giovedì 25 giugno 2009

La memoria degli ultimi testimoni


Dal Giornal.it riportiamo l'articolo di Lg del 22 giugno 2009
Incontro con Gianna Menabreaz - La memoria degli ultimi testimoni

Spesso, quando si rievoca con la memoria il dramma della Seconda Guerra Mondiale, tornano alla mente le immagini, terribili e inumane, dei campi di battaglia e di prigionia, la festa per la Liberazione ed i cambiamenti istituzionali che vi sono inevitabilmente succeduti: la storia ha trovato a queste date una loro dimensione, mentre i libri ne riportano dettagli e motivazioni. Il XX secolo italiano però racconta vicende, che non sempre riescono ad emergere con forza e vigore, e così può capitare che se ne perda traccia, che la memoria pian piano le faccia scivolare indietro.
Dal 2005 a Canelli (in collaborazione con analoghe esperienze di Acqui Terme), è nata l’Associazione Memoria Viva, che si è posta proprio l’obiettivo di recuperare la memoria storica per gli anni che vanno dal primo dopo-guerra alla fine della secondo conflitto globale. L’idea è nata dalla sensazione che, via via scomparendo coloro che ne sono stati protagonisti, si tenda ad affievolire l’attenzione ai valori dei quali sono stati portatori: l’iniziativa nasce sotto il lume della valorizzazione dell’esistente e la collaborazione tra soggetti diversi. In quest’ottica si pone anche l’ultima opera di Gianna Menabreaz (che dell’associazione fa parte), “Gli ultimi testimoni”.
Il libro raccoglie una serie di testimonianze dalla viva voce di ex deportati ed internati in campi di concentramento o di lavoro, che vivono nella città di Canelli e dintorni. È l’emozione che guida tali verità “nude e crude”, che permettono di avvicinare nel tempo e nello spazio vicende che i giovani tendono a sentire come estranee. L’autrice non è esattamente alle prime armi, poiché ha già pubblicato alcuni racconti paesani (L’abbandono e Il sentiero che porta in collina), ricevendo una menzione per un premio letterario nazionale. Durante il nostro incontro sono emerse le interviste alla base del libro: raccolte in diverse occasioni, ma soprattutto durante gli incontri avvenuti tra i testimoni e gli studenti della Scuola primaria e Secondaria di Primo grado di Canelli, sono il frutto di un'attività didattica sperimentata sul campo, sinonimo di una storia che vuole dialogare con l’attualità.
Una storia molto vicina alla Menabreaz: uno dei 24 internati del testo è infatti suo padre, “Gino” …
“Purtroppo è così, ma è prima di tutto la storia di una resistenza silenziosa, in qualche modo passiva, e certamente non meno dura. Al termine dell’ultimo conflitto mondiale, Canelli è stato uno dei primi paesi a costituire l’Associazione Nazionale Internati, e noi abbiamo individuato circa 40 deportati della zona: dapprima si sono dimostrati restii a ricordare una pagina oscura del proprio passato (forse speravano di aver dimenticato tutto l’orrore della guerra e della prigionia), ma nel momento in cui hanno iniziato a parlare non gli sembrava vero di poterlo raccontare ad altri, specie giovani e giovanissimi. È stata un’esperienza incredibile, che vorrei si ripetesse con molti altri ragazzi di tante altre scuole, perché dopotutto è come far incontrare nonni e nipoti.”
Il libro è stata la naturale conseguenza di una memoria storica, ma questo forse non è l’aspetto più rilevante.
“La questione è infatti un’altra: il dolore che queste persone provano è verso i compagni che non ce l’hanno fatta, mentre le sofferenze e privazioni personali passano in secondo piano. Se poi vogliamo dare un’occhiata ai numeri, si capisce perché si è trattato di una vera lotta per la repubblica: in Italia ci sono stati circa 600.000 internati, soldati italiani diventati nemici della Germania dal giorno alla notte (8 settembre 1943), in seguito all’armistizio con gli Alleati. Mi preme sottolineare che non si trattava di prigionieri comuni, ma militari considerati traditori dall’esercito tedesco, e come tali trattati. Se avessero risposto “sì” alla Germania (che gli proponeva di continuare a combattere per l’Asse), chissà come sarebbe finita la guerra …”
Una domanda, per i ragazzi che assisteranno alla presentazione del libro nelle scuole, e per tutti noi.

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