Da Nazareno Giusti riceviamo questo articolo che pubblichiamo. Grazie Nazareno!
Strage di Sant'Anna di Stazzema: cronaca di un incontro, 66 anni dopo
Cultura e Spettacolo : Fatti & personaggi
del 28/03/2010 di Nazareno Giusti
SANT'ANNA DI STAZZEMA, 28 marzo - Enio Mancini è un reduce. Un testimone. Instancabile continua la sua battaglia per la memoria. Per far sì che non si dimentichi cosa successe il 12 agosto 1944 a Sant'Anna di Stazzema. Il giorno del massacro di cinquecentosessanta vittime innocenti, delle quali circa centocinquanta erano bambini sotto i quattordici anni.
Lui, all'alba di quel maledetto giorno, non aveva ancora sette anni ma si ricorda tutto, perfettamente. Non si stanca di raccontarlo anche se per lui è sempre un grande dolore. Pure venerdì scorso, a Roma, ha ripercorso quelle tragiche ore davanti alle telecamere dei giornalisti mentre aspettava l'arrivo di una persona speciale.
Quando qualcuno gli si è avvicinato sussurrandogli “Il ragazzo è arrivato” le sue labbra si sono serrate e per un attimo hanno tremato mentre guardava nella direzione indicatagli.
“Il ragazzo” si chiama Jochen Kirwell, è una montagna di un metro e novanta, ha 27 anni e studia Teologia a Magonza. Suo nonno Peter è il soldato delle SS che anziché uccidere Enio e la sua famiglia quel 12 agosto gli salvò la vita.
Si osservano e poi si avvicinano.
Tutt'intorno centinai di occhi li osservano, mormorii, applausi, flash. Forse ci vorrebbe più intimità, forse ci vorrebbero solo loro due. Ma non ha importanza. Si stringono la mano come fanno due persone educate. C'è un po' di imbarazzo.
Poi si guardano negli occhi e in un attimo si dicono tutto. Così, senza parole. In certi momenti non servono. Allora si abbracciano forte.
Enio e Jochen devono aver passato tutta la notte a pensare a quel attimo. A metà dello scorso febbraio Enio ha ricevuto una telefonata sconvolgente: “Mio nonno è il tedesco che ti ha salvato la vita nel bosco di Sant'Anna”.
“Non potevo crederci - confessa Mancini - Io ho sempre cercato quel ragazzo che ci salvò ed ora è una grande gioia poter abbracciare suo nipote. Quell'episodio è un barlume di umanità in tanta cattiveria: quando è rimasto solo quel soldato ha scelto di risparmiarci rischiando anche la vita per aver disubbidito agli ordini ed io questo non l'ho mai dimenticato”.
Jochen lo ascolta commosso.
“E' stata mia nonna - spiega - a raccontarmi la storia poco tempo fa, io non sapevo nulla. Suo nonno Peter, che all'epoca dei fatti aveva 17 anni, aveva ricevuto l'ordine di riportare in paese un gruppo di persone che erano state viste fuggire in un bosco, dopo averle trovate fece tornare in paese i suoi compagni dicendo loro che avrebbe eseguito lui l'ordine. Ma invece di sparare sui corpi di quelle persone sparò al cielo.
Quando tornò in paese informò il suo superiore che aveva fucilato il gruppo.
“Su internet avevo letto la testimonianza di Mancini e mi sono accorto che coincideva con quella del nonno. Ho deciso quindi di mettermi in contatto con lui perché la sua storia era diventata anche la mia”.
Poi, insieme, sono entrati nell'auditorium del Goethe Institute dove, alla presenza del vice ambasciatore tedesco in Italia, Friedrich Dauble, Mancini e Enrico Pieri (un altro superstite impegnato da tempo nel confronto con la comunità tedesca, presidente dell'Associazione martiri di Sant'Anna) hanno ricevuto la Medaglia dell'ordine al merito della Repubblica federale di Germania. Dopo la cerimonia è stato proiettato il docu-film “E poi venne il silenzio” (di Irish Braschi) che ricostruisce l'eccidio con toccanti interviste.
Nel buio della sala le immagini si specchiavano negli occhi pieni di lacrime dei vecchi bambini che in quel giorno di 66 anni fa videro in faccia il Male.
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