tra gli abitanti di Vallucciole, Stia, Pratovecchio, Moscaio, Castagno D’Andrea, Badia a Prataglia, Capre Michelangelo, Santa Maria Serelli. Anche per quest’ultima strage De Paolis ha chiuso le indagini rinviando a giudizio gli stessi ex ufficiali della Goering. L’accusa per tutti è di “concorso in violenza con omicidio contro privati nemici pluriaggravata e continuata”. Nessuno di loro (il più anziano è del 1914 il più giovane del 1925) ha ammesso qualche responsabilità. Tutti hanno negato ogni partecipazione ai fatti contestati. La linea difensiva è sempre la stessa: “Eravamo in guerra ed eseguivamo gli ordini dei superiori”. Hanno eseguito ciecamente gli ordini di Von Leoben, morto in combattimento contro i russi, il 23 marzo 1945, a Bransdorf in Moravia. Dopo la sua morte gli verrà attribuita la promozione postuma a maggiore.
Non è dello stesso avviso il Procuratore De Paolis che parla di vere e proprie azioni punitive. Nell’avviso di conclusione delle indagini egli parla di “Azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso in parte in ossequio alle direttive del comando di appartenenza, ma anche di propria iniziativa sempre e comunque aderendo al programma criminale, assenza di necessità e senza giustificato motivo, per cause estranee alla guerra e anzi nell’ambito e con finalità di ampie operazioni punitive contro i partigiani e la popolazione civile che a quelli si dimostrava solidale”. Continua De Paolis: “Tutto questo cagionava la morte di numerosi privati cittadini che non prendevano parte alle operazioni militari, fra cui donne, anziani e bambini inermi, agendo con crudeltà e premeditazione”. Tali azioni per il Procuratore Militare sono aggravate sia per “il grado rivestito”, che per aver commesso i fatti “per motivi abietti, con sevizie e crudeltà verso le vittime e con premeditazione”.
In tale inchiesta ha avuto un ruolo molto importate anche l’avvocato Andrea Speranzoni del Foro di Bologna, che ha già seguito con successo le vittime delle stragi di Marzabotto e di Casalecchio di Reno. Tramite l’avvocato Speranzoni, relatore ufficiale del 65° anniversario dell’eccidio, anche i familiari delle vittime della strage di Monchio si costituiranno parte civile nel processo di Verona, che si terrà nelle prossime settimane. Si sono già costituiti anche la Regione Emilia Romagna, la Provincia di Modena ed il Comune di Palagano. Si costituirà anche l’ANPI provinciale di Modena. Da questo processo nessuno chiede vendetta, ma giustizia e verità storica.

domenica 5 luglio 2009

«Quel duello col mitra sui monti»


L'Informazione, 30 giugno 2009 (Cronaca di Modena)
«Quel duello col mitra sui monti»
«Ecco come morì 65 anni fa il comandante Lupo»

di Rolando Balugani

In questi giorni ricorre il sessantacinquesimo anniversario di un episodio importante e controverso della Resistenza in Appennino:la divisione della formazione partigiana «Stella Rossa», che avvenne il 28 giugno 1944 a casa Rubini (Zocca). Una parte dei combattenti andò con il vice comandante Melchiorre Sugano,che proseguì per Montefiorino, mentre la maggioranza si unì al comandante «Lupo» (Mario Musolesi), che fece ritorno a Monte Sole di Marzabotto. Il battaglione di Sugano combatté la storica battaglia di Montefiorino (31 luglio, 1, 2, 3 agosto 1944), lasciando diversi uomini sul terreno (imboscata del Passo delle Forbici, 2 agosto). E la formazione del «Lupo» venne poi annientata il 29 settembre dalle famigerate SS di Reder. Sulla morte del «Lupo» sono state fornite le versioni più fantasiose, tutte tese a screditarlo e a mettere in cattiva luce l’operato della «Stella Rossa». Si disse che fu ucciso dai suoi compagni perché non seguiva le direttive del Cummer e del Pci (uno dei sostenitori di questa tesi era don Dario Zannini, parroco di Sasso Marconi, autore del libro «Marzabotto e Dintorni»). Altri sostennero che era stato ucciso dai suoi per impossessarsi della cassa; e infine si disse che era stato sorpreso a letto con la fidanzata e ucciso senza il tempo di reagire. Dal processo al Tribunale militare di La Spezia, concluso nel novembre 2007 con la condanna all’ergastolo di nove componenti del battaglione Reder (tutti ufficiali e sottufficiali) è stata fatta finalmente piena luce sulla morte del «Lupo». E dalla documentazione acquisita dagli archivi tedeschi si rileva che «Lupo» fu ucciso, il 29 settembre 1944 (primo giorno della strage) in uno scontro con il portaordini della prima compagnia, Kurt Wolfle. L’incontro fu occasionale:i due combattenti, vedendosi, ingaggiarono uno scontro a fuoco a viso aperto, sparando raffiche di mitra l’uno contro l’altro. A un certo punto «Lupo», o per aver finito le munizioni o perché gli si era inceppata l’arma, non fu più in grado di rispondere al fuoco. Wolfle gli si avvicinò e lo freddò a bruciapelo, strappandogli i distintivi da comandante della «Stella Rossa». Il soldato tedesco venne insignito della massima decorazione al valor militare per aver ucciso un famoso capo partigiano in un epico duello individuale. La circostanza fu ricostruita dalla testimonianza dall’ex capitano SS Josef Baumann, comandante della prima compagnia di cui faceva parte Wolfle, che la riferì nel processo contro Reder a Bologna (1951). A questo punto si può ben dire che la medaglia d’oro al valor militare a Mario Musolesi «Lupo» è più che meritata.

Le cartoline del soldato Smith


Da Il Resto del Carlino - Bologna - Monzuno, 5 luglio 2009
di GIANNI LEONI
Le cartoline del soldato Smith
Da Bristol a Vado, dopo 64 anni restituisce souvenir di guerra


DUE VECCHIE cartoline in bianco e nero con una panoramica sui tetti e sui campanili di Firenze. Più di sessant’anni fa avevano lasciato l’Italia per l’Inghilterra, ma in questi giorni, ‘imbucate’ dai ricordi, hanno percorso il tragitto inverso e da Bristol sono tornate a Vado e a Monzuno. Il mittente, Reginald Smith, ex militare della Coldstream Guards aggregata alla Sesta Armata Sudafricana, le aveva raccolte tra le macerie di una casa bombardata e adesso le ha rispedite a chi, in quella casa, aveva abitato. Proprio una bella storia, incorniciata da un fiabesco paesaggio di neve, di vento gelido e da una lunga scia di ricordi. Un inverno pesante, quello del 2008, adatto alla malincinia e alle riflessioni. E così, l’ex militare Reginald Smith in un giorno come un altro ha guardato dalla finestra della sua casa di Bristol le strade e i giardini animati quasi soltanto dalle raffiche che scuotevano gli alberi. Ma d’improvviso, davanti a quello scenario, la mente gli è corsa indietro, in un balzo di oltre sessant’anni, verso la giovinezza e un’altra dura stagione: quella degli ultimi giorni di guerra sull’Appennino toscoemiliano, tra rumori di passi, rombi di motori, echi di bombe in dissolvenza e sogni di un domani finalmente diverso. Quanta neve anche allora! E che vento, e che freddo! E soprattutto, quanti ricordi! Per rimetterli in ordine Reginald Smith ha frugato in soffitta tra bauli e scatoloni. E lì, raccolta in un angolo c’era la sintesi di anni lontani: immagini di commilitoni sbiadite dal tempo, alcuni documenti, qualche lettera, eppoi quelle due vecchie cartoline di Firenze raccolte a Vado di Monzuno, nell’aprile del ’45, tra i resti di un’abitazione bombardata. Reginald le aveva ripulite dalla polvere e inviate a casa, in Inghilterra, insieme con una lettera in cui raccontava ai parenti i particolari dei suoi giorni in Toscana, nell’ultima avanzata verso la Liberazione. E subito, sul sibilo di una nuova raffica di vento, quella curiosa idea: perché non restituire quei due souvenir all’intestataria? E così, anche soltanto per riallacciare un tenue filo di collegamento con un territorio che aveva accompagnato la sua giovinezza, l’ex soldato Reginald Smith ha scritto a Luca Morini, di Monzuno, instancabile e appassionatissimo ricercatore di eventi militari legati al passaggio del Fronte e da anni in contatto con ex soldati di vari Paesi.
«LE CARTOLINE raccolte nella casa distrutta — spiega Morini — erano indirizzate alla signora Agnese Benassi, scomparsa nel 2003. Una era stata spedita da Firenze a Vado nel 1941, l’altra nel ’43. La Benassi in quel periodo non aveva ancora vent’anni, più o meno come il mittente, un suo amico di Sasso Marconi». La scomparsa dell’intestataria ha soltanto causato un cambio di indirizzi, perché Luca Morini non ha interrotto le ricerche. «Ho restituito le cartoline ai due figli della donna. E infatti, una l’ho data a Giuseppe Battistini, titolare del Bar Posta nel centro di Monzuno e l’altra a sua sorella Silvia, titolare di un bar latteria a Vado. Cos’hanno detto? Per loro è stata una grande, piacevole sorpresa», racconta Morini, intermediario di una piccola storia, pulita e leggera come la neve di un inverno lontano e come quella di Bristol che l’ex soldato Reginald Smith guardava cadere dalla finestra sui prati e sugli alberi.

sabato 4 luglio 2009

11 Luglio 2009 Maresca (San Marcello P.se) IV Marcia della memoria


Comune di San Marcello Pistoiese
A.N.P.I. Montagna pistoiese
Associazione Vecchia Filanda
Comunità Montana Appennino Pistoiese
IV Marcia della memoria
Casetta dei Pulledrari - Passo della Maceglia
sabato 11 luglio 2009

Ore 10,00 Ritrovo presso il parcheggio della Casetta dei Pulledrari e partenza per la marcia (Per chi non può camminare al punto di ritrovo saranno disponibili delle navette
Nel corso della marcia ed all'arrivo alla Maceglia i partecipanti saranno coinvolti in una perfomance storica il "diorama vivente" e ... non potranno più dire: "io non c'ero!"
Ore 13 Rientro alla Casetta dei Pulledrari per il pranzo (Menù concordato a prezzo fisso € 12,00)
Per il pranzo è gradita la prenotazione al numero 347.8530412 Rinaldo
Leggi ili fumetto "14 luglio 1944. La battaglia della Maceglia" di Renzo Bastianelli