giovedì 25 giugno 2009

Stupro di guerra L'Onu scopre una nuova arma


Dal La Stampa del 21 giugno 2008 riportiamo l'articolo di Giovanni De Luna "Stupro di guerra L'Onu scopre una nuova arma"
All'unanimita' il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che classifica lo stupro come un'arma di guerra. Definendolo uno strumento utilizzato «per umiliare, dominare, instillare paura, cacciare e/o obbligare a cambiare casa i membri di una comunita' o di un gruppo etnico», l'Onu ha cosi' ufficialmente indicato nella violenza sessuale contro le donne (realizzata all'interno di un contesto bellico) non solo un reato contro la persona, ma anche una violazione delle norme internazionali, inserendola - di fatto - nell'elenco delle pratiche proibite accanto all'uso di armi vietate, terrorismo, torture sui prigionieri eccetera. In attesa che sia piu' chiaro il modo in cui questa indicazione diventera' operativa e' da accogliere con soddisfazione almeno la portata simbolica del provvedimento. Il diritto internazionale arranca, inseguendo guerre di «terza generazione», soldati che assomigliano a mercenari, conflitti asimmetrici, faticando a trovare regole che si adattino a queste nuove realta'. «Scoprire» oggi che lo stupro e' un'arma puo' sembrare quasi irridente se si pensa a quella che e' stata la storia. Tutta intera la modernita' delle guerre che hanno affollato la nostra epoca e' segnata infatti da questo tipo di violenza: ovunque nel mondo, per gli eserciti vittoriosi gli stupri sono stati l'occasione per l'esercizio di un potere assoluto, totale, in grado di espropriare gli sconfitti non solo della loro dimensione pubblica, privandoli del loro Stato, del loro territorio nazionale, ma anche di quella privata, penetrando nelle loro case, squarciandone l'intimita', distruggendo le famiglie. Gli stupri di massa, la brutalizzazione dei corpi femminili, persino dei corpi gravidi, la mutilazione dei genitali - punto focale simbolico della continuita' della vita - sono state le prove ultime e definitive dell'«inumanita' della guerra». Cosi', tra i tragici «eccessi» di violenza lasciati in eredita' dal Novecento, un posto centrale e' occupato dallo «stupro di Nanchino» (dicembre 1937) perpetrato dai giapponesi a danno dei civili cinesi. Quello che successe allora appare ancora oggi inimmaginabile. Il Tribunale militare internazionale, istituito dopo la seconda guerra mondiale per punire i colpevoli, calcolo' che le vittime, tra la fine del 1937 e gli inizi del 1938, furono piu' di 260 mila. Secondo altri calcoli i morti furono circa 350 mila e le donne violentate tra 20 mila e 80 mila. Stupri individuali e collettivi, quasi sempre conclusi con l'omicidio, furono una delle costanti di quel massacro, coinvolgendo donne anziane, bambine e donne gravide. Vi furono soldati giapponesi che fotografavano le stragi e gli stupri per averne un ricordo. Di queste schifezze spuntano ancora oggi le immagini piu' crudeli: gli aguzzini documentavano maniacalmente i ventri squarciati, le donne ferite a morte e costrette e mettersi in pose oscene prima di esalare l'ultimo respiro. Ma anche a noi niente fu risparmiato. Tra il 1943 e il 1945 sulle donne italiane si scatenarono violenze di tutti i tipi e su tutti i fronti: sulla «linea gotica», i tedeschi infierirono soprattutto nei dintorni di Marzabotto, quasi a voler reiterare la strage in altre forme; sull'Appennino ligure-piemontese, nel 1944, in sei mesi, si registrarono 262 casi di stupro a opera dei «mongoli» (i disertori dell'Asia sovietica arruolati nell'esercito tedesco). Su tutti troneggia sinistramente la tragedia che investi' le «marocchinate> >, le donne stuprate in Ciociaria e nel Lazio nella primavera del 1944. Dopo lo sfondamento della «linea Gustav», le truppe coloniali francesi si avventarono sul paesino di Esperia, che aveva come unica colpa quella di essere stato sede del quartier generale della 71° Divisione tedesca. Tra il 15 e il 17 maggio 1944, oltre 600 donne furono violentate; identica sorte subirono numerosi uomini e lo stesso parroco del paese. Nelle guerre post-novecentesche, lo stupro e' diventato una delle armi privilegiate della «pulizia etnica». Sempre, questi comportamenti sono stati considerati fuori del contesto della guerra, come forme di una «guerra ai civili» che sfuggivano alle norme che disciplinano la guerra simmetrica, quella combattuta tra Stati sovrani e tra eserciti regolari. Ora con la risoluzione dell'Onu si prende finalmente atto di una tragica realta'. C'e' da sperare che non si tratti soltanto dell'ennesima enunciazione di principio priva di conseguenze pratiche. La guerra ai civili e' di gran lunga quella piu' praticata e diffusa nel mondo. E lo stupro di massa ne e' l'aspetto piu' drammatico e crudele.

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