lunedì 28 settembre 2009

Strage Casalecchio la sentenza congela il mistero del 1944


Strage Casalecchio la sentenza congela il mistero del 1944
"L'Unità - Bologna" del 9 settembre 2009
di Giulia Gentile
È una sentenza che assolve,ma solo perché non è certo che l'imputato sia in vita. L'ufficiale che nel '44 ordinò la strage di Casalecchio si è invatti dissolto nel nulla, probabilmente reclutato dalla Cia dopo la guerra.

Si tratto di "brutali assassini", e a pianificarli ed eseguirli c'era il capitano del 16° reparto corazzato nella 16a Panzergrenadierdivision Ss, Manfred Schmidt. Detto questo, però, "sussiste un rilevante dubbio che l'ex addetto alle informazioni e al controspionaggio oggi 96enne non sia piu in vita". In 105 pagine fitte di richiami a documenti recuperati negli archivi tedeschi, e di citazioni dei racconti di famigliari delle vittime ascoltati come testi, la seconda sezione del Tribunale militare di Verona motiva cosi la sentenza che, lo scorso 11 giugno, aveva stabilito il "non luogo a procedere per estinzione del reato" nei confronti dell'unico ex gerarca nazista finito alla sbarra per l'eccidio del cavalcavia, alle porte di Bologna.
VENTI VITTIME Venti fra partigiani e civili rastrellati e fucilati fra Casalecchio e Sasso Marconi dall'8 al 10 ottobre 1944, quando tredici uomini vennero "uccisi a colpi d'arma da fuoco, e poi legati con filo spinato ai pali della corrente elettrica ed alla recinzione di una villetta". Una decisione, chiarisce il collegio presieduto dal giudice Vincenzo Santoro che nel 2007 aveva condannato dieci ex Ss per l'eccidio di Monte sole, "conseguente all'insuperabile dubbio" che, nel frattempo, Schmidt sia morto. Per i giudici del Tribunale militare dove sono state trasferite le inchieste sui crimini di guerra alla chiusura di La Spezia, i fatti di sangue alle porte di Bologna "non ebbero carattere isolato e sporadico ne furono la rabbiosa iniziativa di singoli militari delle Ss". Secondo il Pm Marco De Paolis si tratto di una ben più "vasta operazione, finalizzata a reperire illegalmente mano d'opera" da inviare ai lavori forzati in Germania. "Brutali assassini - scrivono le toghe nella motivazione della sentenza - commessi nel corso del programmato rastrellamento e durante l'altrettanto programmato trasferimento dei civili catturati, che dovevano essere ammazzati con modalità che rendessero evidente che venivano uccisi per vendicare la morte di due soldati del reparto comandato dall'imputato". Nessun dubbio che Schmidt sia responsabile dell'accaduto, per "la sua posizione gerarchica". Per le toghe, pero, "da più di 60 anni non si sa più nulla" dell'imputato, che a detta del commilitone Paul Rosch a meta ottobre '44 "era stato fatto prigioniero dagli americani". E che, per l'accusa, potrebbe essersi costruito una nuova vita all'estero offrendo agli alleati l'esperienza di ex Ss addetto alle informazioni. E su questo che farà leva l'avvocato di parte civile, Andrea Speranzoni, per chiedere al Pm di appellare la sentenza. "Non si tiene conto degli atti dell'anagrafe tedesca - precisa il legale - dai quali emerge che l'imputato non e morto. E nemmeno delle dichiarazioni di Rosch, che a dicembre 2008 ha raccontato che pochi anni fa Schmidt viveva ad Amburgo". Ciò di cui Speranzoni si dice soddisfatto è l'affermazione "a chiare lettere della responsabilità di Schmidt. La sentenza lascia poi aperta la strada del danno civile, da far valere nei confronti della Germania".

Cervarolo: "I fascisti ispiratori della strage, le prove: documenti e testimoni"


Eccidio di Cervarolo. Rovali (Comitato vittime) replica allo storico Tadolini
"I fascisti ispiratori della strage, le prove: documenti e testimoni"

Articolo tratto dal "La Gazzetta di Reggio" del 9 settembre 2009

VILLA MINOZZO. "Le osservazioni di Luca Tadolini sono un falso storico, per coprire crimini e criminali fascisti"
Ad oltre 65 anni dall'eccidio di Cervarolo - nel mirino di un processo che vedrà, in autunno, sul banco degli accusati 13 militari tedeschi - le contrapposizioni rimangono forti ed Italo Rovali non ha mandato giù gli "attacchi" giuntigli da chi guida il Centro Studi Italia: la replica, sofferta, arriva da un uomo che ha avuto la famiglia falcidiata in quella rappresaglia e da tempo si batte come e da tempo si batte come coordinatore del Comitato dei familiari delle vittime.
I FONOGRAMMI. "Sono in possesso - rimarca Rovali in un'articolata lettera alla 'Gazzetta' - e posso mettere a disposizione di tutti, giornalisti e lettori, i fonogrammi del comando della 72^ Legione Comando generale G.N.R. (Guardia nazionale Repubblicana) di Reggio che, dal 12 marzo 1944 al 23 marzo 1944, dispongono prima la dislocazione dei militi del G.N.R., poi le operazioni di rastrellamento comandate dal tenente Galini. Dopo la battaglia di Cerrè Sologno, il 19 marzo 1944, documentano il proseguo delle operazioni militari a Cervarolo con l'agghiacciante fonogramma a mano, a firma del colonnello Orofaro della G.N.R., che recita: "Durante continuazione rastrellamento condotto 3^ compagnia paracadutisti E. Ghoring e reparti Guardia Nazionale Repubblicana di questa regione, ha avuto svolgimento azione di rappresaglia contro abitanti e popolazione frazione di Cervarolo... Deceduti 23 civili tra cui il parroco". Nel successivo fonogramma del 23 marzo 1944 della milizia fascista - prosegue - viene ordinato il proseguo di dette "nobili opere", il riordino dei presidi della montagna e viene nominato comandante Giuseppe Montecchi. Ciò prova l'affiancamento volontario e la responsabilità oggettiva dei fascisti, nella strage di Cervarolo, di inermi cittadini". Ma Rovali ha altra documentazione da contrapporre alle osservazioni di Tadolini.
LE TESTIMONIANZE. "Ancora erige croci commemorative, affiancato da 150 camerati. Ho i nomi - puntualizza Rovali - di 63 gerarchi fascisti, due sono state le spie fasciste che guidarono il branco armato a Cervarolo. Agghiacciante la testimonianza di Armando Chiesi, il cui padre vide le truppe fasciste la sera del 20 transitare nella mulattiera sotto la sua casa. Coperto da un lenzuolo bianco, invisibile nella neve, sente la seguente frase: "Questa volta abbiamo trovato il covo dei partigiani". Ciò che più stupisce della moralità di questi fascisti sciacalli e che lo stesso Chiesi riferisce, che imitavano le urla e lo strazio delle moglie nel momento del distacco dai mariti, portati a morire nell'aia".
I PARTIGIANI. L'ultima replica è sul ruolo dei partigiani. "Tre erano i partigiani del paese, i gruppi provenienti dalla pianura dopo lo scontro di Cerrè Sologno riportarono gravi perdite e si sciolsero sul versante modenese, non potevano difendere Cervarolo dalla rappresaglia pianificata ormai da tempo da fascisti e nazisti". (r.s.)

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La polemica.
Due i punti contestati dal Centro Studi Italia
"I partigiani non difesero Cervarolo"
Sono due i principali punti di disaccordo tra Luca Tadolini (Centro Studi Italia) e la ricostruzione di Italo Rovali. "Giustamente si ricorda - ha rimarcato Tadolini - che la rappresaglia venne in seguito al combattimento di Cerrè Sologno, vinto dai partigiani. Rimase ferito Barbolini (comandante partigiano modenese) e prese il comando Didimo Ferrari, Eros, che a Monte Orsaro, il 16 marzo, ordinò di fucilare tre prigionieri italiani e tre tedeschi. Il giorno dopo da Monte Orsaro, i partigiani arrivano a Cervarolo. Nelle stesse ore, i rinforzi italo- tedeschi trovano i cadaveri dei prigionieri lasciati sulla neve, e lo comunicano al comando tedesco che toglie la direzione delle operazioni ai militari reggiani, in quanto il tenente Riemann non intendeva partecipare alla rappresaglia a Cervarolo, all'alba del 19 marzo, Didimo Ferrari scioglie la formazione e sparisce nei boschi, senza avvisare la popolazione di mettersi in salvo e senza tentare azioni diversive per allontanare i militari dai civili che li avevano ospitati. Sono passaggi che non possono scomparire dalla storia di questa rappresaglia".
La seconda "lacuna" - secondo Tadolini, riguarda la questione delle spie fasciste. "Informazioni sulla guerriglia in montagna, dagli abitanti a carabinieri o alla milizia, arrivavano con una certa "normalità", in quanto la guerra appariva ancora lontana, la guerriglia debole. Nel caso di Cervarolo, è difficile individuare nei fascisti una possibile premeditazione della rappresaglia tedesca, che vada oltre l'intento di ausilio o alle operazioni di polizia anti-paritigiana".

Un convegno a Luicciana sulla Linea Gotica: i ricordi di chi ha vissuto quei giorni terribili


Un convegno a Luicciana sulla Linea Gotica: i ricordi di chi ha vissuto quei giorni terribili
da "Notizie di Prato" del 28 settembre 2009

Un convegno per ricordare il dolore e i lutti, ma anche il coraggio di chi si è opposto al giogo nazi-fascista. Oggi pomeriggio, sabato 26 settembre, alle ore 15.30 nel Palazzo Comunale di Cantagallo a Luicciana appuntamento con la storia e la memoria sul passaggio del fronte della Linea Gotica e la Liberazione di Cantagallo dai nazifascisti nel settembre 1944. Si svolgerà infatti il convegno “Per non dimenticare, i ricordi delle persone e documenti di archivio organizzato dal Comune di Cantagallo in collaborazione con l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia). Il programma prevede i saluti del sindaco Ilaria Bugetti e una introduzione a cura di Mauro Bolognesi, responsabile sezione ANPI di Cantagallo e a seguire la presentazione di un interessante lavoro di ricerca da parte di tre giovani Caterina, Gioele e Giulia in collaborazione con il CDSE della Val di Bisenzio (Centro di Documentazione Storica ed Etnografica), che è hanno registrato interviste a persone anziate e testimoni del passaggio della Linea Gotica raccolte in un video dal titolo “Passaggi di memoria”. Interverranno poi Alessandro Cintelli storico e profondo conoscitore di storia locale del CDSE e Andrea Giaconi che affronterà il tema “L’origine dell’antifascismo a Luicciana – La figura di Galardo Bisconti”. Le conclusioni sono affidate a Ennio Saccenti Presidente provinciale ANPI. Al termine sarà offerto un aperitivo per tutti i presenti.

domenica 27 settembre 2009

Giorgio Diritti ce l’ha fatta


Da funweek.it del 16 settembre riportiamo l'articolo di Cecilia Bersani
Giorgio Diritti ce l’ha fatta

Alla prossima edizione della "Festa del Cinema di Roma", che avrà luogo dal 15 al 23 Ottobre presenterà il suo "L’uomo che verrà", pellicola “liberamente storica”, che è riuscito a farsi produrre e finanziare dalla "Toscana Film Commission".
Quest'ultimo, infatti, l’unico ente ad aver raccolto l’appello lanciato dal regista sulle pagine de "Il Sole 24 Ore", nel quale denunciava la difficoltà di trovare finanziamenti per autori emergenti, situazione ben nota a chi si occupa di cinema e senz’altro aggravata dagli ulteriori tagli alle sovvenzioni statali annunciati a ridosso dell’estate.
Diritti aveva in precedenza girato "Il vento fa il suo giro", integralmente autofinanziato e che ha raccolto numerosi premi internazionali come miglior film e per il quale lo stesso autore era stato da più parti premiato quale miglior regista emergente.
La vicenda de "L’uomo che verrà" è vissuta attraverso gli occhi di una bimba di soli 8 anni cui la mamma sta per dare un fratellino e viene “costruita” intorno alla strage di Marzabotto, compiuta com’è noto il 29 settembre del 1944 dalle SS sull’Appennino emiliano e nella quale vennero fucilati ben 780 civili, metà dei quali di età inferiore ai 12 anni, oltre a donne e (pochi) anziani.
L’intento dell’autore (e l’attualità della pellicola), come da lui stesso più volte affermato, non è quello di realizzare un film storico in senso tradizionale, bensì piuttosto di narrare come gente semplice, che vive per lo più col progetto di sposarsi, metter su casa e crescere dei figli, veda la propria esistenza annientata dalla violenza dei potenti, potremmo dire fin nel cortile di casa.
La valenza della pellicola è senz’altro aumentata dall’essere basata sullo studio storico effettuato a partire dal 2002 dall’Istituto Storico della Resistenza e basato su documenti ufficiali ed interviste ai sopravvissuti (partigiani e civili scampati allo sterminio).
Protagoniste femminili del film sono Maya Sansa, che torna al grande schermo dopo una lunga assenza ed Alba Rohrwacher. Siamo certi che saranno all’altezza del ruolo a loro affidato.

venerdì 18 settembre 2009

David Melani e il suo "Natalino"


Da "Il Giornale di Barga" del 1 settembre 2009 riportiamo l'articolo:
David Melani e il suo "Natalino"

David Melani, giovane originario di Ghivizzano, ma con all'attivo alcuni anni trascorsi all'estero, si sta distinguendo per la grande passione nella regia di cortometraggi. Dopo aver presentato l'anno scorso la sua prima fatica dal titolo The Solitary Man, quest'anno è quasi pronto per regalarci il suo secondo lavoro, ambientato completamente in Mediavalle.
La storia, dal titolo provvisorio “Natalino”, è tratta da un fumetto di Nazareno Giusti ambientato durante la seconda Guerra Mondiale e narra le tragiche vicende di un ragazzino (Natalino, appunto) che riesce a sfuggire ai soldati tedeschi.
Le prime riprese sono cominciate a febbraio scorso e sono passate attraverso i centri storici di Ghivizzano Borgo a Mozzano e Barga, includendo anche alcune scene ambientate nella Pieve di Loppia, con attori locali –pare- davvero preparati (segnaliamo il barghigiano Andrea Gonnella) e gruppi di figuranti in costume, coinvolgendo i personaggi del presepe vivente di Ghivizzano Alto e l’associazione culturale Linea Gotica in Lucchesia, che hanno reso assolutamente verosimile l’ambientazione nell’anno 1944.
Ma quello che ci fa ancor più piacere segnalare è che David Melani è riuscito a coinvolgere molte più persone di quelle che abbiamo nominato, creando un vero e proprio evento attorno a questo corto, forse il primo in assoluto nella nostra zona.
Adesso che il film è in post-produzione, non ci resta che la curiosità di vederlo, e, data la presenza di tanti volti conosciuti nelle sequenze, dato che l’ambientazione è “nostrana”, dato che emotivamente Barga e i comuni limitrofi sono ancora molto vicini alle vicende della seconda guerra mondiale, ci auguriamo che il nostro comune possa ospitare lo screening di questo lavoro, poiché, se ancora nessuna notizia è stata pubblicata sui media convenzionali, il social forum Face Book annovera già un folto gruppo di fan di Davide e Natalino.

Il ritorno del veterano della Buffalo


Da "Il Giornale di Barga" del 5 settembre 2009 riportiamo l'articolo:
"Il ritorno del veterano della Buffalo"

Ritorno al passato per Joseph Hairston, veterano della 92nd Buffalo Division che dopo 63 anni è tornato il 5 settembre in Valle del Serchio ed è arrivato nel comune di Barga per visitare il paese Sommocolonia, tristemente famoso per la battaglia del 26 dicembre 1944, dove anche tanti soldati della Buffalo persero la vita per combattere una controffensiva tedesca, insieme a tanti partigiani.
Hairston che allora era un tenente di artiglieria, non aveva mai visto Sommocolonia, ma su questo piccolo paese montano puntò i suoi cannoni e fece fuoco dalle postazioni dislocate nel fondovalle, dopo che il tenente John Fox, divenuto eroe di guerra, diede ordine di sparare sulla postazione di osservazione in cui si trovava, nella rocca del paese, per cercare di fermare i soldati tedeschi che lo avevano circondato.
Per questo veterano di 87 anni, a Sommocolonia, ieri mattina insieme all vicesindaco Alberto Giovannetti ed a tante autorità istituzionali e militari, è stata una grande emozione ed un modo diverso di vivere quei momenti terribili. Allora non sapevo di vivere la storia, ha detto, oggi so di aver contribuito anche io a scrivere la storia. E' davvero emozionante, ha concluso, poter vivere oggi queste sensazioni.
La mattinata si era aperta a Barga dove sul Fosso si è aperto il "I Raduno città di Barga" una manifestazione di reenactment (rievocazione storica) organizzata dall'Associazione culturale "92ma Divisione Buffalo Tosco-Ligure” di Sarzana (SP) e dal comune di Barga (LU) con la collaborazione della Associazione Linea Gotica della Lucchesia, che ha visto la partecipazione di veicoli militari originali della Seconda Guerra Mondiale e di figuranti in divisa americana, rigorosamente d'epoca.
Di seguito, nella sala consiliare del comune di Barga, il benvenuto ufficiale al tenente Hairston da parte del vice sindaco Giovannetti ed una breve ricostruzione dei fattri del 26 dicembre 1944 a cura del Tenente colonnello dei paracadutisti Vittorio Biondi, studioso davvero preparato di quegli eventi bellici. Ad accompagnare il veterano della Buffalo la giornalista Francesca D'Anna, Segretario e Addetto Stampa dell'associazione Culturale
92ma Divisione Buffalo Tosco-Ligure che ha brillantemente svolto il ruolo di interprete.
Poi il trasferimento a Sommocolonia. Durante la visita Hairston ha assistito alla deposizione di una corona di alloro al monumento ai caduti della battaglia a Monticino dove si ricorda anche il tenente Fox. Ha poi visitato il luogo simbolo di quella battaglia, la Rocca della Pace ed ha inaugurato la via che l’Amministrazione Comunale ha intitolato alla 92ma Divisione Buffalo.
Alla giornata di rievocazione barghigiana ha preso parte anche il regista Fred Kuwornu, autore del celebre documentario “Inside Buffalo”. Nell’occasione, vista la presenza di mezzi d’epoca e di figuranti con le divise americane, sono state anche girate alcune riprese che serviranno per arricchire il documentario dove il regista ha intenzione di inserire una sezione dedicata proprio agli eventi di Sommocolonia.
Anche il regista locale David Melani, che sta realizzando un film che narra di un fatto di guerra nella Valle del Serchio dal titolo “Natalino”, era presente per girare alcune riprese che andranno ad integrare quanto già raccolto nel corso di un lavoro durato sei mesi.

Una medaglia d'oro per il comandante partigiano Manrico Ducceschi


Da "Il Giornale di Barga" del 5 settembre 2009 riportiamo l'articolo:
"Una medaglia d'oro per il comandante partigiano Manrico Ducceschi"

Durante la cerimonia che ha visto la visita del veterano della Buffalo Joseph Hairston a Sommocolonia, era presente anche la figlia del comandante partigiano Manrico Ducceschi. Il suo gruppo di partigiani fu protagonista anche della tragica battaglia di Sommocolonia.
Nell'occasione ci ha parlato di una iniziativa che sta seguendo e che punta a fare insignire il padre della Medaglia d'Oro al Valor Militare. Per far questo è necessario raccogliere diverse firme e chi volesse partecipare può consultare il sito che vi indichiamo sotto e seguire tutte le indicazioni del caso.
Manrico Ducceschi - conosciuto con il nome di battaglia "Pippo" -è stato un comandante partigiano italiano.
L'8 settembre 1943, lo trovò a Tarquinia, allievo ufficiale del V Rgt. Alpini. Riuscì a sottrarsi alla cattura e a fare ritorno nella sua città, ove entrò in relazione con ex compagni di studi, militanti dei gruppi Giustizia e Libertà di Firenze, vicini al Partito d'Azione, dandosi successivamente alla macchia per partecipare alla Resistenza italiana con il nome di battaglia di "Pontito" prima e di "Pippo" successivamente. Già a metà settembre costituì la prima "Brigata Rosselli" e, stabilito il quartier generale alle Tre Potenze, assorbì alcune formazioni minori del Pistoiese e della Lucchesia. Il 16 marzo 1944 la formazione assunse la denominazione ufficiale di "Esercito di Liberazione Nazionale -XI Zona Patrioti" con caratterizzazione dichiaratamente apartitica ed operante fra la Garfagnana, la valle della Lima, la Valdinievole e la Montagna Pistoiese.
Una delle operazioni principali della formazione fu l'intercettazione al Passo dell'Abetone del Contrammiraglio giapponese Toyo Mitunobu che permise di raccogliere documenti importanti per le successive operazioni belliche degli Alleati nel Pacifico.
Grazie agli ottimi rapporti mantenuti con gli Alleati, tramite agenti dell'OSS paracadutati, la formazione poté ricevere alcuni rifornimenti con aviolanci. Dopo l'arrivo degli Alleati della V Armata, dall'ottobre 1944, la formazione, inquadrata in forma di reparto regolare ed organico, sarà denominata "Battaglione Autonomo Patrioti Italiani Pippo", e con divise ed equipaggiamento americano, fu destinata al controllo di ben 40 chilometri di fronte, in corrispondenza della "Linea Gotica", dalla Garfagnana all'Appennino Pistoiese, contrastando valorosamente le forze tedesche ed alcuni contingenti delle Divisioni "Italia", "San Marco" e "Monterosa" della RSI. Dopo lo sfondamento della "Linea Gotica", la formazione affiancò le truppe Alleate nell'avanzata e con esse, spesso precedendole, partecipò alla liberazione di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Lodi, entrando quindi in Milano e arrivando fino al confine svizzero. Rientrata trionfalmente in Toscana, il 6 di giugno del 1945, all'Abetone, alla presenza di ufficiali alleati, la formazione fu infine sciolta con l'onore delle armi.
Alla fine della guerra, il Comandante partigiano Pippo fu insignito della Bronze Star Medal al valor militare da parte degli Alleati, ma non ebbe alcun riconoscimento né da parte delle organizzazioni partigiane, nè da parte dello Stato Italiano. Per rimediare a questa grave dimenticanza è nata l'iniziativa "Una Firma per Pippo": raccogliamo tutti insieme le firme necessarie per richiedere la concessione di una Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Memoria.
A tal fine si può scaricare dal sito web dedicato a Manrico Ducceschi www.manricoducceschi.it l'apposito modulo di raccolta, stamparlo, compilarlo, farlo girare, raccogliendo firme tra amici, parenti e conoscenti interessati all'iniziativa, e infine contattare l'indirizzo di posta elettronica info@manricoducceschi.it per le modalità di invio.

Casola Valsenio, la memoria si sposta nella cima di Monte Cece


Da "Romagna Oggi" del 17 settember 2009 riportiamo l'articolo:
Casola Valsenio, la memoria si sposta nella cima di Monte Cece

CASOLA VALSENIO - Un altro appuntamento per ricordare i sanguinosi combattimenti dell'ottobre 1944, durante la seconda Guerra Mondiale e per rendere omaggio ai combattenti della 1 Divisione Britannica.
La cerimonia è organizzata dal comune di Casola Valsenio, dall'Associazione Alpini e dall'Anpi di Casola Valsenio, con la partecipazione del comune di Palazzuolo sul Senio.
Sabato 19 settembre, infatti, si terrà la commemorazione a Monte Cece con il seguente programma. Alle ore 16.30 è previsto il ritrovo davanti alla casa della cultura, in via Cardinal Soglia per il trasferimento a Monte Cece. Qui, alle 17.30 partirà la cerimonia alla presenza dei gonfaloni di Casola Valsenio e Palazzuolo sul Senio e deposizione di una corona d'alloro al monumento in onore dei caduti e dei combattenti della 1^ Divisione Britannica.

domenica 13 settembre 2009

Nazisti per sempre


Riportiamo l'articolo di Paolo Tessadri pubblicato su "L'Espresso" dell'8 settembre 2009: Nazisti per sempre

Grazie alle indagini di un pm si apre a Verona il processo contro 14 responsabili di efferati crimini nel 1944. Sono tedeschi che non si sono mai pentiti

Allora erano ventenni, con l'uniforme del Terzo Reich e l'ordine di fare terra bruciata. Ora sono diventati vecchi, ma non si pentono di avere massacrato la popolazione di interi paesi sui monti tra Toscana ed Emilia. Ne parlano al telefono, senza rimorsi. "Anche le donne? Anche i bambini?". "Sì". "Non avete quindi fatto alcuna differenza: avete falciato tutto?". "Sì". L'importante è che questa storia resti sepolta, che i magistrati tedeschi e italiani finiscano di dargli la caccia: "Io ho sempre negato: ho fatto lo gnorri e non mi veniva nemmeno difficile. Anche se avessi riconosciuto qualcuno... Lo sai com'era da noi: non avevamo sempre le mani pulite e non posso certo tradire i camerati". E l'altro veterano delle stragi ride: "Certo che no. Però noi due sappiamo quello che succedeva...". "Sì. Dopo la guerra non volevo ricordare niente: l'ho rimosso fino a ora e continuerò a rimuoverlo. Sono passati tanti anni e mi sono rotto le scatole".
Queste conversazioni sono un documento unico. A parlare sono 14 dei militari che nella primavera del 1944 massacrarono la popolazione dei borghi di Monchio, Cervarolo e Vallucciole sull'Appennino tosco-emiliano uccidendo 360 persone, incluse - come ricordano serenamente - donne e bambini. Non fu una rappresaglia, non fu una vendetta per gli attacchi dei partigiani, ma un'operazione preventiva per rendere sicure le retrovie della linea gotica. I fucilatori appartenevano a un'unità molto speciale, la divisione Hermann Göring, che già prima dell'armistizio si era distinta per i crimini contro la popolazione. Ora i superstiti di quella macchina di morte finiranno sotto processo il 5 ottobre a Verona, rintracciati grazie alle indagini del pm Marco De Paolis che ha condotto le più importanti istruttorie sugli eccidi nazisti in Italia. In questo caso determinante è stata la collaborazione con gli investigatori tedeschi, che con perquisizioni e intercettazioni hanno smantellato la rete difensiva degli imputati.
A tradirli è stato proprio il loro attaccamento alla memoria dei giorni di battaglia. In casa di Alfred Lühmann, all'epoca giovane caporale, è stato trovato il diario di guerra, con l'attività di ogni singola compagnia coinvolta negli eccidi. Herbeck Döneke al telefono gli aveva raccomandato invano: "Per carità, nascondilo". E Horst Gabriel, un altro dei vecchietti impenitenti, si infuria: "Ma sei matto? Glieli hai fatti vedere! Io ho sempre detto "non lo conosco, mai visto" anche se c'erano alcuni volti conosciuti. Ma io ho sempre negato...".
C'è chi. come Lühmann, racconta ai camerati di essere tornato in vacanza proprio sui luoghi dello sterminio. E poche ore dopo mente anche ai propri famigliari. Al figlio che gli domanda: "C'è differenza tra sparare a partigiani o a civili", lui risponde che era solo un soldato e ha sparato "solo a partigiani che erano fuggiti nella valli laterali". Invece ricorda bene, sa "che si sono verificate altre atrocità". E Schulze-Rohnoff gli consiglia: "Eviterei quindi del tutto di parlarne". Mentre a un altro camerata Lühmann riferisce che al procuratore non ha detto nulla, nemmeno di quel sottufficiale che ha sparato in testa a una o più donne. "Lo sai quello... Quello, lo conosci no, quello che ha sparato in testa alle donne. Io ricordo ancora, come si chiamava?", gli chiede Horst Gabriel. E Lühmann: "Sì, sottufficiale Hausmann, mi pare". Poi racconta un massacro "in cui alcuni bambini sono sopravvissuti". Si lasciano andare alle confidenze sui giorni di guerra. "Sì, sì, non ci siamo tenuti per niente indietro", ricorda Gabriel a Lühmann. Che risponde: "Certo, lì ci abbiamo dato dentro... Ma se vengo interrogato dirò che non ricordo nulla".
L'avvocato Ernesto D'Andrea"Neppure oggi c'è un pur pavido rimorso", spiega l'avvocato di parte civile Ernesto D'Andrea. È un orrore senza limiti, che ogni tanto viene squarciato proprio dall'eccesso di nostalgia. Come Wolfgang Bach, ex ufficiale che ha scritto un memoriale sulla divisione Göring, finito sui giornali e usato per identificare i responsabili dei massacri. I suoi camerati lo insultano: "Quelli da dove l'hanno saputo? Eh certo, dal comportamento da minchione di Bach!", si sfoga Lotz: "Sono talmente arrabbiato: ci hai messo nella merda, accidenti! A questo punto, Wolfgang, devo dire: stai attento! Nell'azione verso monte Falterona sono stati uccisi anche bambini, anche un neonato di tre mesi. L'omicidio non è caduto in prescrizione". E invita Bach a tacere: "Lì sono capitate quelle cose con il neonato di tre mesi, eccetera e Wolfgang... Tu lì non ci sei stato, non ci sei stato per niente". Lotz cerca di convincere Bach a negare qualsiasi partecipazione, scrive la polizia tedesca, e a dire che in quelle azioni non erano presenti bambini. I depistaggi sono stati sistematici. "Devono aver ripulito ben bene. Non riesco nemmeno a immaginare...", commenta Bach. E Lotz conferma: "È andata davvero così, ma di questo ne parliamo più tardi".
L'episodio si riferisce con molta probabilità alla strage di Vallucciole dove un anziano ha raccontato che "i tedeschi non risparmiarono neppure una donna con il suo bambino appena nato che stava allattando. Erano spietati, delle belve assetate di sangue". Wolfgang Bach non sarà in tribunale: è morto da poco. A impartire la consegna del silenzio è stato soprattutto Lotz, ex ufficiale del comando e presidente dell'Associazione del corpo dei paracadutisti. Al telefono ammette che la morte del neonato "è stata veramente un porcheria. Lì di reazioni esagerate ce ne sono state e alcuni camerati mi hanno detto apertamente come hanno operato: ahiahiahiahi!". La polizia tedesca sintetizza i suoi discorsi: "Lotz conferma che per un comandante di compagnia non vi sarebbe stata nessun'altra possibilità che "distruggere alla radice" un simile covo. Non sarebbe stato possibile dividere prima le donne e i bambini dagli uomini". Anzi, i bambini erano un bersaglio: "All'epoca egli avrebbe avvertito di continuo di "stare attenti ai bambini. Sono i più pericolosi poiché non sembravano strumenti dei partigiani, maledetti italiani!".
Lotz invita gli altri reduci a tacere o mentire. E se necessario può aiutarli finanziariamente nella scelta di un avvocato: "Ma per l'amor di Dio chiudete la bocca così che né io né i camerati andiamo a finire nel fango", ripete a tutti. Il vecchio combattente nazista ha però paura dei magistrati e si fa fare un certificato medico per sfuggire all'interrogatorio. Telefona a un medico compiacente "che da buon camerata ancora una volta sarebbe stato al suo fianco", scrive la polizia federale. Poi parla con la figlia a cui legge il certificato e alla fine "entrambi ridono": "Tanto il procuratore è uno stupido". Ma la rete di connivenze di Lotz è estesa. Arriva anche in alto: "Ho appena parlato con quel procuratore generale importante di qui, che dice naturalmente: "Come si può fare una cosa del genere a un ottantottenne! Deve presentare un certificato medico, dire che non è in grado di subire interrogatori". Anche se le sue stragi se le ricorda ancora molto bene.

sabato 5 settembre 2009

Danzica 70 anni dopo, Merkel: «Un miracolo l'Europa pacificata»


Da "Il Messaggero" del 1 settembre 2009
Danzica 70 anni dopo, Merkel: «Un miracolo l'Europa pacificata»
La cancelliera: «Mi inchino davanti ai 60 milioni di vittime» Anche Putin ammette gli errori

ROMA (1 settembre) - Sotto il monumento agli eroi di Westerplatte si celebra oggi il 70/mo anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale. Sono giunti nella città polacca una ventina di capi di governo, fra cui il premier russo Vladimir Putin, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi.
La trasformazione pacifica dell'Europa dopo «il terrore e la violenza» della seconda guerra mondiale è un «miracolo», ha detto la cancelliera tedesca nel suo discorso alle commemorazioni. «Nulla può esprimere meglio la differenza fra oggi e l'anno 1939 come l'amicizia fra i nostri popoli» europei, ha aggiunto.
«Mi inchino davanti ai 60 milioni di vittime» della seconda guerra mondiale, ha detto ancora la cancelliera tedesca nel passaggio più toccante del suo discorso. Ha poi aggiunto alla rete Tv Ard che la Germania ha la colpa di avere scatenato la guerra ma anche l'espulsione di oltre 12 milioni di tedeschi dopo il '45 dalla Polonia fu «un'ingiustizia e deve essere detto».
Putin ammette gli errori. Anche da Putin, un accennato atto di contrizione, anche se non le scuse tanto attese dai polacchi per il patto Hitler-Stalin, firmato il 23 agosto 1939 dai ministri degli esteri Ribbentrop-Molotov con cui tacitamente Russia e Germania si accordavano per spartirsi la Polonia. Tutti i patti stretti con la Germania nazista nel '34-'39 erano «moralmente inaccettabili», ha ammesso Putin includendovi quindi tacitamente anche quello Hitler-Stalin. «Dobbiamo ammettere gli errori, il nostro paese l'ha fatto, il parlamento russo ha condannato il patto Molotov-Ribbentrop, abbiamo il diritto di aspettarci la stessa cosa anche dagli altri paesi che hanno fatto accordi con i nazisti», ha detto.
Anche la Polonia ha fatto oggi la sua parte di ammissioni ma ha rimandato i rilievi di Putin al mittente: «fu un errore e un peccato» che la Polonia partecipasse alla divisione della Cecoslovacchia nel 1939, ha detto il presidente polacco Lech Kaczynski. «La Polonia lo sa ammettere», altri no, ha sottolineato alludendo a Mosca. Durante le celebrazioni inoltre aveva onorato la memoria di «tutti i soldati che nella seconda guerra mondiale hanno lottato contro la Germania nazista e il totalitarismo bolscevico».
L'inizo della cerimonia. Poco dopo le 4.45, ora del primo colpo di cannone l'1 settembre 1939, partito dalla corazzata tedesca Schleswig-Holstein verso la base militare polacca, che segnò l'inizio dell'invasione della Polonia da parte della Germania nazista, è stato intonato oggi a Westerplatte l'inno nazionale polacco, la cui prima strofa recita: «La Polonia non è ancora morta».
Con l'inno è iniziata la prima parte delle commemorazioni riservata solo alle autorità polacche. «Westerplatte è il simbolo della resistenza eroica dei deboli contro più forti», ha detto Kaczynski ricordando i primi giorni della guerra quando la Polonia ha dovuto affrontare da sola l'invasione delle truppe di Hitler senza poter contare sull'aiuto di nessuno Stato. Facendo riferimento al Patto fra i ministri degli esteri tedesco e sovietico, Joachim Ribbentropp e Wienceslaw Molotov, e all'invasione dell'Armata rossa del 17 settembre 1939 dei territori orientali della Polonia, Kaczynski ha detto che si trattò di «un coltello messo alle spalle della Polonia».
Fra gli eventi tragici della guerra, Kaczynski ha menzionato l'Olocausto ma anche Katyn (la strage di ufficiali polacchi da parte dei sovietici nel '40). Facendo le debite differenze, Kaczynski ha detto che così come la Germania nazista sterminò sei milioni di ebrei «perché erano ebrei», l'Urss ha trucidato oltre 20mila ufficiali polacchi «perché erano polacchi».
Il premier Tusk ha ribadito che senza la memoria l'Europa non sarà veramente sicura. Il messaggio più breve e significativo è stato lanciato da uno dei quattro sopravvissuti dei difensori di Westerplatte. «Mai più la guerra», ha detto Ignacy Skowron, che assistito alla ceremonia su una sedia a rotelle.

Bianka Mordier e Davide Perlini: due storie


Dal Resto del Carlino (Bologna) del 1 settembre 2009 due articoli di Gianni Leoni
"Aiutatemi a ritrovare Raimondo, mio padre" l'appello dalla Germania di Bianka Mordier
SOLO il nome: Raimondo. E il sunto di uno stato civile: sposato, due figli. Poco altro: veniva da Bologna o dai dintorni e negli anni della guerra lavorava alla ‘Baumann’, di Althhuettendolf, non lontano da Berlino, insieme con un altro italiano, Roberto, fidanzato con una ragazza russa, Nadia. Le note per il ‘chi l’ha visto?’ si fermano qui. Il resto l’hanno cancellato la polvere del tempo, il destino e qualche vuoto di memoria. Eppure Bianka Mordier non si arrende e in questi giorni d’estate abbandona l’anonimato per diffondere la breve, sofferta cronaca di un tormento personale. Perché lei cerca il padre vero, quel Raimondo prigioniero in Germania e occupato alla ‘Baumann’, ora estinta, come operaio agricolo e di manutenzione stradale. «CHIEDO ai lettori del Carlino di aiutarmi a trovare una traccia che mi porti fino a lui o ai suoi famigliari», scrive. Ma non è facile ridar vita a quegli anni lontani, ai volti, agli odi e agli amori di mille storie a puntate tra bombe, minacce, speranze e paure. La signora tedesca lancia comunque un appello dalla sua casa di Glauburg e aggiunge, ai pochi dati, l’esile trama di una vicenda messa insieme alla meglio da brandelli di racconti, date, nomi approssimativi o incompleti, deduzioni e sensazioni. «Quando sono venuta al mondo, il 12 settembre 1943, quello che ho sempre considerato mio padre era un soldato della Wehrmacht —racconta—.Con lui sono cresciuta in famiglia, senza mai sospettare il retroscena di una vicenda completamente diversa. Perché in realtà, come ho saputo successivamente, io sono figlia di un operaio italiano, con moglie e due figli, deportato in Germania. Il mio vero genitore era occupato in un’azienda specializzata in lavori agricoli e di manutenzione stradale. Quell’uomo tornò nel Bolognese alla fine della guerra, quando io avevo un anno e mezzo. E con lui partirono il suo amico Roberto e la fidanzata russa». BIANKA ha saputo la verità dal fratello maggiore, dopo la scomparsa della loro madre, e adesso pensa che forse il padre ‘acquisito’ la trattava male «perché portava, nell’animo, quel pesante segreto ». «Vorrei risalire alle mie radici, sapere se Raimondo è vivo, o se è morto —continua la signora—. Ma anche se ha avuto altri figli. Non è facile, ma riannodare quel filo mi darebbe un’immensa emozione. Ecco perché chiedo aiuto. Tutti i precedenti tentativi si sono fermati al primo passo. Mi sono rivolta anche agli uffici tedeschi e al servizio internazionale di ricerca della Croce Rossa, ma la vicenda non ha avuto sviluppi. E allora mi rivolgo ai lettori del Carlino: datemi una mano a ricostruire il mio passato».


Dal Resto del Carlino (Bologna) del 1 settembre 2009 due articoli di Gianni Leoni
"Cerco il soldato David: ditegli che sono suo figlio» Le radici inglesi di Davide Perlini
IL SOLDATO David veniva dall’Inghilterra. La giovane Fernanda, invece, abitava alla Sterlina di Lagaro, lungo la strada che sale a Castiglion dei Pepoli. Nel mese di novembre 1944 incrociarono gli sguardi e un timido sorriso. «Piacere», disse lui in un italiano stentato. «Piacere», rispose lei un po’ turbata. Poi, il sussurro di qualche promessa sull’eco di un grappolo di bombe ormai senza carica, un’ora d’amore, uno scambio di indirizzi e l’addio. Lei gli scrisse, lui non rispose, i giorni, gli anni e nuovi fatti sbiadirono emozioni e ricordi. ADESSO lo sviluppo di quell’amore ha 64 anni, si chiama Davide come il padre, di cognome fa Perlini come la madre e da tempo batte casolari, paesi, strade, montagne, archivi, parrocchie, giornali, uffici, caserme e chissà cos’altro in cerca di una traccia di quell’uomo svanito sugli ultimi, tetri bagliori della guerra. «Mia madre è morta a 92 anni, nel 2005, e fino a quel momento ho mantenuto la promessa di non cercare chi l’aveva messa incinta. Ora quel vincolo non c’è più e ho deciso di muovermi perché sono a mia volta padre, ma anche un uomo senza padre. Di quel soldato inglese ho un nome, un cognome e un indirizzo: David Jackson, 15 New Place Trenton RD: Bermondsey, London. E’ vivo? Non c’è più? E ha avuto altri figli? E in questo caso, dove sono e come si chiamano? Ho scritto dappertutto e a tutti. Ho fatto tradurre in inglese una sintesi della mia storia e l’ho spedita a un buon numero di ex militari inglesi, ma anche ad alcuni giornali di Londra, della Scozia e di altri Paesi. Speriamo di avere una risposta». COSI’ DICE Davide Perlini, ex postino in un’agenzia privata, sposato con Emma, un figlio dal nome ‘un po’ inglese, Alan. La sua casa in via Irma Bandiera 9, a Bologna, è un piccolo museo di ricordi e di speranza. Ed ecco, infatti, le foto della mamma a piedi e in bicicletta, quelle del soldato inglese e quelle del piccolo Davide. «Si conobbero perché a Lagaro c’era il fronte. Lui faceva il portaordini ed era più giovane di una decina di anni». Quando Fernanda Perlini si accorse di essere incinta il soldato David era già rientrato in patria. La notizia dello ‘scandalo’, però, spinse la ragazza nell’angolo buio delle svergognate. Ma come, un figlio senza matrimonio? Che colpa grave! E che disonore! «CHE FARE di un ‘bastardino’, dicevano in paese. E allora la mamma, cacciata di casa, andò a Milano a fare la serva e per me si aprirono le porte dell’orfanotrofio. A 15 anni sono tornato con lei, a Bologna. Qualche tempo dopo mi legò a quella promessa: ‘finché sono viva non cercare tuo padre’, disse. Adesso esco da quel vincolo e chiedo aiuto. Un anno fa a Marzabotto, durante la cerimonia per la ricorrenza delle stragi nazifasciste, ho conosciuto Desmond Burgess, un ex soldato inglese che stava a Lagaro nei giorni in cui c’era anche mio padre. Ha promesso di interessarsi al mio caso. Qualcun altro può darmi una mano? Aspetto notizie del soldato David al 338 21 35 170 o al sito dav.per@alice.it».

giovedì 3 settembre 2009

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