lunedì 13 luglio 2009


Dal "Secolo XIX" del 7 luglio 2009 riportiamo l'articolo "I Bambini in prima linea"
OGNI TANTO sembriamo stupircene o scandalizzarci come se si trattasse di un’anomalia, mentre sappiamo bene che è la regola: bambini e bambine, adolescenti maschi e femmine sono stati massicciamente coinvolti nelle peggiori tragedie del nostro tempo, guerre e guerre civili incluse, in qualità non solo di vittime ma anche di attori. Non per niente il più celebre diario intimo di adolescente di tutti i tempi, quello di Anna Frank, è il diario di una persecuzione nel contesto di una guerra di sterminio. E una delle immagine simbolo più scolpite nella memoria della seconda guerra mondiale è il bambino ebreo che alza le mani nel ghetto di Varsavia, così come la bambina nuda che fugge terrorizzata sotto la minaccia dei bombardieri americani lo è della guerra vietnamita.
Un altro evento del Novecento nel quale i minori furono particolarmente esposti, è la guerra civile spagnola. Secondo calcoli attendibili, tra il 1936 e il 1939 morirono in Spagna per fame, mancanza di assistenza, bombardamenti e altri eventi bellici oltre 414.000 minori, mentre i morti al fronte furono meno di 270.000. Per sfuggire a questo flagello, circa 30.000 bambini e bambine della Repubblica spagnola attaccata dalle truppe franchiste furono evacuati in paesi stranieri: 20.000 vennero ospitati in Francia, 5.000 in Belgio, 4.000 in Inghilterra, alcune centinaia in Messico, Svizzera e Danimarca. A questa gara di solidarietà non si sottrasse l’Unione Sovietica che, controbilanciando l’aiuto militare dato dall’Italia fascista e dalla Germania nazista agli insorti, offrì sostegno al legittimo governo spagnolo promuovendo le brigate internazionali. Il paese guida del comunismo ne accolse quasi 3000.
Alla sorte di questi bambini è dedicato il libro di una giovane storica spagnola, Veronica Sierra, “Palabras huérfanas”. Los niños y la Guerra civil” (Editorial Taurus, 440 pagine, 20 euro), che si avvale di una straordinaria documentazione di prima mano: le scritture (soprattutto epistolari) e i disegni dei piccoli protagonisti. Dalle località dell’Urss dove erano accolti, i bambini scrivevano ai genitori per rassicurarli sulla propria salute, chiedere notizie e raccontare le proprie esperienze.
Una parte di queste lettere non poterono arrivare ai destinatari in seguito ai continui spostamenti e al disordine amministrativo dovuto alla guerra, finirono in un deposito governativo a Barcellona e poi, dopo la vittoria franchista, furono utilizzati dal governo per rappresaglie e persecuzioni contro gli oppositori. Dopo il ritorno alla democrazia furono infine concentrati nell’archivio generale della guerra civile di Salamanca dove sono oggi consultabili.
Le scritture dei bambini spagnoli confermano i caratteri tipici delle scritture infantili. Sono testi che rispondono a un bisogno intimo, quello di comunicare coi parenti lontani, ma sono anche sollecitati dagli adulti (maestri che accompagnarono l’esodo su incarico del governo repubblicano, autorità sovietiche, ispettori), sorvegliati, esposti alle loro influenze. Rivelano così un misto curioso e talora commovente di spontaneità e acquiescenza alle aspettative dei grandi, di ingenuità e di rispetto delle ragioni della propaganda: quella del governo repubblicano che li proteggeva dalle sofferenze e quello sovietico che li accoglieva offrendo loro una condizione per molti aspetti privilegiata con alloggio e vitto adeguati, istruzione in lingua spagnola e lezioni di lingua russa, intensa vita sociale in cui non mancavano le scoperte di un mondo totalmente nuovo e gli svaghi.
Arruolati come combattenti di una causa per la quale avevano visto soffrire madri e padri, nei loro testi talvolta sgrammaticati i piccoli scriventi ne adottano spesso il linguaggio militante, tessendo l’apologia del paese ospite e echeggiando l’utopia che esso incarna. “Caro padre – scrive uno da Odessa il 10 febbraio 1938 – ti scrivo queste poche parole per dirti che sto bene perché mi trovo in Russia e stiamo molto bene perché è un paese del proletariato e noi andiamo a teatro, al cinema, al circo, all’opera che è la seconda in Europa e la terza nel mondo ed è molto bella e ha dei pezzi d’oro”. Un altro dichiara: “qui impariamo a diventare uomini e ci prepariamo per difendere la nostra Spagna rossa e per fare una Spagna nuova come la Russia. Chi lavora mangerà” (“el che trabaje comerà” è la formula, in voga nel movimento comunista internazionale, che parecchi bambini ripetono). Molti sostengono di voler diventare grandi per combattere “la canallas fascistas” e in particolare “la criminal aviación alemana e italiana”. È il compagno Stalin in persona – dicono - a esortarli. Al “camerata Estalin”, padre protettivo e rassicurante di cui spesso sentono parlare anche dai loro coetanei Pionieri, sono riservate molto attenzioni. “No pasaran – annota con grafia incerta una bambina in un biglietto indirizzato al fratello – Viva lespana Roja y el gran camarada Estalin e toda la union sobietica”. Ma c’è anche chi lascia trasparire le proprie preferenze, a dispetto delle gerarchie simboliche acquisite dai cerimoniali. Come una bambina che non fa mistero di aver senza dubbio apprezzato le parate del 7 novembre anniversario della gloriosa rivoluzione e lo spettacolo del mausoleo di Lenin con Lenin in persona imbalsamato, ma di essersi soprattutto entusiasmata per la grandiosità del metrò, autentica meraviglia della modernità.
Piccoli attori di un’immensa catastrofe, questi bambini raccontano a modo loro, a dire il vero con straordinaria efficacia, sul filo di un discorso tessuto dai grandi ma con imprevedibili tocchi personali, un’epoca di ferro e di fuoco nella quale parve che l’affermazione di grandi ideali di libertà, democrazia e giustizia sociale fosse indissolubilmente legata all’uso della forza militare, e in cui l’antinomia amico-nemico ebbe un peso enorme nelle mentalità collettive e nel linguaggio politico. Erano in prima linea e sono stati buoni testimoni del loro tempo.

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