sabato 27 marzo 2010

La Ss lo salvò dalla strage


Dal Corriere fiorentino del 26 marzo 2010
La Ss lo salvò dalla strage
Oggi abbraccia il nipote

Enio Mancini aveva 7 anni e non ha mai dimenticato quel momento. Dopo 66 anni ha abbracciato Jochen Kirwel, nipote di quel militare «umano», Peter Bonzelet

Un barlume di luce nelle tenebre profonde della strage di Sant’Anna di Stazzema, 560 italiani - in maggioranza bambini, donne e anziani - massacrati dai nazisti. Un soldato delle Ss che disobbedisce agli ordini e spara in aria anzichè sul gruppo di persone che doveva uccidere. Tra di loro un bimbo di sette anni, Enio Mancini, che non ha mai dimenticato quel momento e che oggi, 66 anni dopo quel tragico 12 agosto 1944, ha abbracciato Jochen Kirwel, nipote di quel militare «umano», Peter Bonzelet, morto nel 1990.
L’incontro è avvenuto al Goethe Institute di Roma, dove il vice ambasciatore tedesco in Italia, Friedrich Dauble, ha consegnato a Mancini e ad Enrico Pieri, presidente dell’Associazione martiri di Sant’Anna, la Medaglia dell’ordine al merito della Repubblica federale di Germania. «Quando Jochen mi ha telefonato un mese fa - racconta emozionato Mancini - sono rimasto choccato, senza parole, non volevo crederci. Io ho sempre cercato quel giovane soldato tedesco (nel ’44 Bonzelet aveva soltanto 17 anni) quando andavo in Germania, ma senza risultati: ora posso abbracciare suo nipote ed è una grande gioia». Quell’episodio, ricorda, «mi ha fatto riappacificare con i tedeschi, non li ho più visti tutti come assassini. In tanta cattiveria c’era anche chi ha dimostrato umanità: quando è rimasto solo, quel soldato ha scelto di risparmiarci, rischiando anche la vita per aver disubbidito agli ordini».
Il giovane Bonzelet insieme ad altre Ss aveva ricevuto l’ordine di riportare in paese un gruppo di persone che erano state viste fuggire in un bosco per ucciderle. I soldati inseguirono i fuggitivi e li trovarono. A quel punto, rievoca Jochen Kirwel, «mio nonno prese una decisione: fece tornare in paese i suoi compagni e disse loro che avrebbe eseguito subito l’ordine da solo nel bosco. Non appena le altre Ss si furono allontanate, cercò di far capire al gruppo di italiani che dovevano nascondersi e rimanere in silenzio, quindi sparò diverse volte in aria con il mitra, sapendo che gli spari si sarebbero uditi nel paese. Quando mio nonno tornò in paese informò il suo superiore che aveva fucilato il gruppo». Questa storia, spiega il giovane, studente di Teologia a Magonza, «me l’ha raccontata mia nonna prima di morire e mi aveva profondamente colpito. Poi, su internet, ho letto la testimonianza di Mancini e mi sono accorto che coincideva con quella del nonno. Ho deciso quindi di mettermi in contatto con lui perchè la sua storia era diventata anche la mia». Il nonno, aggiunge, «ha sempre parlato poco del periodo che trascorse tra le Ss, le immagini della guerra l’hanno perseguitato fino alla morte, non se ne è mai liberato. Se fosse qui - dice rivolto a Mancini - sono sicuro che lui vorrebbe porgerle la mano in segno di pace».

26 marzo 2010

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