sabato 5 settembre 2009
Bianka Mordier e Davide Perlini: due storie
Dal Resto del Carlino (Bologna) del 1 settembre 2009 due articoli di Gianni Leoni
"Aiutatemi a ritrovare Raimondo, mio padre" l'appello dalla Germania di Bianka Mordier
SOLO il nome: Raimondo. E il sunto di uno stato civile: sposato, due figli. Poco altro: veniva da Bologna o dai dintorni e negli anni della guerra lavorava alla ‘Baumann’, di Althhuettendolf, non lontano da Berlino, insieme con un altro italiano, Roberto, fidanzato con una ragazza russa, Nadia. Le note per il ‘chi l’ha visto?’ si fermano qui. Il resto l’hanno cancellato la polvere del tempo, il destino e qualche vuoto di memoria. Eppure Bianka Mordier non si arrende e in questi giorni d’estate abbandona l’anonimato per diffondere la breve, sofferta cronaca di un tormento personale. Perché lei cerca il padre vero, quel Raimondo prigioniero in Germania e occupato alla ‘Baumann’, ora estinta, come operaio agricolo e di manutenzione stradale. «CHIEDO ai lettori del Carlino di aiutarmi a trovare una traccia che mi porti fino a lui o ai suoi famigliari», scrive. Ma non è facile ridar vita a quegli anni lontani, ai volti, agli odi e agli amori di mille storie a puntate tra bombe, minacce, speranze e paure. La signora tedesca lancia comunque un appello dalla sua casa di Glauburg e aggiunge, ai pochi dati, l’esile trama di una vicenda messa insieme alla meglio da brandelli di racconti, date, nomi approssimativi o incompleti, deduzioni e sensazioni. «Quando sono venuta al mondo, il 12 settembre 1943, quello che ho sempre considerato mio padre era un soldato della Wehrmacht —racconta—.Con lui sono cresciuta in famiglia, senza mai sospettare il retroscena di una vicenda completamente diversa. Perché in realtà, come ho saputo successivamente, io sono figlia di un operaio italiano, con moglie e due figli, deportato in Germania. Il mio vero genitore era occupato in un’azienda specializzata in lavori agricoli e di manutenzione stradale. Quell’uomo tornò nel Bolognese alla fine della guerra, quando io avevo un anno e mezzo. E con lui partirono il suo amico Roberto e la fidanzata russa». BIANKA ha saputo la verità dal fratello maggiore, dopo la scomparsa della loro madre, e adesso pensa che forse il padre ‘acquisito’ la trattava male «perché portava, nell’animo, quel pesante segreto ». «Vorrei risalire alle mie radici, sapere se Raimondo è vivo, o se è morto —continua la signora—. Ma anche se ha avuto altri figli. Non è facile, ma riannodare quel filo mi darebbe un’immensa emozione. Ecco perché chiedo aiuto. Tutti i precedenti tentativi si sono fermati al primo passo. Mi sono rivolta anche agli uffici tedeschi e al servizio internazionale di ricerca della Croce Rossa, ma la vicenda non ha avuto sviluppi. E allora mi rivolgo ai lettori del Carlino: datemi una mano a ricostruire il mio passato».
Dal Resto del Carlino (Bologna) del 1 settembre 2009 due articoli di Gianni Leoni
"Cerco il soldato David: ditegli che sono suo figlio» Le radici inglesi di Davide Perlini
IL SOLDATO David veniva dall’Inghilterra. La giovane Fernanda, invece, abitava alla Sterlina di Lagaro, lungo la strada che sale a Castiglion dei Pepoli. Nel mese di novembre 1944 incrociarono gli sguardi e un timido sorriso. «Piacere», disse lui in un italiano stentato. «Piacere», rispose lei un po’ turbata. Poi, il sussurro di qualche promessa sull’eco di un grappolo di bombe ormai senza carica, un’ora d’amore, uno scambio di indirizzi e l’addio. Lei gli scrisse, lui non rispose, i giorni, gli anni e nuovi fatti sbiadirono emozioni e ricordi. ADESSO lo sviluppo di quell’amore ha 64 anni, si chiama Davide come il padre, di cognome fa Perlini come la madre e da tempo batte casolari, paesi, strade, montagne, archivi, parrocchie, giornali, uffici, caserme e chissà cos’altro in cerca di una traccia di quell’uomo svanito sugli ultimi, tetri bagliori della guerra. «Mia madre è morta a 92 anni, nel 2005, e fino a quel momento ho mantenuto la promessa di non cercare chi l’aveva messa incinta. Ora quel vincolo non c’è più e ho deciso di muovermi perché sono a mia volta padre, ma anche un uomo senza padre. Di quel soldato inglese ho un nome, un cognome e un indirizzo: David Jackson, 15 New Place Trenton RD: Bermondsey, London. E’ vivo? Non c’è più? E ha avuto altri figli? E in questo caso, dove sono e come si chiamano? Ho scritto dappertutto e a tutti. Ho fatto tradurre in inglese una sintesi della mia storia e l’ho spedita a un buon numero di ex militari inglesi, ma anche ad alcuni giornali di Londra, della Scozia e di altri Paesi. Speriamo di avere una risposta». COSI’ DICE Davide Perlini, ex postino in un’agenzia privata, sposato con Emma, un figlio dal nome ‘un po’ inglese, Alan. La sua casa in via Irma Bandiera 9, a Bologna, è un piccolo museo di ricordi e di speranza. Ed ecco, infatti, le foto della mamma a piedi e in bicicletta, quelle del soldato inglese e quelle del piccolo Davide. «Si conobbero perché a Lagaro c’era il fronte. Lui faceva il portaordini ed era più giovane di una decina di anni». Quando Fernanda Perlini si accorse di essere incinta il soldato David era già rientrato in patria. La notizia dello ‘scandalo’, però, spinse la ragazza nell’angolo buio delle svergognate. Ma come, un figlio senza matrimonio? Che colpa grave! E che disonore! «CHE FARE di un ‘bastardino’, dicevano in paese. E allora la mamma, cacciata di casa, andò a Milano a fare la serva e per me si aprirono le porte dell’orfanotrofio. A 15 anni sono tornato con lei, a Bologna. Qualche tempo dopo mi legò a quella promessa: ‘finché sono viva non cercare tuo padre’, disse. Adesso esco da quel vincolo e chiedo aiuto. Un anno fa a Marzabotto, durante la cerimonia per la ricorrenza delle stragi nazifasciste, ho conosciuto Desmond Burgess, un ex soldato inglese che stava a Lagaro nei giorni in cui c’era anche mio padre. Ha promesso di interessarsi al mio caso. Qualcun altro può darmi una mano? Aspetto notizie del soldato David al 338 21 35 170 o al sito dav.per@alice.it».
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