domenica 29 marzo 2009

Da Spike Lee alla Bellucci Ora al cinema la guerra perde colpi


Da "il Giornale" del 29 marzo 2009 riportiamo questo articolo

Da Spike Lee alla Bellucci Ora al cinema la guerra perde colpi
di Michele Anselmi

Roma. Va bene, c’è il caso Katyn, il film di Wajda che rievoca la strage di ventimila ufficiali polacchi ad opera dell’Armata rossa, nel 1940. L’hanno visto in pochi, in un mese e mezzo ha incassato appena 50mila euro, e sull’insuccesso commerciale del film s'è aperto un vivace dibattito. Censura di mercato? Tema occultato o rimosso? Pubblico distratto? Ogni parere è lecito. E tuttavia, al di là dell’episodio specifico, una tendenza sembra emergere: la Seconda guerra mondiale, così distruttiva e fondativa, terribile ed esaltante, non «tira» più al cinema. La vita è bella, Salvate il soldato Ryan, Schindler's List appaiono mosche bianche, lontane nel tempo. Date uno sguardo al box-office italiano più recente. Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee: 1 milione e 76mila euro, niente. Defiance, con Daniel Craig, cioè il nuovo Bond: 891mila euro. Sanguepazzo con la coppia Zingaretti-Bellucci nei panni dei divi di regime Valenti e Ferida: 594mila. Le rose del deserto di Mario Monicelli ha superato appena 1 milione e mezzo. Il doppio, comunque, del pluridecorato e coraggioso Lettere da Iwo Jima di Clint Eastwood, fermo a 724mila. Unico titolo in controtendenza, Operazione Valkyria, dove Tom Cruise indossa la benda nera del tedesco che provò a uccidere Hitler: 4 milioni e mezzo.
Ci si chiede: è il periodo storico a non appassionare, dipende dalla qualità dei film, i giovani che popolano i multiplex vogliono solo commedia, horror e fantascienza? Sentiamo Enzo Monteleone, regista di un film, El Alamein, molto apprezzato dall’ex presidente Ciampi, che nel 1992 riaccese l’attenzione attorno a quel cruciale periodo di storia patria.
Premette: «Io allargherei il discorso. C’è un altro buco nero, ad esempio: i film sull'Irak fatti dagli americani. Non sto parlando del filmetto sfigato italiano, di partigiani e fascisti. Il magnifico Nella valle di Elah l’hanno visto in pochi. Peggio è andata allo spettacolare The Hurt Locker. Non è questione di Seconda guerra mondiale». Monteleone fa una pausa: «Probabilmente l’ennesima fesseria splatter di Quentin Tarantino, quel Bastardi senza gloria con Brad Pitt, sarà un successo, ho già letto la recensione del trailer. Ma per il resto la storia funziona più in tv, nella forma della miniserie. Infatti Perlasca e Cefalonia vanno bene. Al cinema avrebbero fatto flop». E allora El Alamein? «Mi spingeva la passione, la voglia di raccontare quella storia lì. Il film è stato fatto di pancia, per puro sentimento, grazie al produttore Riccardo Tozzi, che aveva un legame di sangue con la vicenda. Poi certo: per noi italiani esistono difficoltà logistiche e tecniche, un produttore fa i conti. Al botteghino vincono solo commedia e disimpegno, il multiplex ha ucciso un certo spettatore medio acculturato. Gioca anche un altro fattore. Per molti giovani equivale a subire una lezione di storia a scuola, per la serie “Seconda guerra mondiale che palle!”». Da anni Monteleone sogno di fare Il sergente nella neve, dal romanzo di Mario Rigoni Stern: «Ci ha provato anche Olmi. Ma vallo a proporre a un produttore oggi».
Il produttore Alessandro Fracassi ha già i suoi guai con Il sangue dei vinti di Michele Soavi tratto dal libro di Pansa che tanto fece arrabbiare l’Anpi. «Dovrebbe uscire, prima o poi, certo ci avviciniamo alla fine della stagione, il popolo del week-end è in movimento, oltre aprile sarà una guerra coi mulini a vento. Tanto più dopo il processo di delegittimazione politica venuto da sinistra e pure da destra». Fracassi conosce i dati sconfortanti degli incassi. «Sono il frutto di una perversa combinazione, ma bisogna resistere, c’è tanta “storia negata” da raccontare. Altrimenti dobbiamo affidare la memoria collettiva solo a Roma città aperta, Tutti a casa e pochi altri». L’intoppo starebbe, quindi, nel generale abbandono di interesse del pubblico verso film di argomento storico. «Sì, ogni tanto arriva l’eccezione che conferma la regola. Penso al Ken Loach di Il vento che accarezza l’erba. Ma è il cinema in costume, tutto, a non attirare più il pubblico giovane. Anche per colpa nostra, fatichiamo a intercettarlo».
«Bah, forse il pubblico non va perché non sa», riflette lo storico Piero Melograni. «Faccio un esempio. Per capire lo straordinario Katyn bisognerebbe conoscere un po’ di storia, sapere che Stalin e Hitler si spartirono la Polonia. Purtroppo la didattica è andata a ramengo e la prevenzione nei confronti di opere considerate ideologizzate ha fatto il resto». Aggiunge Melograni: «Il cinema potrebbe svolgere un ruolo cruciale, a patto che sappia affascinare, emozionare, i giovani. Se poi non andranno, pensando di sapere già tutto, peggio per loro».

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